Sessismo tra donne? È La sindrome dell'ape regina

Gli stereotipi sessisti nei luoghi di lavoro possono riguardare entrambi i sessi ed essere incarnati anche dalle poche donne di potere esistenti che contribuirebbero paradossalmente ad alimentarli. Cosa ci insegna questo fenomeno?

Sindrome ape regina

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Secondo un cliché piuttosto ingenuo ma ben radicato, gli stereotipi di genere e le disparità fra uomini e donne sarebbero alimentati da una cultura sessita, misogena portata a vanti dagli uomini a discapito del “secondo sesso” per parafrasare l’opera di Simone de Beauvoir… 

 

Ma, non è proprio così: gli atteggiamenti sessisti fanno parte di un unico universo culturale in cui sono immersi sia uomini che donne e dunque anche queste ultime possono risentirne e/o portarli avanti. Specie nei luoghi di lavoro, ambienti competitivi e “maschili” per definizione in cui sembra che alle (poche) donne di potere non resti altro che aderire alla stessa cultura misogena che le discriminava. 

 

Sono le “api regine”: le donne di potere che stimano gli uomini e discriminano e ghettizzano le altre esponenti del loro sesso sesso. Che tipo di parità vogliamo rivendicare?

 

Essere in competizione come stile di vita

“Io assumo sempre lo stesso tipo di ragazza: alla moda, magra ovviamente... e che venera la rivista, ma capita poi che si rivelino spesso, non lo so, deludenti e... stupide. Perciò con te, con quel curriculum notevole e il grande discorso sulla tua cosiddetta etica del lavoro ho creduto che tu potessi essere diversa, mi sono detta, provaci, corri il rischio, assumi la ragazza sveglia e grassa. Avevo una speranza, mio Dio, io vivo di speranze. Comunque alla fine mi hai deluso più tu di… di tutte le altre ragazze galline.”

 

Molti ricorderanno una strepitosa Meryl Streep nei panni di Miranda Priestly nel film Il diavolo veste Prada: un perfetto esempio di ape regina, una manager di successo autoritaria e intransigente, che vede il mondo da una logica esclusivamente competitiva e che aborre e svilisce qualità più tipicamente femminili che vede nelle altre donne che svaluta e prevarica senza pietà.

 

Non si tratta di semplice invidia fra donne, sarebbe riduttivo anche definirla semplicisticamente cattiveria femminile. Così come appare altrettanto riduttivo considerare donne insicure tutte coloro che semplicemente non si adeguano ad un modello di leadership e di lavoro “maschile”. 

 

Fra le api regine possiamo trovare donne di effettivo talento professionale che tuttavia non riescono ad utilizzare la loro posizione di potere per cambiare realmente le cose poiché il modo in cui si sono fatte strada nella spietata competizione lavorativa è stato quello di aderire ad un modello e ad una visione delle cose “maschile” unendosi ai loro colleghi e superiori uomini nel tipico atteggiamento maschilista che svaluta ogni aspetto del “femminile”. Le motivazioni di questo fenomeno, al di là delle personalità individuali, risiedono anche nel sessismo “mascherato” di cui sono ancora intrisi certi ambienti soprattutto del mondo del lavoro.

 

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L’uomo che non deve chiedere mai

Ve lo ricordate? Era un celebre slogan pubblicitario tanto efficace da essere passato alla storia, proprio perché con poche parole condensa il succo della visione stereotipale, che alcuni hanno definito “tossica”, della mascolinità

 

Un uomo che, dunque, per essere tale deve mostrarsi sempre e solo competitivo, forte, iper razionale, indifferente agli aspetti emotivi di sé o degli altri, che definisce il proprio valore sulla base del potere che riesce ad esercitare sugli altri (uomini e donne). E che naturalmente non lascia trapelare alcune vulnerabilità. 

 

Un modello stereotipale di successo a cui possono adeguarsi interi sistemi produttivi, finanziari, aziendali a cui le (poche) donne che decidono di farsi strada si ritrovano spesso ad aderire poiché appare la via più facile per ottenere quel potere che altrimenti potrebbe essere loro negato. Come dire: se non puoi combatterli alleati con loro. 

 

La svalutazione che l’ape regina opera nei confronti delle altre donne, non è solo un modo per tenerle gerarchicamente a distanza e salvaguardare la propria posizione di potere. Ma è anche un modo per tenere a distanza quelle parti femminili di sé stesse che hanno sacrificato in nome di quel potere “maschile” di cui hanno cercato di appropriarsi.

 

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Quale modello di parità?

Ma, riflettiamoci un attimo, quale modello di parità di genere vogliamo costruire? Un modello dove le donne per avere successo siano costrette a snaturare in parte sé stesse per aderire ad uno stereotipo tossico di mascolinità

 

Questo stereotipi tra l’altro danneggia anche gli uomini, costretti specularmente, al pari delle loro compagne, nell’angusto perimetro di una visione distorta e riduttiva del ruoli di genere che chiede agli uni e alle altre di sacrificare aspetti importanti del maschile e del femminile.

 

Davvero il futuro migliore che ci aspetta sarebbe quello di uomini e donne “livellati” su un modello sessista e stereotipale di “maschio”? 

 

Manca, in questa visione, un riconoscimento rispettoso delle reciproche differenze e del contributo che tutti, uomini e donne, possono dare nel mondo del lavoro e nei ruoli di leadership

 

L’empatia, l’intelligenza emotiva, l’analisi del contesto e la capacità di promuovere collaborazione (e non solo competizione) sono comunemente riconosciute come caratteristiche “femminili” dei ruoli di leadership particolarmente interessanti soprattutto nella realtà attuale in cui è richiesto frequentemente di lavorare in team, impegnarsi per progetti, ridefinire ruoli e funzioni adattandosi a continui cambiamenti.

 

Si tratta di attitudini e competenze che potrebbero rappresentare una felice integrazione a quelle più tradizionali e che potrebbero rendere, uomini e donne, leader migliori e di maggior successo.