Burnout da smart working, un rischio possibile

Lo smart working può avere indiscutibili vantaggi, ma anche alcuni rischi. Per non lasciarsi sopraffare dal lavoro e incorrere nel burnout meglio definire con cura i confini (mentali) fra casa e vita professionale…

Burnout smartworking

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Il 46% si è sentito più ansioso e stressato; il 48% ha visto aumentare il monte orario di lavoro; il 18% ha sperimentato un peggioramento delle proprie condizioni di salute e il 16% ha temuto di perdere il posto: questi i principali risultati di una ricerca commissionata da Linkedin che ha riguardato un campione di circa 2000 “smart worker” italiani riconvertiti al lavoro agile con il lockdown dei primi mesi della pandemia da nuovo coronavirus. 

 

Come mai, nonostante i suoi innegabili vantaggi, lo smart working può rappresentare un  rischio di burnout? E come fare a proteggersi?
 

Smart working: insidie e vantaggi

Molti di coloro che hanno sperimentato lo smart working in questi mesi non tornerebbero del tutto indietro e continuano ad apprezzare i vantaggi del lavoro da casa che, per molti, rappresenta la nuova normalità per l’intera settimana o parte di essa.

 

Sì perché il cosiddetto lavoro agile consentirebbe, almeno “sulla carta”, una serie di evidenti benefici: maggiore autonomia organizzativa, risparmio del tempo impiegato per andare e tornare dall’ufficio, la possibilità di essere presenti a casa e dedicarsi ai propri familiari e magari, per alcuni, anche quella di non doversi vestire di tutto punto dalla testa.. ai piedi!

 

Eppure – e le risposte degli Italiani interpellati ce lo hanno confermato – lo smart working nasconde anche delle insidie, che i freelance conoscono fin troppo bene e che, a quanto pare, anche altre categorie di lavoratori devono imparare a tenere in considerazione se vogliono evitare che il lavoro da agile diventi ingombrante e costrittivo aprendo la strada la rischio di esaurimento e burnout.
 

Smart working: sicuri che i tempi morti lo siano davvero?

Quei 40 minuti di metropolitana o quella mezz'ora di traffico ogni mattina... Quante volte – fermi in mezzo a un ingorgo o stipati nel vagone di un treno – si è sentito il desiderio di eliminare come per magia quella inevitabile tortura quotidiana e ritrovarsi di colpo già in ufficio? E non a torto: sia i pendolari che coloro che raggiungono il posto di lavoro con la propria auto sperimentano, almeno nelle grandi città, una serie piuttosto variegata di disagi con cui prima o poi imparano a convivere con un misto di destrezza e rassegnazione…

 

Eppure non tutti i tempi “morti” lo sono davvero…  
Per quanto strano possa sembrare anche questi tragitti quotidiani – che naturalmente sarebbe meglio non si trasformassero in odissee cittadine – possono avere una loro importanza. 
 

La transizione casa-lavoro

Molti se ne saranno forse resi conto dopo qualche settimana di smart working: dopo la consueta routine mattutina ecco che, invece di prendere la chiavi e uscire dalla porta di casa, è sufficiente levare dal tavolo le tazze della colazione e, sempre su quel tavolo, aprire il pc o, per i più fortunati, fare pochi passi per spostarsi nella stanza accanto: ma questa apparente “semplicità” può lasciare confusi, spaesati e creare difficoltà a concentrarsi … 

 

Non è per niente strano allora se ad alcuni sarà capitato di ritrovarsi a vagare senza meta sui social o a “perdere” tempo in altri modi prima di iniziare affettivamente a lavorare: la mente ha bisogno di uno spazio di transizione fra casa e lavoro, quello spazio temporale che prima era affidato al tragitto in auto o con i mezzi pubblici. 

 

Quel percorso quotidiano preparava la mente a passare dalla dimensione familiare e privata a quella professionale. Magari si riordinavano le idee in vista degli impegni della giornata o ci si immergeva nella lettura o nell’ascolto della radio staccando la mente dalle occupazioni familiari in cui si era immersi fino a un attimo prima di uscire. O, ancora, si approfittava del tragitto per fare una telefonata

 

Tutto questo nello smart working è completamente azzerato, almeno sul piano concreto: il rischio è di ritrovarsi catapultati nella dimensione lavorativa in modo brusco e contraddittorio. Come fare?

 

Può essere di gran beneficio per la mente ricreare, a propria misura, dei piccoli “riti di passaggio” quotidiani che consentano di uscire (almeno mentalmente) da una dimensione esclusivamente domestica e prepararsi ad entrare in quella lavorativa. 

 

Per alcuni può essere utile ritagliarsi un momento di relax per leggere, fare una telefonata o dedicarsi a un hobby. Per altri magari si tratta di mettere in ordine, togliere gli oggetti più “familiari” (come le pantofole, l’asse da stiro o altri effetti personali) e preparare così il proprio ambiente di lavoro

 

Quale che sia la soluzione adottata è importante che diventi un piccolo rito quotidiano a cui la mente imparerà ad abituarsi e che utilizzerà per operare, al meglio possibile, lo “switch” casa-lavoro.
 

Smart working: confini materiali e mentali…

Un altro aspetto molto importante da tenere in considerazione affinché lo smart working non predisponga al burnout è quello dei confini

 

Sì, perché lavorare in un ambiente domestico dove si ha teoricamente tutto a portata di mano può diventare, paradossalmente, logorante su entrambi i fronti: quello lavorativo e quello familiare (senza contare coloro che hanno dovuto gestire contemporaneamente lo smart working e le DAD dei propri figli).

 

Lo si è visto fin dalle prime settimane del lockdown: il fatto che tutti fossero a casa dava modo a colleghi, capi ufficio ma anche amici e familiari di pretendere una disponibilità “da remoto” h24. In qualunque momento si doveva essere disponibili ad una videochat, ad acconsentire ad una richiesta o a fornire una risposta. 

 

E come se non bastasse, lo abbiamo visto anche dai risultati della ricerca accennata prima, quasi la metà degli intervistati hanno dichiarato di aver visto aumentare il proprio orario di lavoro.  Perché può accadere questo?

 

Risparmiare sui tempi degli spostamenti (che abbiamo visto avere comunque la loro importanza) ha portato molti a dilatare gli orari di lavoro. Al tempo stesso, il fatto di interagire solo da remoto, anziché doversi spostare fisicamente per incontrarsi, ha dato spesso adito a ritenere, a torto, che tutti potessero/dovessero essere sempre disponibili.

 

Già prima gli smartphone rischiavano di essere un’eterna appendice della propria vita lavorativa, adesso le invasioni nella vita privata – che si svolge nello stesso ambiente dove si lavora – possono diventare molto più insistenti e ci si può ritrovare a non avere più un confine non solo spaziale, ma anche temporale fra le due dimensioni. 

 

Eppure molte delle richieste che vengono spacciate come “urgenti” spesso sono tutt’altro che le più importanti e potrebbero aspettare, magari qualche minuto o qualche ora. La tecnica del pomodoro ad esempio è un’ottima strategia per organizzare i tempi di lavoro senza lasciarsi distrarre in continuazione.

 

Per il resto sarà bene ricordare che anche da remoto la propria giornata lavorativa ha un termine: non sarà più segnato dal varcare la soglia dell’ufficio, ma questo confine deve essere altrettanto chiaro nella propria mente perché adesso dipende dalla propria capacità di auto-organizzazione individuale, non più dal (reale o simbolico) “cartellino” timbrato all’uscita.

 

Smart working: un’opportunità

Si potrebbe dire che lo smart working non è di per sé dannoso o necessariamente connesso al burnout a patto di imparare ad utilizzarlo bene. Su questo sembra ancora mancare una formazione ad hoc sia per i lavoratori che per capi e dirigenti poiché molti ambienti di lavoro faticano a dare fiducia all’autonomia organizzativa dei propri dipendenti e collaboratori. 

 

Ma se utilizzato in quest’ottica, il lavoro agile può rappresentare una grande opportunità di cambiamento individuale e culturale. Molti potrebbero trovarsi per la prima volta a dover imparare a gestire con assertività e consapevolezza i confini fra vita professionale e vita privata (non è mai troppo tardi per imparare a dire di no). 

 

Altri potrebbero dover rimettere in discussione un “mito” molto diffuso: quello per il quale essere sempre impegnati e non avere mai tempo sia sinonimo competenza e successo. Può darsi che il lavoro da casa offra l’opportunità di rivalutare una diversa gestione del tempo e scoprire che la propria efficienza lavorativa non viene sminuita – ma anzi aumentata – dalla possibilità di godere anche delle pause e del tempo libero.