Mantenere la serenità in casa durante la convivenza forzata da Covid

La criminologa Flaminia Bolzan fornisce alcuni suggerimenti per migliorare il clima domestico "esasperato" dal prolungarsi delle misure restrittive a contrasto dell'emergenza coronavirus.

Convivenza coatta

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Era soltanto la scorsa primavera, la Fase 1, quando l'Istat raccoglieva dati di un dramma che si stava consumando silenziosamente nelle case mentre fuori imperversava il pericolo della pandemia. Secondo l'istituto di statistica nei mesi da marzo a giugno 2020 si è registrato in Italia un incremento di chiamate al numero verde anti-violenza e stalking 1522 del 119% rispetto al 2019

 

Come e perché si complica la convivenza quando è forzata, quale attualmente è dalla pandemia in corso. La psicologa criminologa Falminia Bolzan spiega che per ciascun individuo sia ora necessario “un processo di adattamento alle circostanze sociali e ambientali che sono di fatto mutate in relazione alla pandemia”.  Con lei abbiamo parlato di convivenza coatta

 

Lei come spiega il dato Istat?

Il primo approccio all’analisi di questo dato mi impone di interpretarlo alla luce dell’esatto significato che ha, ovvero, facendo la premessa per cui non sarebbe corretto sovrapporre in maniera assiomatica i contatti al 1522 e l’incremento degli episodi di violenza domestica al periodo di chiusura a causa del Covid-19.

 

Faccio questo ragionamento perché alcuni di questi contatti possono essere classificati in vere e proprie richieste di aiuto, mentre altri possono aver a che fare con richieste di informazioni e/o di consulenze per situazioni pregresse e pertanto non strettamente riconducibili al lockdown. 

 

Ad ogni modo, il fatto che ci sia stato un grande incremento nelle chiamate è un indicatore anche decisamente importante da cui partire per analizzare la relazione tra la convivenza forzata e la correlazione di questa con la violenza domestica; è evidente infatti che la variabile in questione, si riveli un fattore importante da valutare perché espone il soggetto passivo a una vicinanza con l’agente per un periodo temporale elevato in assenza della possibilità, anche materiale, di svincolarsi dalla situazione.

 

Flaminia Bolzan, criminologa

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Lei ha ricondotto il matricidio avvenuto a Roma a problemi psichichi preesistenti che, nella convivenza forzata potrebbero averlo condotto all'omicidio. Quali sono i meccanismi mentali che si scatenano?

La condizione attuale presuppone per l’individuo la necessità di un processo di adattamento alle circostanze sociali e ambientali che sono di fatto mutate in relazione alla pandemia e col termine adattamento intendiamo una variazione comportamentale che vada incontro alle domande del contesto. 

 

La psicopatologia, per certi versi e secondo alcuni modelli, può essere intesa come assenza di resilienza e pertanto come incapacità di riorganizzarsi positivamente a fronte di eventi traumatici o stressanti. 

 

Massimo Recalcati ha definito ciò che abbiamo sperimentato come un vero e proprio trauma e questa lettura mi trova pienamente in accordo, va da sé che, per alcune personalità, l’impossibilità di questa riorganizzazione possa condurre a veri e propri scompensi e quindi anche ad agiti. 

 

Il caso di Roma potrebbe essere legato ad aspetti psicopatologici del ragazzo, forse all’incapacità di fronteggiare adeguatamente la frustrazione data dalla chiusura imposta e di conseguenza all’impossibilità di controllare l’aggressività nei confronti di un “oggetto” che in quel momento veniva percepito come fonte di frustrazione. 

 

Vi sono differenze tra le reazioni emotive dei più giovani o degli anziani?

Non abbiamo ancora degli studi che ci permettono di differenziare la frequenza di agiti eterolesivi in relazione al lockdown rispetto alla prevalenza in una popolazione di giovani o di anziani, pertanto non mi sento di dare una risposta netta per ciò che attiene situazioni analoghe a quella di cui abbiamo parlato prima. 

 

Per ciò che riguarda invece l’esacerbarsi di disagi psicologici che non includono agiti antigiuridici, è stato dimostrato come la separazione dalle relazioni metta gli adulti più anziani a maggior rischio di depressione e ansia, amplificando il grado di disturbi affettivi già correlati all’avanzamento dell’età

  • nei bambini sotto i 6 anni, i disturbi più frequenti registrati sono stati l’aumento dell’irritabilità, i disturbi del sonno e i disturbi d’ansia (inquietudine, ansia da separazione). 
  • Mentre nei bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni è prevalsa una significativa alterazione del ritmo del sonno, oltre che un’aumentata instabilità emotiva con irritabilità e cambiamenti del tono dell’umore. 

 

Lo studio a cui faccio riferimento, che è stato realizzato dall’Istituto Gaslini di Genova, ha inoltre messo in luce che il livello di gravità dei comportamenti disfunzionali dei bambini e dei ragazzi è statisticamente associato al grado di malessere dei loro genitori. Questo significa che all’aumentare dei sintomi di stress causati dall’emergenza Covid-19 nei genitori, aumentano i disturbi comportamentali e della sfera emotiva nei bambini e negli adolescenti.

  • In generale, nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni si riscontra invece la quota più elevata di chi dichiara di percepire maggiormente il peso della solitudine.

 

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Riguardano maggiormente le coppie o i nuclei familiari?

Non posso portare un “dato” che non ho a mia disposizione, ma posso fare insieme un ragionamento sulla base del percepito e una valutazione che attiene principalmente il vissuto psicologico rispetto alla famiglia, che essendo un sistema presuppone l’interdipendenza dei singoli che lo compongono. 

 

Mi spiego meglio, la dimensione relazionale familiare può essere un fattore protettivo per ciò che attiene il potenziale sviluppo di un comportamento problematico legato alla condizione pandemica da parte di uno dei componenti, ma può anche costituire il contesto in cui le problematicità si esacerbano, e allo stesso modo la coppia. Quello che fa la differenza è la percezione e soprattutto le modalità di gestione delle situazioni di conflitto (se presenti). 

 

Non manca un acuirsi di una insofferenza nei confronti dei conviventi. Per quali motivi l'insofferenza cresce?

L’insofferenza può crescere se ci sono situazioni conflittuali antecedenti, se vi è un’insoddisfazione nella relazione che viene slatentizzata e amplificata dalla condizione di confinamento coatto, ma ci sono anche situazioni in cui il lockdown ha portato a una ri-scoperta della condivisione di momenti che nella normalità pre-covid erano relegati a uno spazio limitatissimo della quotidianità delle persone.

 

Aumentano anche i litigi in un confronto serrato?

Con l’aumento del tempo trascorso nel medesimo spazio fisico, che a volte è limitato, aumentano anche le possibilità che vi siano delle divergenze, questo è ovvio. 

 

Ma il litigio in sé può anche assumere un valore positivo perché, quando lo scopo non è quello di “distruggere” l’altro, ma quello di farsi capire e capire, mantenendo un livello di emotività adeguato, l’esito e il guadagno è nella “qualità” della relazione.

 

Come imparare a placare la rabbia?

Consiglio prima di tutto di riconoscerla e accettarla. La rabbia è un’emozione, spesso sgradevole e complessa da gestire, ma in quanto tale ha un suo significato. Indica che “qualcosa” o “qualcuno” sta intralciando il nostro percorso verso un obiettivo, reale o immaginato che sia, quindi dovremmo fermarci e domandare a noi stessi cos’è che ci infastidisce e poi cercare di capire se la rabbia che monta dentro di noi è data da un’insofferenza generale, o al contrario ha radici profonde.

 

Per placarla è necessario imparare a “riconoscere i segnali”, ovvero a capire quando la rabbia sta per prendere il sopravvento e poi impegnarci a migliorare le nostre abilità di rilassamento.  

 

Come mantenere in casa un clima più sereno?

Ritengo che la serenità sia un obiettivo che per essere raggiunto richiede anzitutto dedizione e disciplina. La serenità è uno stato d’animo e quando lo sperimentiamo, automaticamente ci ritroviamo in una condizione di benessere che si ripercuote anche sull’ambiente circostante.

 

Il mio consiglio in questo senso è quello di imparare a focalizzare l’attenzione su ciò che ci accade interiormente, ponendo noi stessi in un atteggiamento mentale non giudicante.

 

Per mantenere un buon clima in casa, quindi, è importante imparare ad ascoltare attivamente chi sta con noi, fare domande e cercare un confronto che sia sempre costruttivo. 

 

Come trovare la serenità nei momenti difficili?

La società, frequentemente, ci spinge oltre i nostri limiti. La mancanza di tempo sembra essere la problematica e la scusa; la noia il nemico da fronteggiare, la perdita di interesse una condizione cronica. 

 

Serenità è riappropriarsi di una dimensione di pace che è dentro di noi, è dedicarci ad attività che ci danno gioia, è concederci il lusso di cercare la bellezza e di soffermarci dove in altri momenti possiamo solamente posarci.

 

Come supportare i più piccoli, privati di tante esperienze che fanno loro crescere?

Le esperienze di socializzazione sono molto limitate e proprio recentemente mi sono soffermata a riflettere sulla difficoltà di mantenere una buona “apertura” nei confronti dell’altro in questa condizione che ci impone un distanziamento personale, che ci limita nella possibilità di abbracciarci, di vivere le relazioni nella corporeità.  

 

Soprattutto per i bambini questa è importantissima e il nostro compito di adulti dovrà essere quello di accompagnarli, gradualmente e con gli strumenti che abbiamo a disposizione, verso la comprensione di ciò che sta accadendo. Dovremo essere in grado di cogliere il senso profondo di ciò che stiamo vivendo, rinunciando all’illusione di poter controllare ciò che è fuori dalla logica della governabilità e senza cadere nel tranello dell’odio e della paura nei confronti dell’alterità, allora forse, potremo dire di avercela fatta. 

 

Quali sono le problematiche, oltre alla solitudine, di chi trascorre questo periodo da solo?

Il senso di solitudine è quasi una reazione fisiologica, il problema è che in questa condizione non si rappresenta come una scelta ponderata, specie se non siamo in equilibrio o a nostro agio. È una sorta di distacco forzato dal mondo e in quanto tale, pesa.

 

Chi è da solo può aver sperimentato maggiormente le difficoltà legate al mantenimento di un ciclo sonno veglia regolare, ha magari alterato anche le sue abitudini alimentari e in generale ha sperimentato una condizione in cui anche condividere un’emozione diventava impossibile se non attraverso un canale di comunicazione, il virtuale, che per molti non è familiare. 

 

Quanto può incidere l'onnipresenza di servizi sulla pandemia in televisione?

Moltissimo. Siamo esposti a un bombardamento continuo di informazioni e spesso diventa difficile discriminare tra queste notizie, specie quando la comunicazione è intrinsecamente contraddittoria. 

 

Nella prima fase della pandemia ci siamo resi conto di quanto i messaggi fossero in contrasto tra loro e questo aspetto ha generato confusione e smarrimento in molte persone.
Tanti si sono trovati a sperimentare una sorta di compulsione nella ricerca sempre maggiore di rassicurazioni che non arrivavano e questo aspetto a mio avviso ha rappresentato una problematicità.

 

È comprensibile l’attenzione a questo a tema e doveroso il lavoro che i media stanno svolgendo nella narrazione di una realtà che certamente è dolorosa e complessa, ma personalmente credo che non debba diventare “totalizzante”