Psicologia del pettegolezzo

Perché a molte persone piace chiacchierare, parlare o sparlare delle vicende altrui? Il pettegolezzo è un’attività umana pressoché intramontabile, risponde ad alcuni basilari bisogni dei gruppi, ma non è esente da rischi…

Psicologia del pettegolezzo

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A molti piace alimentarlo, pochi desiderano esserne l’oggetto… Può sembrare a prima vista un’attività demodé, di pertinenza degli stretti vicoli dei piccoli paesini, eppure lo ritroviamo in altre forme anche nelle frange più cool della società postmoderna dove si insidia nelle maglie del cyberspazio e prende rapidamente possesso dei social network con esisti talvolta devastanti…. 

 

 

Il pettegolezzo è vecchio quanto l’essere umano, è connaturato alla vita delle comunità e dei gruppi sociali, insomma che ci piaccia o no è fra noi in ogni caso. Esistono forme innocue di pettegolezzo? Quali sono le sue motivazioni psicologiche? Come fare per non alimentarlo e limitarne i “danni”?

 

Le motivazioni del pettegolezzo

Il libro di Stefano Guarinelli “La gente mormora. Psicologia del pettegolezzo” (2015) affronta il tema del ruolo sociale del pettegolezzo da una prospettiva psicologica provando a delineare alcune possibili spiegazioni del perché il parlare alle spalle appaia così inscindibilmente radicato nella natura umana.

 

Secondo l’Autore sarebbero 4 le possibili motivazioni psicodinamiche che portano le persone pettegole ad alimentare commenti e dicerie sulla vita privata altrui, con connotazioni culturalmente differenti a seconda del genere.

 

Anzitutto, il pettegolezzo assolve, nei gruppi umani, la funzione di esprimere e canalizzare l’aggressività e di esercitare una qualche forma di controllo sociale . Da questo punto di vista,  il pettegolezzo, può rapidamente mettere in cattiva luce alcune persone, essere utilizzato come strumento per identificare un “nemico” contro cui scagliarsi condividendo tale attività con il proprio gruppo sociale di appartenenza.

 

Tutte le persone sono appartenenti a gruppi: famiglie, amici, colleghi di lavoro eccetera. In ogni contesto si tende a identificare le persone con cui si sente di avere maggiore affinità, con cui “fare gruppo”, appunto. E spesso tali aggregazioni trovano la loro identità gruppale anche differenziandosi da coloro che sono all’esterno (quello che in inglese viene definito comunemente l’outgroup). 

 

Questi atteggiamenti possono esacerbarsi in contesti culturali particolarmente rigidi e circoscritti o in momenti di particolare pericolo e incertezza in cui gli esseri umani hanno bisogno di circoscrivere la minaccia identificando un “nemico” fuori dalla cerchia sociale a cui sentono di appartenere.

 

Molte forme di discriminazione si alimentano culturalmente grazie al pettegolezzo. In questo modo si tende a esercitare una forma di aggressività indiretta e di controllo sociale (il pettegolezzo contribuisce a definire quali criteri definiscono chi è “dentro” e chi è “fuori” da un determinato gruppo). 

 

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Le donne sono più portate al pettegolezzo?

Il pettegolezzo avrebbe dunque anche la funzione di sostenere l’identità degli individui e dei gruppi (le persone si definiscono in grande parte sulla base dei ruoli sociali che ricoprono). Ma non finisce qui.

Se ci pensiamo un momento, gran parte dei contenuti del pettegolezzo riguardano la vita privata, sessuale o sentimentale degli altri. Parlare delle vite degli altri sarebbe dunque anche un modo, per alcuni, di accedere in modo indiretto all’intimità altrui e a informazioni personali che ordinariamente sarebbero condivisibili sono con pochi intimi. Ma non solo, uno dei motivi per i quali il pettegolezzo può risultare così gratificante è il carattere di intimità e (finta) segretezza che connota la relazione fra le due o più persone che lo condividono. Fra loro tende a crearsi una sorta di complicità, basata sulla condivisione di informazioni riservate e concesse solo a pochi (o almeno così ci piace pensare). Questo genera una sorta di intimità e alleanza fra le persone che condividono un pettegolezzo, alleanza creata punto alle spalle di altri.

 

Sembrerebbe che le donne siano culturalmente più propense al pettegolezzo, sia perché meno portate ad esprimere in forme dirette il controllo e l’aggressività; sia perché più orientate a cercare compensazioni identitarie e di intimità entro contesti di relazione, piuttosto che in gratificazioni solitarie. Nessuno sarebbe “per natura” più o meno pettegolo, semplicemente la socializzazione dei ruoli di genere potrebbe influenzare la predisposizione di alcuni piuttosto che di altri verso questa forma di interazione sociale.
 

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I danni etici, morali e giuridici del pettegolezzo

Nessuno ama definirsi pettegolo e men che meno ammettere di lasciarsi andare piacevolmente a tale pratica. In alcune circostanze il pettegolezzo è pressoché “d’obbligo” e viene considerato, a torto o a ragione, come innocuo e quasi endemico di alcune situazioni.

 

Si pensi a tutti i contesti di apprendimento, dalla scuola alle università, dove lo squilibrio gerarchico e di potere fra docenti e discenti genera una sorta di “zona franca” in cui il pettegolezzo è all’ordine del giorno. Chi percepisce di essere in un ruolo sociale con minor potere si sente in qualche modo quasi in diritto di carpire ogni informazione o debolezza di chi è “in alto”, le dicerie e le voci spesso leggendarie e tramandate da generazioni di studenti su questo o quel professore sono un modo per veicolare l’aggressività, consolidarsi all’interno del gruppo ed esorcizzare la potenziale “pericolosità/temibilità” del docente di turno. Raramente in questi contesti ci si interroga sul risvolto etico o morale del pettegolezzo, difficilmente se ne considerano le possibili conseguenze per la persona che ne è oggetto che, anzi, smette di essere considerata come tale per essere ricondotta, momentaneamente, a bersaglio goliardico del gruppo. 

 

Queste forme di oggettivazione sono alla base anche di pettegolezzi molto dannosi che possono avere invece conseguenze devastanti, specie quando si mischiano ad atti di bullismo, fuori e dentro i social, di revenge porn e di mobbing. In questi casi, naturalmente, ci troviamo di fronte a dei veri e propri reati.

 

Qual è il limite dunque fra il pettegolezzo “benevolo” e una manipolazione dannosa della realtà e dell’identità altrui? Verrebbe da dire proprio l’oggettivazione: quando ci accorgiamo che parlare di qualcuno è così gratificante da farci perdere di vista che si tratta di una persona proprio come noi, se perdiamo di vista tutto questo, siamo già andati troppo oltre… 

 

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