Oggettivazione sessuale: di cosa si tratta?

L’oggettivazione sessuale è un meccanismo psicologico presente pervasivamente in molte forme di comunicazione mediatica a cui siamo esposti quotidianamente. Vediamo di cosa si tratta

Oggettivazione sessuale: di cosa si tratta?

L’oggettivazione sessuale è un meccanismo psicologico che deumanizza la persona fino a renderla non più soggetto ma oggetto sessuale, strumento a mero scopo di soddisfacimento del tutto avulso sia da un coinvolgimento relazionale sia dal riconoscimento di bisogni e qualità umane alla persona in questione.

Vi sembra assurdo e al limite del possibile? Eppure l’oggettivazione sessuale è un meccanismo con il quale ci troviamo a confrontarci quasi ogni giorno, spesso senza neanche rendercene conto. Vediamo perché.

 

L’oggettivazione sessuale nella pubblicità

Le gomme di un’auto girano sicure sulla strada, la carrozzeria lucida sfreccia attraversando paesaggi mozzafiato il tutto immancabilmente corredato dalla silente presenza di un’avvenente giovane donna il cui aspetto poco lascia all’immaginazione.

Il solito accostamento “donne e motori” direte voi, ma l’oggettivazione sessuale è in realtà molto più pervasiva nelle strategie di marketing, quando è presente una figura femminile in una pubblicità è all’opera quasi sempre questo tipo di meccanismo.

Non farete fatica a ricordare notissimi marchi di gelato divulgare il loro prodotto grazie alla bocca di una modella mozzafiato (opportunamente patinata dal fotoritocco) o ad altri marchi, non necessariamente di accessori femminili, che utilizzano il corpo della donna per attirare l’attenzione sul prodotto.

Ebbene: l’oggettivazione sessuale inizia già da qui, dagli spam pubblicitari di cui sono pieni i siti internet che visitiamo ai cartelloni pubblicitari per la strada o in metropolitana.

Il corpo della donna (il più delle volte ma non solo) è utilizzato/strumentalizzato come oggetto per rendere ancora più attraente e appetibile il prodotto.

Il corpo femminile è anch’esso trattato alla stessa stregua del prodotto da vendere, avulso dai suoi connotati personali e soggettivi e incastonato in un ideale di bellezza femminile standardizzato, stereotipato ai limiti della realtà.

 

L’oggettivazione sessuale e l’identificazione

Dunque, se in passato le donne comparivano nelle pubblicità soprattutto col ruolo di mogli e madri, oggi sono utilizzate come richiami sessuali.

Ma, direte voi, “è solo una foto”. C’è da dire però che queste sono le tipologie di immagini a cui siamo abituati, talmente abituati da esserne assuefatti a tal punto da non rimanerne neanche contrariati più di tanto, mentre, parallelamente, assorbiamo quegli ideali di bellezza femminile che ci vengono proposti: donne eternamente giovani, procaci e ricondotte a mero strumento per il piacere mediatico, sembra questo l’identikit della donna di successo oggi sul web.

L’oggettivazione sessuale diffusa a livello mediatico diventa dunque una trappola pericolosa nel momento in cui suscita meccanismi di identificazione che concorrono a far sì che giovani donne possano guardare a sé stesse con gli stessi occhi con cui si guarda una fotografia affissa per strada.

Se l’importante diventa aderire ad uno standard di avvenenza e successo, si può arrivare a guardare sé stesse come oggetti da modellare, modificare, esibire per ottenere riconoscimento e approvazione altrui senza i quali non ci si sente sufficientemente sicuri di sé e della propria identità.

 

Superare l’oggettivazione sessuale

Sono fin troppo noti i tragici episodi di cronaca che hanno documentato gli esisti più drammatici della diffusione della sessualità in internet: foto e filmati diffusi in rete coi telefonini con o senza il consenso del/della protagonista, condivisi in prima persona o da altri.

È il fenomeno che fra gli adolescenti ha assunto un carattere pervasivo tanto da avere una sua denominazione: il sexting, ovvero quella forma distorta di comportamento sessuale che prevede lo scambio multimediale di foto e altri contenuti sessuali fra minori.

Si sta abbassando dunque sempre di più la soglia d’età dalla quale ragazzi e ragazza iniziano a guardare al corpo sessuato (sia esso maschile che femminile probabilmente) come ad un oggetto, assorbendo i meccanismi di oggettivazione sessuale culturalmente imperanti e rischiando di concepire il sesso come una strumentalizzazione dell’altro avulso da qualsiasi forma di scambio e di relazione che possa definirsi “umana”.

Non è solo lo sguardo maschile a deumanizzare la donna, sono le donne stesse che, identificandosi con tale prospettiva, arrivano a guardarsi nello stesso modo.

Non si tratta di una guerra fra “generi”, non è più rivendicare la dignità delle donne nei confronti del maschio: si è tutti vittime e carnefici al tempo stesso, uomini e donne, fruitori passivi e sostenitori inconsapevoli dell’industria dell’immagine oggettivante e spersonalizzante.

Forse è arrivato il momento di andare oltre le guerre fra generi – soprattutto oggi che riconosciamo l’esistenza di più “generi” - e di unire le forze, perché da questo meccanismo probabilmente nessuno è del tutto esente.

 

Moda ed estetica per bambine: se il gioco diventa realtà