Potenzialità e limiti della mente estesa

La mente e le sue funzioni possono essere concettualizzate ben al di là del cervello, includendo tutti quegli artefatti esterni, simbolici e tecnologici, che compartecipano alla cognizione umana. Il concetto di mente estesa induce a riflettere su quanto le nostre prestazioni cognitive dipendano ormai inscindibilmente dai device tecnologici di cui disponiamo: siamo ormai dei cyborg a tutti gli effetti?

Mente estesa - Extended Mind

Credit foto
©Sergey Nivens / 123rf.com

 

Quello che pensiamo non lo pensiamo solo grazie alle risorse neurologiche e rappresentazionali della nostra testa, ma anche “appoggiandoci” ad alcuni sostegni esterni – dal linguaggio ai supporti multimediali – che consentono di amplificare le nostre capacità cognitive.

 

Secondo questa concezione, i nostri cervelli e gli artefatti più e meno tecnologici di cui disponiamo, sono in un interscambio continuo e bidirezionale formando una mente estesa che ha i suoi confini bel al di là di quello della nostra scatola cranica. Può sembrare una teoria complicata e piuttosto astratta eppure fornisce spunti interessanti riguardo ad esempio al ruolo che i device tecnologici hanno assunto nelle nostre vite. Non avremo un chip nel cervello, ma i confini fra ciò che è dentro e fuori la nostra mente potrebbero essere molto più sfumati di quanto immaginiamo… Criticità o risorsa?

 

La mente estesa in psicologia

Il concetto di mente estesa in psicologia è stato introdotto nel 1998 nell’ambito delle nuove scienze cognitive da Andy Clark e David Chalmers

 

Il paradigma del cognitivismo classico era incentrato sul funzionamento di processi di elaborazione delle informazioni e di conoscenza essenzialmente intraindividuali. Le scienze cognitive di ultima generazione propongono una “svolta epistemologica esternalista” ponendo l’accento sul contributo dell’esperienza corporea (incarnata e situata), del contesto sociale e degli artefatti simbolici e tecnologici alle funzioni cognitive (Caravà, 2014). 
In questo contesto si colloca il contributo di Clark e Chalmers che pararono della loro teoria nell’articolo  The Extended Mind pubblicato nel primo fascicolo del 1998 della rivista Analysis. 

 

Noi pensiamo e ragioniamo, secondo gli Autori, in simbiosi con gli artefatti tecnologici e simbolici di cui quotidianamente ci serviamo, questo fa sì che le nostre menti siano distribuite fra i circuiti neurali biologici interni e i circuiti non biologici situati oltre il cervello fisico. Se potrà sembrarvi una posizione quasi fantascientifica, l’esempio seguente vi aiuterà a comprenderla in termini molto più ordinari… 

 

Un esperimento mentale sulla mente estesa

Nel loro articolo Clark e Chalmers illustrano il concetto di mente estesa riportano un esperimento mentale di cui è protagonista Otto, un uomo affetto da Alzehimer che deve raggiungere il MoMA di New York e che, non potendo fare affidamento sulla propria memoria per arrivare alla meta, si avvale di un taccuino che è solito portarsi sempre dietro e che utili lizza come supporto “esterno” per annotare le informazioni.
In che termini il taccuino di Otto può essere considerato un esempio di mente estesa?

 

Anzitutto le annotazioni che egli vi ha riportato, l’indirizzo esatto del MoMA, fungono da supporto esterno per l’archiviazione di informazioni che egli non riuscirebbe a trattenere autonomamente neanche nella memoria a breve termine. Questo fa sì che egli abbia a sua disposizione la convinzione del luogo esatto in cui deve recarsi per andare a visitare una mostra che gli interessa in maniera del tutto analoga a quanto accade ad un’altra persona che si avvalga della propria memoria naturale

 

Le credenze e i comportamenti dei due individui non cambiano: entrambi utilizzano delle informazioni (archiviate nella memoria interna o “esterna” del taccuino) per compiere le operazioni mentali che consentono loro di arrivare alla meta.

 

In questo senso si può dire che Otto e il taccuino da cui non si separa mai, sono in un rapporto di “Coupling”: una sorta di simbiosi fra cervello biologico e un artefatto esterno mediante il quale le informazioni siano sempre disponibili, facilmente reperibili e accessibili esattamente come avverrebbe se tali funzioni fossero interne. Questo accoppiamento fa di Otto e del suo taccuino un sistema cognitivo autonomo ed esteso (Caravà, 2014; Herczegh, 2016).

 

Non è in fondo molto diverso dal razionale che prevede l’uso di misure compensative previste dalla legge nel caso di prove di esame per concorsi pubblici per persone con DSA. Queste persone vengono messe, in tal modo, in una condizione di parità di risorse con gli altri concorrenti e nella condizione di poter funzionare al meglio delle proprie risorse e competenze.
 

Mente estesa e device tecnologici

Se secondo la teoria della mente estesa, le nostre prestazioni cognitive sono distribuite e dislocate in simbiosi fra i meccanismi neuronali del nostro cervello gli artefatti esterni che utilizziamo, tutto ciò non può non indurci a riflettere sull’uso che facciamo ogni giorno della tecnologia.

 

I device come smartphone e tablet sono effettivamente dei supporti multimediali con cui ormai viviamo in piena simbiosi e che inevitabilmente, come è stato anche suggerito da alcune ricerche, stanno influenzano e influenzeranno il modo in cui ragioniamo e pensiamo.

 

Siamo ad esempio più bravi nel prestare attenzione a più input contemporaneamente (multitasking), ma più scarsi nel mantenere la concentrazione su un'unica fonte per molto tempo. Siamo più “reattivi”, sempre in allerta, abituati ad attenderci uno stimolo da un momento all’altro (un messaggio, un’email, una notizia…) tanto che facciamo uno sforzo maggiore per mantenere l'attenzione. E, non ultimo,in tempi di pandemia, siamo sempre più spesso alle prese con videochat e call conference con tutte le differenze, in termini percettivi e cognitivi, che questo comporta. 

 

Siamo insomma parte di sistemi cognitivi ibridi che amplificano, modificandole, le possibilità delle nostre menti. Tutto ciò presenta risorse e limiti, sta a noi decidere come utilizzare queste frontiere “estese” a nostra disposizione: se come gabbie o come strumenti per alimentare la creatività e le nostre potenzialità. 

 

 

Bibliografia
Caravà M. (2014). La nozione di mente estesa, tra scienze cognitive, semeiotica e pragmatismo. Alcune riflessioni a partire dal tema del linguaggio. RIFL / SFL (2014): 139-151. DOI 10.4396/01SFL2014
Clark A. & Chalmers, D.J. (1998). The Extended Mind. Analysis, 58(1): 7-9, DOI:10.2307/3328150.
Herczegh M. (2016). CORPO-MENTE-MONDO Passi verso la mente estesa. International Relations Quarterly, 7(2).

 

Competenze - Terminologia e dintorni