Il maschile e il femminile in noi

Favorire la crescita vuol dire cogliere il potenziale emotivo maschile e femminile, tenendo conto cioè del modo più specificamente maschile/femminile di esprimere i sentimenti

Il maschile e il femminile in noi

Maschile e Femminile: processi di sviluppo della personalità

La teoria dell’attaccamento individua le fondamenta della personalità nei primi anni di vita e in particolare nel tipo di relazione che esiste tra madre e bambino.

Tra il 1964 e il 1979 Bowlby scrive la trilogia “Attaccamento e Perdita”  in cui elabora il proprio protocollo di ricerca sulla base delle osservazioni empiriche realizzate prima di lui sul comportamento dei neonati e dei bambini  (Anna Freud 1942; Spits 1946; Robertson 1948) e descrive alcuni modelli di relazione che si verificano in modo regolare nella prima infanzia, per poi delineare modelli di reazione simili da individuare nel funzionamento della personalità adulta.

Bowlby considera l’organismo umano, fin dalla nascita, non come un’entità isolata spinta dalle pulsioni in cerca di un oggetto sul quale scaricare la tensione accumulata, ma come un individuo in relazione ad altri individui.

 

Cervello destro e cervello sinistro

Ricerche neuropsicologiche hanno rilevato che i due emisferi non sono anatomicamente identici ed ogni emisfero ha una sua propensione funzionale:

  • l'emisfero sinistro è più abile nella capacità di sviluppare operazioni logiche, linguaggio (strategie di tipo intellettivo: aritmetica, scacchi), e gli competono compiti analitici come l'espressione e la comprensione del linguaggio, l'analisi dei dettagli, il ragionamento simbolico, razionalità maturità, passionalità, memoria numerica, conoscenza delle regole, il pensiero lineare (una frase per volta), la ricerca logica di una soluzione (metodo induttivo, deduttivo, analisi logica, grammatica);
  • l'emisfero destro è responsabile della riduzione dei riferimenti spazio-temporali, quindi disegno geometrico, lettura di mappe, somiglianze visive, sintesi temporale e senso musicale, della prevalenza delle funzioni rappresentativo - emotive e dell’attenzione non specifica; grazie a questo emisfero riusciamo a ricostruire la realtà da una piccola parte, cogliendo contesti, strutture e configurazioni complesse, nella loro totalità. 
  • Sia nell'uomo che nella donna: l’emisfero DESTRO è quello delle immagini, della musica e della geometria, da cui partono le grandi intuizioni della nostra vita. Esso corrisponde, alla creatività ed andrà a collegarsi al lato sinistro del corpo. L'emisfero SINISTRO invece si esprime per entrambi nella logica, nella razionalità e andrà a corrispondere al lato destro del corpo. 

Tutti i ricercatori delle neuroscienze sono oggi concordi nel considerare chela specializzazione di determinate funzioni cerebrali in modo differenziato non esiste per renderli semplicemente diversi, ma per generare un’attività di comunicazione e di comportamento sociale complementare dei generi maschile e femminile.

Questi risultati in realtà lanciano agli educatori e alle istituzioni educative un messaggio preciso: accogliere la creatività individuale dei maschi e delle femmine, come bene prezioso da coltivare, per sfatare i pregiudizi di genere e garantire a tutti la possibilità di realizzare davvero se stessi.


Quale educazione per la complessità umana?

Essenziale è l’atteggiamento personale dell’educatore di fronte al tema: i bambini e gli adolescenti hanno bisogno di percepire la serenità dell’adulto, che sia un genitore, un insegnante, un catechista, su un tema come questo, soprattutto in quei momenti dell’età evolutiva in cui più forte, in colui che cresce, si avverte il problema della propria identità in via di definizione.

Si rende necessaria una concezione dell’educazione come processo interattivo (non come discorso o come trasmissione intellettuale) in cui l’adulto è coinvolto con tutta la sua persona (con l’essere prima che con il dire o con il fare qualcosa).

Si tratta di uno spostamento di sguardo, dall'esterno verso l'interno: occorre ricentrare su di sé e sul proprio essere donne e uomini il senso da conferire all'agire educativo. Lavorare nel rispetto e nella valorizzazione della differenza non significa infatti lavorare sulle ragazze e sui ragazzi, ma su di sé e in relazione ad altre e altri, prestando ascolto alla propria differenza e alle proprie contraddizioni a partire dall'esperienza quotidiana.

 

Identikit degli stereotipi

Questo processo crea un sistema di semplificazione della realtà che serve a saperla meglio affrontare e non ridiscuterla ogni singola volta che ci si trova di fronte ad un nuovo evento o situazione Su questa base si formano e si consolidano gli stereotipi.

  • Che ruolo hanno nella scuola? La prestazione di un bambino o di una bambina rispetto a un compito assegnato è influenzata dalla percezione del compito come appropriato  per un genere o per l’altro. 
  • Come si acquisiscono? Gli stereotipi vengono trasmessi e accolti spesso in modo inconsapevole.
  • È quindi importante capire come funziona il meccanismo di trasmissione e renderlo visibile per poter cambiare i contenuti dei messaggi educativi

 

Stereotipi? Li uso, ma non ci credo!

Lo stereotipo è dannoso quando diventa da sistema di semplificazione della realtà più forte della realtà stessa e dei dati che offre:

  • profezia auto-avverante: credendo allo stereotipo senza esserne consapevoli si modella la propria vita conformandosi ad esso, tramite meccanismi di auto – segregazione formativa e professionale. È così che certe scelte di vita concretamente non impossibili, possono diventare piuttosto im-pensabili ovvero si collocano al di fuori dei repertori simbolici che abbiamo a disposizione per pensarci in quanto donne e in quanto uomini! 
  • distorsione: credendo nell’irriducibile diversità ed estraneità dei rispettivi universi mentali incorporata nel sistema mentale contribuirà a strutturare gli schemi di azione delle persone, le quali così si troveranno  a dar vita a situazioni di conflitto segnate da reciproca incomprensione. 
  • Educare al maschile e al femminile vuol dire formare a pensare se stessi e se stesse in base a ciò che si desidera per la propria esistenza e aiutare a non aver paura di fare scelte non convenzionali (es. professione, etc.). Se chi educa non dà questo spazio a se stesso, inconsapevolmente finirà col negarlo anche agli allievi e alle allieve. Questo implica un sacrificio narcisistico: passare dal pensare a un “soggetto” neutro in senso astratto, a una persona con il proprio mondo maschile e femminile. 

 

Il Maschile e il Femminile che sono in noi

Occorre passare dallo stereotipo ad una com-prensione altra: noi non siamo capaci di comprendere l’altro perché abbiamo espulso l’altro che è in noi. 

L’educazione che veicola valori opposti per maschi e femmine mira ad espellere l’altro da noi. Questo è un fattore predisponente quell’incomunicabilità che genera conflitti e che a volte assume l’aspetto di una vera e propria guerra con le sue vittime e le sue abissali solitudini, cui assistiamo nella società odierna e nelle scuole (bullismo femminile e maschile, stalking, mobbing, etc.).

L’incontro dunque come possibilità che si dischiude a partire dal riconoscimento dell’altro che è in noi.


“L’equilibrio dell’Io è sempre quello dell’acrobata sul filo” (Erikson)

Si deve a C.G. Jung, già agli inizi del Novecento, la prima fondamentale intuizione che la psiche umana presentasse componenti maschili e femminili in tutte le persone, a prescindere dal loro sesso, e che quindi ogni identità personale risultasse intrecciata psichicamente in termini soggettivi anche molto differenziati.

Già in un saggio del 1931 dedicato alle età della vita, Jung aveva osservato il trasformarsi degli uomini, invecchiando, in senso femminile, e delle donne in senso virile.

Egli vide in questo un esito osservabile del processo di integrazione fra Io e Sé che egli considerava il compito dell’esistenza individuale. Se la via maestra è la scoperta intuitiva della comune umanità (l’universalità della condizione umana), educare al maschile e al femminile vuol dire facilitare la scoperta della coesistenza di elementi psichici maschili e femminili in ciascuno di noi.

 

Come facciamo concretamente a riconoscere l’altro che è in noi?

Ci sono alcune esperienze comunicative che ci aiutano: possiamo avere accesso al mondo dell’altro attraverso le risonanze suscitate in noi dal racconto delle esperienze e delle emozioni vissute da lui vissute in una certa situazione.

Scopriamo così che il nostro corpo e la nostra mente possono vibrare assieme all’altro come un diapason.  

 

Come comprendere l'altro?

Comprendere l’altro è un atto di base supportato dalle funzioni psicologiche e biologiche: l’organismo sa il cosa ma non sa il come” = il come si sviluppa per mezzo dell’educazione! Pensare il bambino significa riconoscere seriamente la sua sfera emotiva; quando questa viene definita dagli adulti la "parte fragile" o il "lato femminile" del maschio, induce il bambino, fin da piccolissimo a negarla, a soffocarla, come se non gli appartenesse.

Ovviamente, al contrario, le emozioni sono parte integrante anche della personalità dei maschi, come lo sono delle femmine, devono entrare a pieno titolo nello sviluppo della loro intelligenza, dare colore e qualità ai saperi che attraverseranno la loro formazione. Ciò richiede di saper  inserire non solo nelle relazioni con alunni e alunne, ma anche nello specifico dei contenuti didattici, il potenziale emotivo maschile e femminile, tenendo conto cioè del modo più specificamente maschile/femminile di esprimere i sentimenti.

L’aggressività e l’iperattività dei bambini nel periodo evolutivo sono da guardare come espressioni di come il prezzo doloroso, da pagare, da parte di tanti bambini, per mettere a tacere le parti più intime, più delicate che sentono vive, reali e belle dentro di sé, al pari delle bambine, ma che diventano estremamente ingombranti se non c’è chi le apprezza e li aiuta a gestirle.

Non a caso gli educatori e le educatrici più capaci di entrare in una relazione sintonica con i bambini sono coloro che non hanno fatto dell’età adulta un traguardo raggiunto, ma sanno, come i bambini, continuare a mettersi in gioco, pronti a lasciare i propri schemi mentali, là dove un confronto autentico con la realtà lo richieda.

 

Abbracciare la complessità

È questa la sfida che abbiamo di fronte: promuovere la costruzione individuale della persona riconosciuta nella sua infinita processualità. La sfida è guardare al maschile e al femminile in un’ottica che ne abbracci la complessità e non la appiattisca.

Lavorare per abbracciare la complessità significa allargare il proprio orizzonte di senso volendo guardare il mondo al di là di stereotipi, che se da un lato semplificano dall’altro ci fanno perdere grandi fette di realtà.