Mi sento vuota, come posso uscirne? Risponde l’esperto

“Non provo emozioni”; “Non sento più niente, perché?”: queste sono alcune delle domande che possono risuonare nella mente di chi sta attraversando un periodo emotivamente difficile. Proviamo a rispondere (e a superare un momento di forte dolore) insieme alla psicologa psicoterapeuta Cristina Rubano.

Mi sento vuota, risponde l'esperto

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Pensavamo di avere la nostra vita sotto controllo, la ferma convinzione che tutto andasse come immaginavamo e che il nostro destino dipendesse soltanto da noi. Poi le circostanze, com’è successo – ma è solo un esempio - nell’ultimo anno con l’avanzare della pandemia da Covid, ci hanno messo di fronte a nuove fragilità. 

 

Lo spaesamento di fronte a una perdita, alle incertezze del futuro o a una difficoltà del momento può assumere contorni preoccupanti che vanno dal profondo vuoto interiore o al timore di stare sprofondando in una forma di depressione.

 

Alle domande più frequenti che possono sorgere nei momenti difficili della vita o davanti a un evento traumatico difficile da superare abbiamo chiesto alla psicologa psicoterapeuta Cristina Rubano specialista in Psicologia della Salute di aiutarci a trovare le risposte ai nostri quesiti più intimi e ripartire alla ricerca di un anelato equilibrio. 

 

Perché mi sento vuota?

La nostra mente quando si sente sovrastata da emozioni, eventi, richieste esterne che eccedono le proprie capacità di fronteggiamento reagisce attivando una serie di difese per evitare di andare in “cortocircuito”. In realtà gli eventi che viviamo non sono mai stressanti di per sé: molto dipende da come li interpretiamo cognitivamente ed emozionalmente.

 

Se per qualche motivo sentiamo che le nostre risorse sono insufficienti battiamo in ritirata e attiviamo tutta una serie di meccanismi per disconnettere la mente da ciò che ci sembra troppo pericoloso, traumatico o disorganizzante. 

 

Il senso di vuoto interiore rientra fra queste difese mentali, non si tratta di una sensazione univoca, ma di una percezione soggettiva che può avere diverse caratteristiche e motivazioni differenti. Alcune persone, ad esempio, provano un senso di vuoto simile ad un’anestesia emotiva e a un senso di irrealtà dopo aver assistito ad eventi particolarmente sconvolgenti e potenzialmente traumatici. Altre lo riferiscono più come una sensazione di angoscia dovuta ad un vissuto depressivo denso di autocommiserazione, colpa e autosvalutazione.

 

Per altre ancora è un senso di solitudine, magari a seguito di un lutto o di una separazione complicata, difficile da riempire (è stato coniato anche un termine per la paura della solitudine: autofobia). Altre persone ancora percepiscono un costante senso di insicurezza e insoddisfazione nonostante innumerevoli successi e traguardi raggiunti. Le origini del vuoto interiore possono essere dunque molto diverse a seconda della fase di vita e delle caratteristiche di personalità di ognuno.
 

A volte penso di non provare niente, come mai?

Ad alcune persone capita di vivere determinati eventi catastrofici o luttuosi con un sorprendente senso di vuoto emotivo. Sono ad esempio quelle circostanze in cui non si riesce a piangere, ci si sente come affettivamente “muti”, incapaci di partecipare al dolore degli altri.

 

Ci si può sentire in colpa per l’apparente facilità con cui si continua a vivere la vita di ogni giorno e alcuni possono arrivare addirittura a dubitare dell’autenticità dei sentimenti che li legavano alla persona scomparsa. In realtà il vuoto interiore che avvertono segnala semplicemente una momentanea presa di distanza da un evento troppo sconvolgente. Questo meccanismo può accadere a persone più e meno giovani, soprattutto se in contesti familiari dove il lutto non viene elaborato correttamente. In realtà il dolore della perdita è presente, anche se non lo si percepisce, e troverà il tempo e il modo per emergere.

 

Più in generale, tutte quelle occasioni in cui ci si sorprende di sentirsi apparentemente distaccati e emotivamente indifferenti a un evento importante possono essere circostanze in cui la propria mente sta prendendo le distanze da qualcosa di troppo emotivamente sconvolgente.

 

Le persone che hanno più difficoltà a riconoscere e gestire le emozioni possono essere quelle più spesso coinvolte da questo funzionamento, insieme a meccanismi di somatizzazione (è il corpo che parla). Poter gestire la portata emotiva di un evento non dipende dall’evento in sé (o almeno non solo), ma anche dalla capacità soggettiva di identificare le emozioni che si provano – sia in sé stessi che in altri – poterle esprimere a parole e gestirle per orientarsi nel comportamento e nelle relazioni interpersonali.

 

Una buona intelligenza emotiva è il miglior “antidoto” per superare il vuoto interiore.
 

Come riconoscere se soffro di depressione?

La depressione intesa come disturbo psicopatologico (si parla in tal caso di depressione maggiore o di depressione maniacale) va distinta attentamente dalla comune tristezza o dai fisiologici processi di lutto.

 

La tristezza fa parte delle nostre emozioni di base: è la reazione emotiva che “sanamente” avvertiamo quando ci confrontiamo con una perdita di qualcuno o qualcosa. Il processo di lutto è infatti un momento di fisiologico ritiro interiore in cui la persona si confronta con questa dimensione emotiva trovando man mano un nuovo adattamento. Si tratta di processi definiti nel tempo, che solitamente non impediscono totalmente alla persona di funzionare lavorativamente o socialmente e che non intaccano la sua autostima (i sensi di colpa relativi alla morte di una persona cara fanno “parte del gioco” non sono indice di depressione).

 

La depressione invece è una condizione clinica, generalmente piuttosto severa specie se protratta o ripetuta nel lungo periodo, in cui il senso di tristezza, vuoto e perdita di interesse predominano nella mente, spesso senza una causa scatenante o in maniera chiaramente sproporzionata. Ogni persona può vivere una depressione clinica in modi differenti.

 

C’è chi ne sperimenta soprattutto gli effetti “fisici” (stanchezza, disturbi del sonno e dell’appetito, difficoltà di concentrazione) scambiandola magari per un disturbo somatico. E chi ne sperimenta in maniera più florida i correlati emotivi, relazionali e comportamentali: senso di vuoto, perdita di piacere nelle proprie attività, disinteresse per le relazioni, rallentamento fisico e mentale. Ma la caratteristica che più di tutte connota il vissuto depressivo è un intenso senso di colpa (del tutto irrazionale, sproporzionato o in alcuni casi delirante) associato a sentimenti di autosvalutazione e spesso pensieri di morte (e talvolta vere e proprie intenzioni in tal senso).

 

In questi casi è necessario chiedere aiuto. La depressione è uno dei problemi di Salute Mentale più rilevanti e si stima diverrà una delle prime cause di disabilità nel mondo occidentale, eppure una quota ancora troppo grande di persone non riesce a intercettare i Servizi e i professionisti della Salute Mentale. Se si sospetta di soffrire di depressione ci si può rivolgere al proprio medico di base o direttamente al Centro di Salute Mentale o Centro Psico Sociale del proprio territorio di residenza.
 

Quali consigli posso seguire per sentirmi meglio e superare questo vuoto?

Al di là dei versanti psicopatologici, è importante saper attuare alcune strategie per superare il senso di solitudine e di vuoto e non adagiarsi su una routine che può portare a demotivarsi e ad isolarsi ulteriormente.

 

Con le misure di contenimento resesi necessarie per contrastare la pandemia da Covid-19 molte persone hanno sperimentato un progressivo depauperamento della propria vita di relazione e delle proprie possibilità di movimento. Questo, unito agli allarmi (giustificati e non) che arrivano continuamente dai media può sovraccaricare la mente e portare ad un progressivo esaurimento psicofisico. Non a caso si è parlato di pandemic fatigue.

 

In queste circostanze è molto comune sperimentare via via una sorta di anestesia emotiva rispetto a quanto sta accadendo, sia nella propria vita personale che collettiva. Il rischio è quello di perdere il senso di una prospettiva e vivere un senso di vuoto che porta ad adagiarsi su una routine spenta e fine a sé stessa. Per questo è fortemente raccomandato di non abusare delle fonti di informazione (limitarsi a due momenti della giornata riferendosi solo a fonti ufficiali), praticare regolarmente attività fisica (le endorfine rilasciate sono un vero e proprio antidepressivo naturale), coltivare le relazioni sociali anche se con distanziamenti, DPI o mediante supporti telematici, organizzare una propria confortevole routine quotidiana che comprenda momenti di cura di sé (tempo da dedicare a passioni, hobby, rilassamento o meditazione).

 

E, ultimo ma non per importanza, dedicarsi ad azioni di solidarietà: aiutano a sentirsi parte di una comunità alimentando senso di sicurezza, fiducia in sé stessi e padronanza degli eventi (c’è sempre una piccola cosa che possiamo fare che può fare la differenza…).