Skin Hunger, cos'è la "fame di pelle"

L"astinenza” da abbracci dopo l’isolamento si fa sentire e il distanziamento sociale preclude di starci davvero vicini. Il contatto fisico è essenziale? Sì, ma (per fortuna) anche no!

Skin Hunger - Fame di pelle

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Dopo un periodo di relativo isolamento si è tornati a vivere anche fuori dalle mura di casa, ma il distanziamento sociale impone ancora di rinunciare a quel contatto fisico a cui si era così scontatamente abituati con parenti, amici e fin anche conoscenti.   

 

Skin Hunger è un termine coniato proprio per alludere a questa “fame di pelle” che caratterizzerebbe le interazioni sociali post-lockdown. Il contatto fisico è certamente importante per gli esseri umani, ma per fortuna, almeno per gli adulti, non sempre essenziale: le “distanze di sicurezza” non ci impediscono di beneficiare della presenza fisica dell’altro… a un metro da noi! 

 

Skin Hunger: l’astinenza da abbracci

Abbracci, carezze, strette di mano… Le manifestazioni fisiche della socialità e dell’affetto sono molto variegate sia in base alle differenze individuali (c’è chi è molto espansivo e chi più riservato e tende a sentirsi invaso dal tocco altrui) che culturali (noi italiani siamo senz’altro più “fisici” di cinesi e giapponesi ad esempio). 

 

È anche sulla base di questo, oltre che della propria condizione abitativa (vivere da soli o con altri), che le persone possono risentire differentemente del distanziamento sociale resosi necessario dall’inizio della pandemia da Sars CoV-2

 

Se è vero che dopo il lockdown quasi tutte le attività umane hanno visto una ripartenza, è anche vero che si può ricominciare a fare tutto (o quasi), ma in maniera sostanzialmente diversa. 

 

E la differenza maggiore la fa sicuramente il distanziamento sociale che sembra stravolgere il senso che umanamente assegniamo alle distanze interpersonali: un virus che si trasmette soprattutto fra i contatti stretti impone di mantenere le distanze non solo dagli estranei, ma anche (e potremmo dire soprattutto) amici intimi, familiari, persone con cui si ha un legame affettivo significativo ma che siano fuori dalla propria cerchia di conviventi

 

E, dicono alcuni, la “fame di pelle” a questo punto si fa sentire: passata la fase delle videochat, adesso tutti vorrebbero tornare a percepire la carezza dell’altro. 

 

La Skin Hunger ci segnala dunque un peggioramento delle relazioni interpersonali? Non è detto, evitare (per il momento) gli abbracci, non significa rinunciare a beneficiare della presenza fisica dell’altro… 

 

Skin Hunger e regolazione psicobiologica

Il contatto fisico ha un potere regolatorio e benefico sugli equilibri psicobiologici di esseri umani e animali. Il motivo per il quale ricerchiamo il contatto e ne ricaviamo conforto è iscritto infatti nel nostro DNA: sia i neonati che i cuccioli di altri mammiferi, devono la possibilità di regolare i propri ritmi biologici (sonno/veglia, termoregolazione, fame/sazietà, accrescimento staturale ecc.) proprio alla vicinanza fisica col corpo della propria madre. 

 

Lo dimostrarono per primi i coniugi Harlow (Hanry Frederick e Clara Mears) in un esperimento destinato a fare la storia della psicologia nel quale si documentava come, per i cuccioli di macaco, il contatto fisico fosse vitale tanto quanto la somministrazione di cibo. Studi successivi trovarono conferma di questo (Spitz, 1972; Hofer, 1995) evidenziando l’importante legame fra la stimolazione sensoriale suscitata da abbracci e carezze e la regolazione dei processi fisiologici fondamentali dell’organismo di cuccioli e neonati (che come tali non posseggono ancora la capacità di autoregolarsi autonomamente né dal punto di vista fisico, né da quello emotivo). 

 

Dunque un neonato, come un cucciolo, difficilmente può sopravvivere e adattarsi all’ambiente senza ricevere abbracci e carezze. E un adulto? Quanto può “resistere” senza abbracci? 

 

Skin Hunger e relazioni adulte

Molti grandi scienziati e intellettuali hanno elaborato importanti scoperte o innovative teorie osservando episodi apparentemente banali intorno a loro. Sigmund Freud è fra questi: il suo nipotino era solito giocare con un rocchetto di filo facendolo rotolare sotto a un mobile per poi aspettare di vederlo ricomparire davanti ai suoi occhi. 

 

Questo “gioco del rocchetto” illuminò Freud per il suo elevato significato simbolico; il bambino utilizzava questo espediente per allenarsi ad avere una riprova “sperimentale” di un fatto solo apparentemente banale: un “oggetto” (la madre nel caso del bambino) continua ad esistere, anche se scompare dalla nostra percezione sensoriale. 

 

Questo significa che possiamo “tenere nella mente” le persone a noi care, continuare ad amarle e sentirci amati, dedicargli un pensiero, immaginare di voler condividere progetti futuri, ritrovarci a comprar loro un regalo e molto altro, pur non avendole davanti ai nostri occhi o sotto la nostra pelle… 

 

E, non meno importante, possiamo confrontarci con la loro temporanea assenza (un viaggio, una mancata telefonata, un ritardo ecc.) senza temere necessariamente che smetteranno di esistere o ci abbandoneranno.

 

Questa importante facoltà della mente prende il nome di costanza d’oggetto (l’oggetto allude alla rappresentazione mentale dell’altro) e ci consente di mantenere in vita le relazioni – e le nostre controparti identitarie – svincolandole dal contingente e affidandole ad una fiducia di base: l’altro rimane nella nostra mente così come nella mente dell’altro rimane un posto per noi, anche quando non ci vediamo o non ci tocchiamo pelle a pelle. 

 

Questa è, in sintesi, una delle differenze fondamentali che rende abbracci e carezze “diversamente” importanti fra un neonato e un adulto.
 

Skin Hunger e mentalizzazione

La capacità di mentalizzare i rapporti interpersonali rende possibile instaurare relazioni anche molto significative a prescindere dal diretto contatto fisico

 

Si pensi a tutte quelle tipologie di rapporto fra maestro e allievo ad esempio, fra fedeli e guide spirituali, fra paziente e terapeuta, tra l’attore e il suo pubblico … Tutte condizioni sicuramente peculiari, differenti certo da rapporti più familiari e quotidiani, che ci dimostrano, tuttavia, come le menti delle persone adulte possano creare una grande intimità (intellettuale, affettiva, spirituale ecc.) anche prescindendo (in tutto o in parte) dal contatto diretto, ma partecipando comunque della presenza fisica l’uno dell’altro, presenza che allude in ogni caso a una sensorialità dei corpi chiamati a condividere il medesimo spazio, a corredare la comunicazione di tutta una serie di segni paraverbali (gesti, posture, mimiche), a co-coreare insieme un particolare “clima” della comunicazione, spesso indecifrabile a livello cognitivo-razionale, ma colto con immediatezza a livello emotivo e “viscerale”. 

 

Tutto questo corredo “senso-emotivo” derivato dalla presenza congiunta di due (o più) persone può essere tale anche in una momentanea assenza di contatto fisico senza necessariamente limitare intimità e profondità della relazione (discorso a parte andrebbe fatto per le relazioni di coppia). 

 

Alla Skin Hunger possiamo provare dunque a rispondere con la capacità tipicamente umana di noi adulti di restare in ascolto della presenza dell’altro, sia nella stanza in cui ci troviamo (a un metro di distanza), che nella nostra mente, per cogliere segni forse più indiretti, meno “concreti”, della sua persona. Potrebbe essere questo un periodo – che rimane comunque temporaneo anche se non breve – in cui, costretti a sospendere per il momento abbracci e strette di mano, provare ad ascoltarsi, parlarsi, guardarsi con maggiore attenzione e gratitudine.

 

Bibliografia:
Spitz, R., Il primo anno di vita del bambino, Giunti-Barbera, Firenze, 1972.
Hofer, M.A. ,1995. Hidden regulators: Implications for a new understanding of attachment, separation and loss. In S. Goldberg, R. Muir, J. Kerr, Attachment theory: Social developmental, and clinical perspectives, pp. 203-230, The Analytic Press, Hillsdale NJ