Pensiero magico: cos'è e perché può rivelarsi utile

Tutti noi in determinate condizioni possiamo essere scaramantici o superstiziosi, avere un amuleto personale o un “rituale” per ingraziarci la sorte. Perché lo facciamo? Come aiuta il pensiero magico?

Pensiero magico

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©Pensiero magico

Di fronte ad un evento inspiegato o incerto, dove la logica formale e il principio dimostrabile di causa-effetto falliscono, la mente umana può far ricorso al pensiero magico, modalità tipica dell’età infantile che tuttavia permane nel “repertorio” cognitivo degli adulti. Vediamo meglio in cosa consiste e se può rivelarsi anche utile in alcune circostanze.

 

Pensiero magico e sviluppo infantile

Jean Piaget (1929) è stato uno dei primi e più illustri studiosi dello sviluppo del pensiero nell’età infantile, egli osservò che nella prima infanzia – fra i 2 e i 7 anni – nel bambino prevale il cosiddetto pensiero pre-operatorio, una modalità di ragionamento sostanzialmente egocentrica, onnipotente e animistica mediante la quale egli prende sé stesso come unico riferimento per attribuire spiegazioni e significati agli eventi. 

 

Ciò vuol dire che cose o persone sono percepite in grado di “sentire” ciò che lui stesso sente – aspetto centrale in tutte le prime attività di gioco immaginativo – e che egli ritiene sé stesso e il suo pensiero in grado di modificare e influenzare il corso degli eventi e il comportamento delle altre persone. 

 

È per questo motivo che nell’immaginazione infantile un oggetto inerte o una bambola possono essere accuditi e coccolati con lo stesso trasporto con cui si tratterebbe un cucciolo. Ed è sempre per questo motivo che i bambini più e meno piccoli tendono ad assumersi implicitamente la responsabilità di cosa non va, ad esempio quando assistono ai litigi dei propri genitori assumendosi spesso la colpa della loro separazione. 

 

Questa forma di egocentrismo tende ad attenuarsi con l’età, ma il pensiero magico, anche se viene via via sostituito da forme più razionali e simboliche di ragionamento, rimane presente come possibilità anche nella mente degli adulti che possono farvi ricorso in una serie di circostanze. 

 

Il pensiero magico normale e patologico

Eccezion fatta per i deliri, dove la sostituzione della realtà esterna con la realtà interna è massiccia e si produce una grave frattura del senso di realtà, solitamente il ricorso al pensiero magico negli adulti non è patologico, a meno che non rappresenti una ricorrente e rigida strategia di difesa intorno a cui ruota il funzionamento della personalità (le persone con un assetto di personalità borderline, ad esempio, possono far ricorso in modo massivo al pensiero magico poiché, fra le altre cose, hanno molta difficoltà a mentalizzare, cioè spiegarsi i comportamenti degli altri in base a emozioni, pensieri e intenzioni che possono essere diversi dai propri).

 

Tutti noi possiamo occasionalmente far ricorso alla superstizione, alla lettura dell’oroscopo e a determinati rituali personali o culturalmente condivisi per affrontare la paura e l’incertezza associate a determinati eventi.

 

Si pensi anche ad espedienti assolutamente innocui e banali come quello di accendersi una sigaretta quando si è alla fermata di un autobus nella “magica” supposizione che il mezzo che si aspetta passerà prima che questa sia terminata. O a uno studente che che per un esame indossa sempre determinati abiti portafortuna. O a chi si appresta ad andare in un luogo dove vorrebbe incontrare una certa persona e ritiene che, pensandovi intensamente, tale eventualità potrebbe avverarsi.
 

Come funziona il pensiero magico

Uno dei meccanismi alla base del pensiero magico è quello della partecipazione, un meccanismo – tipico anche dei bambini e a cui possiamo tutti regredire bonariamente – in cui il processo simbolico rimane incompiuto e un oggetto che sta a rappresentare qualcosa viene considerato dalla mente come se fosse quella stessa cosa a cui si riferisce.

 

Per cui, per esempio, è sufficiente strappare una foto in mille pezzi per dimenticare una persona (cancellare la foto equivale a cancellare la persona stessa).

 

La partecipazione, come si è visto negli esempi precedenti, può avvenire non solo fra oggetti (come nell’esempio della foto), ma anche fra gesti ed eventi (la sigaretta e il passaggio dell’autobus), fra intenzioni (desiderare di incontrare qualcuno indurrebbe quella persona a recarsi nello stesso luogo), fra pensieri ed eventi (come pensare intensamente alla carta che si vuole pescare dal mazzo).

 

Essenzialmente il ricorso a questo tipo di strategia può avere tre funzioni (Bonino S., 1994):

  1. difensiva (regredire a un pensiero magico dà l’illusione di poter controllare l’incontrollabile);
  2. propiziatoria (per ingraziarsi la buona sorte o altre forze sovraordinate);
  3. conoscitiva (dare una spiegazione, per quanto illogica, a ciò che non può essere spiegato secondo la logica razionale).
     

Quando è utile il pensiero magico?

Si è già detto come il ricorso massiccio e rigido al pensiero magico rappresenti una strategia fallimentare e disfunzionale di adattamento alla realtà, perché rischia di mettere “fuori gioco” la possibilità di utilizzare forme di pensiero razionali. 

 

Ma non solo, impedisce anche di tollerare l’incertezza rispetto a quanto non sappiamo o non conosciamo o la frustrazione rispetto a ciò che tradisce i nostri desideri e le nostre attese. Aspetti, questi ultimi, fondamentali per un funzionamento della mente non egocentrico e non autoreferenziale e la possibilità di riconoscere la complessità del reale.
Ciò non toglie che, nel ricorso occasionale (magari anche consapevole) al pensiero magico, non possano celarsi alcuni vantaggi che lo rendono talvolta utile o quanto meno non dannoso.

 

In una certa misura, il ricorso a questa modalità aiuta ad alleviare l’ansia e a recuperare, seppur illusoriamente, un senso di padronanza sugli eventi che consente di ragionare e agire più lucidamente. Pensiamo allo studente che indossa la sua maglia portafortuna per sostenere un esame: questo gli consentirà di lasciare da parte un’ansia che potrebbe diventare troppo soverchiante e di recuperare la giusta concentrazione. Forse prima o poi quella maglia si invecchierà o andrà perduta: al nostro studente toccherà apprendere – da un’esperienza forse inizialmente piuttosto ansiogena – che l’esito di un esame non dipende da elementi a lui esterni, ma dalle sue reali capacità.

 

Un'altra forma in cui il pensiero magico può avere un effetto utile è quella relativa al funzionamento dell’effetto placebo. Lungi dal sostituire la medicina tradizionale con ciarlatanerie, è però vero che per alcune persone affidarsi anche a determinati rituali o metodi di cura non convenzionali può aiutare a nutrire un atteggiamento fiducioso e positivo verso la malattia tale da – e questo è scientificamente dimostrato – influenzare realmente in modo positivo il funzionamento del sistema immunitario.

 

Il pensiero magico può quindi avere risvolti interessanti purché, come dicevano gli antichi, lo si utilizzi cum grano salis e un briciolo di consapevolezza che ci consenta di “giocare” con questa modalità senza prenderla troppo sul serio...

 

Bibliografia
Bonino S. (1994). Dizionario di Psicologia dello sviluppo, Einaudi, Torino.
Piaget J. (1929). La rappresentazione del mondo nel fanciullo, trad. it. Einaudi, 1955.