5 “errori” che possono far fallire il distanziamento sociale

Potrebbe essere più difficile ora, nella Fase2, osservare le norme e prevenire i rischi. Ecco 5 “errori” di pensiero che possono diffondersi tra le persone e far fallire il distanziamento sociale.

Distanziamento sociale

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Siamo stati chiusi a casa per quasi due mesi, niente cene, niente visite ad amici e parenti, niente shopping per negozi, per molti niente ufficio… Si legge che le persone sono state, nella maggior parte dei casi, scrupolosamente attente e responsabili nel rispettare le rigide restrizioni imposte da lockdown, perché dunque non dovremmo aspettarci altrettanto anche nella fase 2 del ritorno alla normalità

 

Le cose potrebbero non essere così semplici… Alice Boyes, sulle pagine di Psichology Today, ci mette in guardia da 5 errori di pensiero che potrebbero far fallire il distanziamento sociale nonostante le buone intenzioni. Vediamo perché.
 

1. “Ho infranto le regole una volta e non è successo niente”

Alcuni già durante il lockdown hanno sfidato le restrizioni per riuscire ugualmente a incontrarsi con amici, partner o parenti o conoscono persone che lo hanno fatto. Il fatto che nella maggioranza dei casi (fortunatamente) questi comportamenti non abbiano avuto conseguenze può rappresentare un “precedente” piuttosto pericoloso per gli atteggiamenti che queste stesse persone potrebbero adottare anche nella fase 2. 

 

Purtroppo siamo abituati a modificare la nostra personale percezione del rischio in funzione di quanto ci sentiamo concretamente esposti al pericolo e toccati da vicino da un evento avverso. Le persone che risiedono in regioni dove la pandemia da coronavirus non ha raggiunto le proporzioni catastrofiche osservate altrove potrebbero ritenersi meno soggette a rischio e quindi trasgredire più spesso alle norme raccomandate per la prevenzione del contagio. 

 

Soprattutto se già durante il lockdown ci si è concessi qualche “deroga” ed essa non ha avuto conseguenze, questo può indurre a ritenere tali comportamenti poco rischiosi e quindi a ripeterli nuovamente secondo un assunto implicito e irrazionale della mente per cui “se non mi è accaduto nulla la prima volta vuol dire che non è rischioso farlo”. 

 

2. “Se intorno a me tornano alla normalità, vuol dire che tutto andrà bene”

“Andrà tutto bene”… quante volte lo abbiamo sentito, letto e ascoltato dai balconi, tv, meme su Facebook e striscioni sui palazzi? Andrà tutto bene finché restiamo a casa e ora, si potrebbe parafrasare, andrà tutto bene perché le persone intorno a noi riprendono a fare la vita di sempre.

 

In queste premesse del pensiero, spesso condivise socialmente a livelli del tutto inconsapevoli, si sono pericolosi elementi di negazione. 

 

Andrà tutto bene… Cosa significa questo? Stiamo assistendo a un evidente stato di emergenza sanitaria che si sta riflettendo in una preoccupante emergenza economica e sociale, pesare che ci sarà un lieto fine da fiaba ad attenderci che riporterà le cose a come erano prima è non solo fuorviante, ma anche pericoloso. Si perché questo tipo di aspettativa “magica” rischia di farci negare la reale portata del momento che stiamo vivendo: nulla sarà esattamente come prima compreso il ritorno alla “normalità”. 

 

Ci attende un lungo periodo fatto di distanziamento sociale, utilizzo di mascherine, attenzioni igieniche prima impensabili: siamo usciti dal lockdown ma non siamo affatto tornati alla “vita di prima”. Pensare il contrario espone al rischio di ritornare alle abitudini precedenti allentando mano mano le cautele raccomandate fino a fare “come se” il virus non ci fosse più. 

 

Paradossalmente c’è più probabilità che le cose possano andare nel miglior modo possibile se teniamo a mente che no, non va bene per niente ed è necessario ora più che mai adottare abitudini profondamente diverse da prima.
 

3. “Fuori è bel tempo e la bella stagione porterà via il contagio”

Gli scienziati hanno più volte ribadito una forte incertezza riguardo se e come il coronavirus potrebbe o meno modificare la sua diffusione con l’arrivo del caldo estivo (stiamo vedendo d’altra parte che la pandemia non risparmia aree ben più calde del pianeta come certi paesi del Sud America, l’India o l’Africa). 

 

Ma nel sentire comune l’arrivo dell’estate è associato da un lato ad un recedere delle comuni influenze stagionali e quindi alla riduzione di attenzioni e cautele in tal senso. Dall’altro ad una percezione socialmente più “disimpegnata” del vivere, all’attesa delle vacanze e con esse di un periodo di sospensione da una serie di doveri, abitudini e regolamentazioni di tempi e spazi che durante l’anno scandiscono più rigidamente le nostre giornate. 

 

Questi fattori sono in netto contrasto con il rischio epidemiologico che ci viene ricordato continuamente da giornali e tv, il che crea un particolare stato di dissonanza nella mente delle persone: da un lato l’avvento della spensieratezza vacanziera dell’estate, dall’altro invece la costante attenzione ai nostri comportamenti che le norme anticontagio e il distanziamento sociale ci impongono… 

 

E quando gli esseri umani si trovano in questa particolare condizione di dissonanza cognitiva (Festinger, 1957) raramente modificano i propri atteggiamenti, più spesso invece cercano di annullare tale dissonanza utilizzando giustificazioni e razionalizzazioni di ogni tipo. Ad esempio pensando “non può accadere a me”, ritenendo arbitrariamente che derogare a certe norme solo con alcune persone non comporti un grande rischio o pensando qualcosa come “me lo merito in fondo” dopo tanti mesi di sacrifici. Accade già per molti altri comportamenti rischiosi per la salute come ad esempio il fumo di sigaretta. 

 

4. Le persone più “intraprendenti” si assumono dei rischi

Questo è un aspetto sociale molto complesso. Se è vero che star, personaggi famosi e influencer stanno facendo il possibile per incentivare l’utilizzo delle mascherine proponendo loro stessi come modelli “virtuosi” da imitare è anche vero che non si possono escludere pressioni sociali contrarie in tal senso. 

 

Indossare la mascherina serve se la portano tutti, il distanziamento sociale è possibile se si mantiene reciprocamente il rispetto delle distanze raccomandate. 

 

Ma cosa accade se in determinati ambienti, magari di lavoro o di altro tipo, la maggioranza delle persone intorno a noi allenta queste misure considerandole eccessive, inutili e stigmatizzando coloro che intendono applicarle? Quel che forse non si considera abbastanza è che l’adozione del distanziamento sociale o di altre precauzioni non può essere considerato un comportamento individuale ma relazionale perché richiede il rispetto e la collaborazione di entrambe le parti. 

 

La pressione sociale a fare il contrario può influenzare negativamente anche le persone normalmente più attente, è un fenomeno già ben conosciuto in psicologia sociale: pur di non essere esclusi dal gruppo si adottano a volte comportamenti in netto contrasto con le proprie personali abitudini e i propri principi pensando che siano gli “altri” ad avere l’ultima parola. Attenzione dunque a quelle situazioni in cui può sembrare che il rischio non esista semplicemente perché tutti gli altri lo ignorano

 

5. Familiari o estranei non fa differenza

Il distanziamento sociale e altre misure di contrasto al contagio sono ugualmente necessarie sia che si incontrino amici e familiari sia che ci si rapporti agli estranei

 

Questo principio va in netto e doloroso contrasto con quelle che sono le distanze interpersonali che intuitivamente tutti noi regoliamo in base alla prossimità affettiva del nostro interlocutore. In quanto esseri umani, infatti, assegniamo precisi significati emozionali allo spazio che si estende intorno ai confini del nostro corpo ammettendo (e di buon grado) nella zona a esso più prossimale solo coloro con cui abbiamo un rapporto intimo e confidenziale e mantenendo via via a distanze progressivamente maggiori coloro con i quali abbiamo rapporti di conoscenza, relazioni formali o professionali o che non sono direttamente parte della nostra cerchia di conoscenze (si pensi ad un relatore che fa una conferenza a cui assistiamo seduti a diversi metri di distanza). 

 

In altre parole: normalmente regoliamo la vicinanza/lontananza dagli altri sulla base a significati emozionali, psicologici e relazionali in modo che tali distanze siano il più possibile isomorfe alla natura della relazione che abbiamo (o che vorremmo avere) con una data persona.
Le situazioni che sovvertono questo meccanismo comportano forte disagio. Ne trovavamo un esempio nei treni e autobus affollati di pendolari costretti a spostarsi all’ora di punta. 

 

Con il distanziamento sociale assistiamo al fenomeno opposto: siamo costretti a tenere a distanza tutti indiscriminatamente, amici ed estranei (conviventi esclusi naturalmente). Questo può essere molto difficile perché costringe a considerarci reciprocamente potenziali fonti di contagio l’uno per l’altro anche se si è legati da un legame affettivo. Questi fattori possono portare famiglie a riunirsi in modi inavveduti, parenti e amici ad allentare gradualmente il distanziamento sociale o l’utilizzo di mascherine. 

 

E questo può riguardare anche persone normalmente piuttosto attente e scrupolose là dove il rischio rappresentato dal potenziale contagio viene annullato dal senso di sicurezza percepito in funzione del legame affettivo che intratteniamo con quella persona.