I 5 ostacoli mentali al prendersi cura di sé

Quello che “fa bene” solitamente è difficile da attuare. Ma perché è così difficile prendersi cura di sé? Ecco 5 ostacoli mentali a cui fare attenzione.

Cura di sé

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Prendersi cura di sé: facile a dirsi, difficile a farsi… Perché? In fondo viviamo nell’era dell’informazione, gli strumenti e le conoscenze non ci mancano, anzi…  Eppure l’attenzione al proprio benessere rischia di rivelarsi più una chimera che una realtà: sappiamo cosa dovremmo fare, ma spesso non agiamo di conseguenza. Perché? Ecco 5 ostacoli mentali al prendersi cura di sé a cui fare attenzione! 

 

1. Perfezionismo e obiettivi irrealistici

Il fatto di vivere nell’era digitale e capitalistica di libero accesso alle informazioni e di assoluta autonomia nella realizzazione individuale non comporta solo vantaggi, ma anche discreti limiti… Gli abitanti della società “liquida” (Bauman, 2000) sembra siano quasi in dovere di autorealizzarsi, inseguire il successo, cambiare e crescere continuamente assumendo su di sé l’intera responsabilità della propria sorte.

 

Questa tensione a migliorarsi costantemente, divulgata anche da una certa parte dei libri di self help, rischia di causare tensioni e pressioni paradossalmente in contrasto con il benessere e la realizzazione della persona. 

 

I miti e le aspettative di successo del mondo liquido-moderno veicolano facilmente modelli assolutistici, perfezionistici che poco spazio lasciano ai limiti e alle differenze individuali. Ecco perché non tutte le strategie proposte dai vari manuali per il successo vanno bene per tutti. 

 

Una della trappole più insidiose – quando si intende cambiare il proprio stile di vita in direzione di un maggior benessere – è quella del perfezionismo: ambire a obiettivi troppo elevati e irrealistici (per qualità o tempi di riuscita), in altre parole: passare dal niente al tutto pretendendo di realizzare una trasformazione immediata di sé stessi. È quanto accade ad esempio quando ci si lascia sedurre da molte diete “last minute” o semplicemente tropo drastiche o distanti dalle proprie abitudini o stili di vita. O quando ci si aspetta di diventare improvvisamente degli assidui sportivi o magari tutte queste cose insieme!

 

Ogni cambiamento può essere realizzabile e duraturo solo a piccoli passi, con obiettivi intermedi e modalità commisurate alle capacità e allo stile di vita della persona, niente è improvviso.
 

2. Non sentirsi capaci

Le persone non fanno quello che è utile per il proprio benessere solo perché si dice loro di farlo, non basta informare qualcuno di ciò che dovrebbe fare perché questo si traduca in un effettivo cambiamento del suo stile di vita. 

 

Lo si evince molto bene dalla letteratura in campo medico relativamente alla compliance alle prescrizioni mediche: i pazienti non modificano le proprie abitudini, non tollerano gli effetti collaterali di certe terapie solo perché il clinico dice loro di farlo. Solitamente lo fanno quando sentono che le loro sofferenze sono state considerate, che la terapia è stata adattata alle loro concrete possibilità di vita nel rispetto delle dimensioni soggettivamente più importanti. In altre parole: un paziente seguirà una terapia o un dato stile di vita non perché qualcuno glielo ordina, ma se percepisce di poter avere il controllo di ciò che gli accade, se sente di essere in grado di fare ciò che gli viene richiesto.

 

Affidarsi, nella cura di sé, a obiettivi irrealistici o strategie standardizzate rischia di portare inevitabilmente al fallimento e di alimentare un vissuto di indegnità e incapacità che mina ulteriormente la possibilità di adottare un cambiamento.
 

3. La salute non è un fine ma un mezzo

Una parte della letteratura sulla riabilitazione psichiatrica si è posta da tempo una questione tutt’altro che banale e cioè quella del cosiddetto “intrattenimento” (Galimberti, Valent, Castelfranchi, 1993; Castelfranchi, Henry, Pirella, 1995; Saraceno, 1995). Che cosa si intende?

Con questo termine si fa riferimento a tutta una serie di interventi terapeutici e riabilitativi offerti ai pazienti psichiatrici volti sostanzialmente a rendere queste persone nuovamente in condizione di badare ai propri bisogni essenziali come: alzarsi dal letto la mattino, provvedere alla propria igiene personale, nutrirsi in modo adeguato, assumere le terapie, socializzare con gli altri e quant’altro. Interventi, si badi bene, essenziali naturalmente ma realmente utili al benessere dei pazienti solo nella misura in cui non diventino fini a sé stessi (mero intrattenimento appunto), ma funzionali a rendere la persona in grado di coltivare interessi, lavorare, intessere relazioni insomma porsi degli obiettivi di vita ben oltre la semplice sopravvivenza e la mera convivenza civile.

 

La cura di sé, anche fuori da un ambito psichiatrico, può avere molto a che fare con questo discorso di inversione fra mezzi e fini. Sì perché si può essere realmente motivati a cambiare alcune abitudini e stili di vita nella misura in cui i benefici che ne derivano consentano di fare “altro”: si pensi a quante donne si mettono a dieta o smettono di fumare in vista di una gravidanza; o quanti perdono peso e modificano l’alimentazione per poter praticare uno sport che amano. Gli esempi potrebbero essere molti ma ognuno può trovare i suoi obiettivi: la cura di sé è un mezzo per poter fare altro ed è importante quindi che a livello psicologico il benessere e la salute non rimangano dimensioni valoriali ma siano connesse con progetti e desideri di autorealizzazione più ampi. Cosa si vuole fare, come si vuole “spendere” il benessere che si otterrà dall'adozione di un certo comportamento più salutare?
 

4. Non si tratta di autoindulgenza

Un altro fraintendimento piuttosto comune è che prendersi cura di sé equivalga ad un atteggiamento di eccessiva “mollezza” e autoindulgenza. In una cultura dove, per molti aspetti, se non sei perennemente impegnato non esisti, dove lo status symbol non è più l’automobile o l’orologio ma quanto tempo libero “non” si ha a disposizione, non è difficile comprende come la cura di sé possa faticare a trovare spazi di legittimazione

 

Avere tempo a sufficienza per dormire, curare i propri hobby, stare con i propri affetti o semplicemente mangiare senza fretta e in modo sano sembrano spesso delle piccole “eresie” nel mondo attuale sempre iperveloce e iperconnesso dove non è più contemplato il tempo dell’attesa, della noia e del non far niente. 

 

Tutti possono sorprendersi vittime di questi stereotipi della post modernità, alcuni avvertono dei veri e propri sensi di colpa se staccano il telefono, dormono un’ora in più o si prendono un giorno di ferie. 

 

Il rischio è che a risentirne non sia solo la salute ma anche la tanto amata e idolatrata prestazione lavorativa: se corpo e mente sono perennemente sotto stress la propria efficienza ne risentirà inevitabilmente, ignorare i segnali di stanchezza fisica e mentale non è mai a lungo termine un buon investimento…

 

5. Fare un piccolo sforzo

A volte si può vivere una certa confusione a livello soggettivo fra ciò che fa stare bene/dà sollievo sul momento e ciò che contribuisce al benessere reale, fisico e psicologico nel lungo periodo. 

 

Spesso si cede all’impulso di seguire la via più facile e apparentemente meno impegnativa per trovare sollievo da una tensione, quando in realtà così facendo non si fa altro che aumentare il proprio stato di malessere e confusione. Si pensi a una persona che torna a casa stanca e provata dopo una tormentata giornata di lavoro, sa che deve riposare corpo e mente, riprendere le energie ed essere in forma per il giorno seguente. Eppure magari apre il frigo e fa un’abbuffata, si tuffa in una maratona di binge watching fino a tarda notte o inizia a bere qualcosa di troppo… 

 

Sa che forse sarebbe più utile, per riprendersi dallo stress della giornata, fare un bagno caldo, vedere un film e andare a dormire eppure questo pensiero sfiora appena la sua consapevolezza, cede all’impulso di adottare strategie forse dannose a lungo termine ma in grado di recare sollievo immediato, di spegnere letteralmente il cervello. 

 

A volte è necessario fare un piccolo sforzo per distinguere la differenza fra una condotta impulsiva tesa a un sollievo tanto immediato quanto effimero e strategie forse meno seducenti ma realmente in grado di ripristinare un benessere nella mente e nel corpo. In fondo prendersi cura di sé è tutto qui: nel compiere questo piccolo-grande atto di fiducia verso sé stessi


Bibliografia
Bauman Z. (2000). Liquid Modernity, trad. it. Modernità liquida, Laterza, 2000.
Castelfranchi C., Henry P., Pirella A. (1995). L’invenzione collettiva, Per una psicologia della riabilitazione nella crisi della psichiatria istituzionale, Gruppo Abele, p. 267.
Galimberti U., Valent G., Castelfranchi G. (1993). La riabilitazione in psichiatria, a cura di F. Coffinardi, Mertis, p.79.
Saraceno B. (1995). La fine dell’intrattenimento. Manuale di riabilitazione psichiatrica, ETAS libri.