Mentalizzazione: di cosa parliamo?

La capacità di mentalizzazione rappresenta un elemento fondamentale dello sviluppo del bambino e della salute psicologica dell’adulto: si tratta di poter dare un significato agli stati mentali propri e altrui sulla base di motivazioni e intenzioni non necessariamente uguali alle nostre

Mentalizzazione: di cosa parliamo?

La mentalizzazione, ossia la capacità di avere una teoria della mente che guidi nella comprensione degli stati mentali e dei comportamenti propri e altrui, è una componente fondamentale per lo sviluppo psicoaffettivo e implica la possibilità di utilizzare competenze empatiche e di stabilire una “giusta distanza” nelle relazioni interpersonali riconoscendo all’altro la facoltà di essere guidato, nei propri comportamenti, da motivazioni e intenzioni autonome (Fonagy P., e Target, M., 1997, Attaccamento e funzione riflessiva, Cortina).

La mentalizzazione rappresenta, se vogliamo, il superamento della modalità di pensiero egocentrico tipica della prima infanzia: gli altri possono assumere comportamenti, anche a noi sgraditi, per proprie motivazioni e non necessariamente per un’intenzionalità diretta nei nostri confronti.

 

La mentalizzazione

Tutti noi abbiamo una teoria della mente, ovvero una qualche idea su come funziona la mente altrui e utilizziamo, in modi più o meno impliciti, tale concezione per fornirci spiegazioni plausibili sui comportamenti delle altre persone.

Questa acquisizione è talmente scontata da non venire esplicitamente notata fin tanto che, per qualche ragione, non venga meno in noi o in coloro che a noi si rivolgono. Per fare un esempio, non è necessario addentrarsi nelle pieghe più complesse della psicopatologia – che pure vede nella mentalizzazione una discriminante fondamentale – bastano esempi apparentemente banali di vita quotidiana.

Uno per tutti quello del traffico: quando siamo alla guida spesso agiamo con rabbia e aggressività interpretando il comportamento degli altri guidatori come espressione quasi di una deliberata intenzionalità di farci rallentare, perdere tempo o, pensate quando qualcuno non vi dà la precedenza, di mancarci di rispetto.

In questi comuni scambi aggressivi, complice lo stress del traffico urbano, tendiamo quasi in automatico a “dimenticare” che il comportamento degli altri guidatori – giusto e sbagliato che sia – è mosso dalle stesse intenzioni, urgenze e obiettivi del nostro: nessuno ha quasi mai la reale intenzione di nuocerci.

Tuttavia per un momento questo dato apparentemente ovvio e scontato passa in secondo piano: stiamo, seppur temporaneamente, agendo senza affidarci alla nostra capacità di mentalizzazione.

 

Lo sviluppo della teoria della mente

 

Empatia e mentalizzazione

La capacità di mentalizzazione è alla base anche della possibilità di provare empatia per gli stati mentali altrui come confermano le ricerche neuropsicologiche sui neuroni a specchio: siamo, come esseri umani, predisposti a “risuonare” affettivamente con gli stati mentali degli altri sulla base di esperienze analoghe – anche se non identiche – che riattivano nella nostra mente gli stessi pattern emozionali, anche se meno accentuati.

La mentalizzazione quindi, orientandoci a riconoscere che il comportamento dell’altro è mosso da intenzioni e motivazioni legati a determinate esperienze emotive, ci predispone a sintonizzarci su quelle stesse esperienze e, in tal modo, a comprendere l’altro.

 

Lo sviluppo della capacità di mentalizzazione

La capacità di mentalizzazione dell’adulto deriva dalle vicissitudini dello sviluppo psicoaffettivo e delle interazioni più o meno sintoniche, più o meno adeguate, stabilitesi fra il bambino e le proprie figure di attaccamento (madre, padre o chi si prende stabilmente cura di lui).

Questo perché il bambino, per poter sviluppare un’autonoma e adeguata capacità di mentalizzazione, per poter, in altre parole, riconoscere e comprendere gli stati mentali propri e altrui, deve potersi prima rispecchiare e riconoscere nella mente del genitore.

L’adulto rispecchia gli stati mentali del bambino, fornisce un nome alle emozioni che il bambino manifesta e le connette con i suoi comportamenti.

Tutto questo aiuta il bambino a riconoscersi via via come persona autonoma e distinta dal genitore, a riconoscere determinati stati mentali come propri e a distinguerli da quelli delle altre persone.

 

Come percepiscono i neonati le emozioni dei genitori?