Anestesia emotiva

Reagire ad un evento doloroso cercando attivamente o inconsapevolmente di attutire la propria reattività emozionale può avere vantaggi solo apparenti. L’anestesia emotiva compromette, a lungo termine, la capacità di sentirsi vitali e di partecipare anche del bello della vita.

anestesia-emotiva (1)

Credit foto
©Antonio Guillem -123rf

In medicina si somministra usualmente un anestetico per sollevare il paziente dalle sensazioni dolorose associate a interventi terapeutici più o meno invasivi che avranno tuttavia il fine di ristabilire la salute e il benessere del corpo.

La mente umana può utilizzare un meccanismo analogo in termini emozionali – per questo si parla di anestesia emotiva – per distanziarsi dalle conseguenze emozionali di eventi dolorosi, stressanti o traumatici.

Tutt’altro che una temporanea sedazione al fine di un beneficio futuro, perché le conseguenze di questa strategia possono essere paradossali spegnendo via via la vitalità della persona: anestetizzarsi dalle emozioni significa rinunciare a contattare sia quelle dolorose sia quelle positive e gratificanti…
 

Anestesia emotiva e alessitimia

L’incapacità di riconoscere le emozioni e esprimerle agli altri è definita a livello psicologico come alessitimia.

Lungi dall’essere una dimensione “tutto o nulla”, questa particolare difficoltà a partecipare della propria vita emozionale (o al contrario a rimanere travolti e mentalmente disorganizzati da essa) può rappresentare un tratto stabile della personalità o accentuarsi in particolari momenti della vita quando accadono eventi particolarmente stressanti o traumatici che rendono difficile tollerarne ed elaborarne la portata emotiva.

La mente umana può operare questo distacco “chirurgico” dalla componente emozionale degli eventi in molti modi: esprimendo il disagio mediante il canale somatico, iperinvestendo sulle componenti razionali del pensiero e valutando gli eventi esclusivamente da questo punto di vista, direzionando l’attenzione della persona su attività “distraenti” come bere, mangiare, fare acquisti ecc. Vediamone alcune.
 

Anestesia emotiva e controllo ossessivo

Coloro che hanno un funzionamento di personalità di tipo prevalentemente ossessivo sono portati a investire la maggior parte delle proprie energie mentali nella valutazione e pianificazione razionale degli eventi.

Non di rado, queste persone eccellono in ambiti lavorativi che richiedono fortemente la capacità di essere freddi, precisi, rigorosi e pianificatori fin nei minimi dettagli (si pensi ad esempio proprio alla chirurgia).

Questa dimensione della personalità può contenere dunque potenzialità adattive che possono permettere alla mente anche un elevato funzionamento in determinare aree di vita.

Se questo meccanismo è però troppo rigido, la controparte emotiva rischia di rimanere dal tutto fuori dalla portata della persona che potrebbe avere difficoltà a esprimere cosa prova in una determinata circostanza, a decodificare gli stati emotivi altrui e, più in generale, ad orientarsi in tutte quelle situazioni della vita dove le cose non sono scontatamente “bianche o nere” e dove gli imprevisti fanno sì che gli avvenimenti sfuggano ad una pianificazione e gestione esclusivamente razionale.

Ci si può sentire allora come se si fosse preda di una sorta di anestesia emotiva perché questa componente è prettamente silente o scarsamente “allenata”, aprirsi all’imprevedibilità delle emozioni può tuttavia rappresentare una scoperta in grado di connotare finalmente di tridimensionalità e “colore” la vita di una mente ossessiva.
 

Anestesia emotiva e depressione

I disturbi depressivi – occasionali o derivanti da una più generale vulnerabilità psicologica e genetica – sono caratterizzati, fra le altre cose, da una specifica anestesia emotiva che è spesso il segnale di allarme principale per la persona e coloro che le sono intorno (sebbene possano esistere anche forme di depressione mascherata, che si esprimono esclusivamente mediante il canale somatico o che virano verso la negazione maniacale).

Ci si sente sostanzialmente “spenti”, privi di energia e senza motivazione alcuna ad occuparsi del proprio lavoro, dei propri hobby o delle relazioni interpersonali.

È come se ad un certo punto tutto quello che precedentemente era fonte di piacere e interesse risultasse come indifferente e ci si sentisse di vivere al di là di un filtro che impedisce di essere realmente partecipi di ciò che accade.

Queste reazioni possono essere conseguenti a eventi fortemente traumatici o stressanti (specie quelli che vengono interpretati come lutti, separazioni, perdite) recenti o passati.

Spesso gravi perdite vissute in età precoce contribuiscono a rendere la persona più vulnerabile in età adulta a reagire a eventi analoghi con un ritiro depressivo. 
 

Anestesia emotiva e disturbi alimentari

Disturbi del comportamento alimentare come bulimia e binge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata) sono caratterizzati da una sorta di dipendenza da uno stato di anestesia emotiva.

La persona che ricerca compulsivamente il cibo e che ne abusa in modo incontrollato non è dipendente dal cibo in sé, ma dal processo (Johnston, 1996): l’atto del mangiare e del riempirsi voracemente spesso fino a star male è del tutto avulso dal gustare realmente ciò che si mangia.

Questo riempimento meccanico infatti avviene in parallelo con una sorta di progressivo “svuotamento” mentale, durante l’abbuffata infatti la persona prova un temporaneo sollievo dalla tensione emotiva fino ad arrivare a non provare più nulla entrando in una sorta di blackout mentale che in alcuni casi può esitare in un temporaneo stato dissociativo con fenomeni di derealizzazione o depersonalizzazione.

Si crea così una sorta di cortocircuito perché l’anestesia emotiva rende impossibile riconoscere i propri bisogni (di conforto, di privacy, di riposo, di imporre le proprie ragioni ecc.) e soddisfarli.

Spostandoli su un senso di “falsa” fame, non si farà altro che rimanere “affamati” su un piano affettivo: non stupisce, quindi, che quel cibo concreto di cui ci si riempie la pancia non possa risultare mai – neanche in elevate quantità – veramente “nutriente”. Il rischio è che il problema del cibo diventi così pervasivo da levare la possibilità di godere degli altri aspetti della vita.
 

Anestesia emotiva: perché chiedere aiuto

L’anestesia emotiva è dunque un campanello d’allarme che ci dice che la nostra mente, temporaneamente o un maniera più problematica, sta prendendo le distanze dalla portata emotiva di qualcosa.

Se questa strategia può rivelarsi temporaneamente utile durante un’emergenza o nello svolgimento di determinate professioni, come si accennava, ma si rivela piuttosto disadattava a lungo termine perché non consente di elaborare la portata emotiva degli eventi rischiando di anestetizzare la persona su tutti i versanti della vita.

Possiamo paragonare questo meccanismo ad un imballaggio piuttosto ingombrante posto a proteggere un oggetto evidentemente fragile, forse anche prezioso: l’obiettivo non è tenerlo a vita sepolto dagli strati che lo proteggono, ma scartarlo delicatamente per assegnargli un posto sicuro fra gli altri “oggetti” che connotano lo scaffale dell’esistenza.
 

Bibliografia
Johnston A. (1996), Il corpo delle donne: fiabe, miti e leggende per trasformare il nostro rapporto col cibo, trad it. Castevecchi, Roma, 2014.