Psicologia e self help: realtà o illusione?

Così bisogna essere: autentici, auto-realizzati, felici e illuminati. Non ce la si fa? e allora ecco che nelle librerie si moltiplica l’offerta di manuali di self help che sembrano promettere ricette di psicologia di facile consumo. Mere illusioni prive di sostanza o qualcosa si può salvare?

Psicologia e self help: realtà o illusione?

Ha fatto scalpore il libro edito in Italia da Cortina con il quale Svend Brinkmann, docente di psicologia all’università danese di Aalborg, ha mosso forti critiche al self help etichettando la psicologia fai da te come mera illusione capace di effetti anche dannosi sulla salute mentale delle persone.

Il suo è stato definito un “anti-manuale” e già dal titolo non lascia dubbi: Contro il self help - come resistere alla mania di migliorarsi. Meglio quindi abbandonare il mito di un perpetuo auto-miglioramento e venire a patti con le proprie umane imperfezioni, con i limiti che la vita ci pone.

Ne guadagneremmo in realismo e serenità imparando a prendere la vita per quella che è. Questa, in sintesi, la tesi del libro che a furor di provocazioni si propone di destrutturare il mito occidentale del self-man. Ma dei manuali di self help dunque non rimane proprio nulla da salvare? Meglio, come afferma Brinkmann, tornare a leggere romanzi?

 

Dal self man al self help

Il libro di Brinkmann è volutamente provocatorio, ma coglie un aspetto senza dubbio importante della psicologia dell’uomo contemporaneo, abitante di una società “liquida” in cui sembrano essersi destrutturati i punti di riferimento comunitari a favore dell’individualismo più assoluto.

Ne consegue, come lo stesso Bauman osservava, che ognuno è spinto a ritenersi, nel bene e nel male, artefice del proprio destino, perennemente in bilico fra impotenza e onnipotenza, colpa e vittoria.

In nome dell’autorealizzazione e della volontà personale ognuno è artefice di se stesso, continuamente spinto a cambiare e a rimettersi in discussione nell’arco di un’intera vita, a sorvolare sulla proprie sconfitte per ricominciare sempre, comunque, in ogni luogo o modo possibile in nome di un auto-miglioramento, che sembra non dover avere mai sosta.

Brinkmann rileva come questa tendenza si rifletta in larga parte della letteratura divulgativa in campo psicologico. A questa apparterrebbero quei manuali di self help, la maggioranza secondo Brinkmann, che “vendono” ricette e consigli per il miglioramento personale promettendo di poter realizzare in poche mosse drastici cambiamenti o mirabolanti miglioramenti di se stessi.

Ma, sostiene l’autore, spingere l’essere umano verso un inarrestabile miglioramento di sé alimenterebbe vissuti di stress, inadeguatezza e depressione. In altre parole: a furia di sentirci dire che possiamo/dobbiamo migliorarci finiremmo col sentirci cronicamente inadeguati, perennemente indietro rispetto a mete sempre nuove da raggiungere.

 

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Self help: significati

In realtà il self help è un termine variegato che si presta a indicare fenomeni differenti fra loro, seppur tutti basati sul principio per il quale l’acquisizione di informazioni e conoscenze rappresenta una via di autonomia e autorealizzazione individuale.

In una prima accezione, il termine self help veniva impiegato dai gruppi femministi americani, poi diffusisi anche in Europa e in Italia, che rivendicavano l’importanza per le donne di acquisire un’adeguata conoscenza del proprio corpo in modo da poter esercitare scelte consapevoli riguardo a sessualità, contraccezione e maternità.

In questa accezione, dunque, il fenomeno non fa riferimento a dimensioni di tipo psicologico.

In una seconda accezione self help è utilizzato spesso come sinonimo di auto-mutuo-aiuto e si lega ad un filone di studio della psicologia, anch’esso in origine statunitense, in base al quale confrontarsi con persone che soffrono dei propri stessi problemi può costituire un importante fattore di cambiamento per il superamento degli stessi.

I primi e più noti gruppi di auto-aiuto furono quelli degli Alcolisti Anonimi a cui ne sono seguiti molti altri incentrati sulle più varie tematiche psicologiche.

È in una terza accezione, infine, che il termine self help stia a indicare un filone dell’editoria divulgativa nel campo della psicologia dove il principio de “la conoscenza rende liberi” viene applicato alla lettura di un manuale.

Non più gruppi di femministe che condividono conoscenze mediche in materia di sessualità e neanche gruppi di persone con cui scambiare esperienze emozionali su temi comuni, ma pagine stampate che offrono tutta una serie di consigli psicologici pronti all’uso. È qui che le cose si fanno un po’complicate…

 

Psicologia individuale e self help “per tutti”

Se degli opuscoli contenenti conoscenze sul funzionamento del corpo umano potevano essere senza dubbio molto utili, è difficile pensare che lo stesso principio possa essere applicato riguardo a problematiche di tipo psicologico, anche quando a scrivere un libro di self help sia una persona che ha essa stessa vissuto un problema analogo.

Consigli e soluzioni che sono stati utili a noi non è assolutamente detto si rivelino altrettanto validi per la personalità altrui. E non solo perché ognuno è diverso e può trarre vantaggio da esperienze assolutamente controindicate per altri e viceversa.

Questo, dopotutto, sarebbe – ironicamente parlando - il “problema minore”: basterebbe discernere, nella vasta offerta editoriale, le “ricette” psicologiche più di proprio gradimento per “scongelarle” prontamente nel microonde appena se ne avverta la necessità.

Viene il dubbio che forse la psicologia non la si possa assimilare ad un mero bene di consumo, ma ad ogni modo c’è un’altra questione che pone un problema ancor più radicale.

 

Self help: “istruzioni” per l’uso

I manuali di self help spaziano su una gamma vastissima di argomenti: dal parlare in pubblico, al costruire una carriera di successo a come smettere di fumare o affrontare ansia e depressione (provate a scrivere “depressione self help” su google e vedrete che il gigante di Mountain View vi restituirà con imbarazzante disinvoltura tutta una serie di titoli pensati apposta allo scopo).

Ma, tornando alla domanda iniziale: sono tutti da buttare? Qualcosa si può salvare? E se sì, in quali casi? Facciamo finta di essere in una pagina di un libro di self help (potremmo intitolarlo “Guida pratica per capire se e quali manuali di self help fanno per te” a google forse piacerebbe…) e divertiamoci a proporre alcuni “consigli”.

 

1. Se hai un disagio psicologico è la tua stessa condizione a impedirti di uscirne con un manuale di psicologia fai da te.

È lo stesso principio per il quale non valgono o non bastano più i consigli e il sostegno di amici o parenti. Soffrire di un disturbo psicologico implica sempre soffrire di un problema nell’area delle relazioni che possono rivelarsi insoddisfacenti, assenti o difficili da sostenere.

Non basta insomma che qualcuno o qualcosa (il manuale) ci dicano cosa fare: il problema non sta certo in una “carenza di informazioni” (come accadeva invece alle femministe degli anni ’70).

 

2. Non aspettarti che basti poco per cambiare molto.

Naturalmente nulla vieta che, al di fuori della psicopatologia, acquisire più informazioni su una questione possa essere teoricamente anche di aiuto.

Dipende però dall’uso che se ne fa. Nessun cambiamento avviene in modo “rapido e indolore”, soprattutto se riguarda aree vaste della nostra vita (come il successo professionale ad esempio).

Quelli proposti in un manuale di self help possono essere spunti, magari anche utili, per riflettere e elaborare delle ulteriori idee, ma non avranno molta utilità se presi come “ricetta magica” e assoluta.

 

3. Per imparare ad aiutarsi può essere utile la psicoterapia.

Non è detto che tutti siano per natura o condizione psicologica già in grado di aiutarsi da sé. Questo è un mito che va sfatato, non solo nel senso in cui lo pone Brinkmann.

Non è questione solo di miglioramento personale, molte persone possono essere poco capaci di fornirsi conforto perché non tollerano situazioni emotivamente difficili, soccombono allo stress, sentono venir meno a propria autostima per ogni minimo errore o fallimento.

Pensate a chi soffre di fame nervosa e reagisce allo stress emozionale mangiando o a chi ha seri problemi di gestione della rabbia. In casi di difficoltà può essere necessario un percorso di psicoterapia perché una persona impari ad aiutarsi da sé e non è escluso che sia proprio durante tale percorso che alcuni libri possano iniziare ad essere di supporto al paziente (dai manuali di self help  - non è assolutamente detto che siano tutti da buttare – a, perché no, i più tradizionali romanzi).

Non per niente è stato coniato un termine: biblioterapia ad indicare come la lettura possa contribuire ad un percorso di cambiamento.

In questi casi leggere per aiutarsi può rappresentare un punto di arrivo piuttosto che un punto di partenza.

Che dire, forse adesso guarderete ai testi sugli scaffali delle librerie (o dei siti online) in modo meno scontato: i libri di self help non sono tutti uguali e non sono utili per tutti. Non esiste dunque una “ricetta valida sempre” per cui: buona ricerca!

 

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