Il nostro (sbagliato) approccio magico ai vaccini. Risponde Telmo Pievani

Il pubblico tende ad avere nei confronti della scienza un atteggiamento utilitaristico. Il vaccino è la soluzione al Covid19 ma, secondo il filosofo della scienza, non dev'essere un alibi.

Vaccino Anti Covid

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Abbiamo atteso per mesi che le sperimentazioni su un vaccino anti covid offrissero presto risposte sicure e la disponibilità immediata per le nostre fasce di popolazione più fragili o a rischio.

 

Quel momento è arrivato ma l’atteggiamento del pubblico di fronte a questa grande risposta del mondo scientifico alla lotta alla pandemia sembra ambivalente: da una parte l’interesse è alto di fronte all’unica soluzione che potrebbe permetterci presto di riappropriarci delle nostre vite, ma non manca lo scetticismo di chi non riesce a fidarsi dei risultati del metodo sperimentale.

 

Cosa ci aspettiamo, allora, dalle scoperte della ricerca? Di guarirci, di saperne di più, di evolverci? O cerchiamo una qualche consolazione ai nostri mali? L'antiscienza di chi nega evidenze acquisite può trovare causa nella delusione e sconforto di promesse non mantenute? Ne parliamo con Telmo Pievani, professore ordinario nel dipartimento di Biologia dell’università degli studi di Padova, dove ricopre la prima cattedra italiana di Filosofia delle Scienze Biologiche. Direttore del web magazine dell’Università di Padova, Il Bo LIVE, è autore di numerose pubblicazioni nazionali e internazionali nel campo della filosofia della scienza.  

 

Finitudine è il suo libro in cui i due protagonisti - lo scrittore Albert Camus e il genetista Jacques Monod - si chiedono come trovare un senso all’esistenza accettando la nostra finitezza attingendo a spiegazioni laiche. Perché no, scientifiche.

 

  • In un Suo editoriale ha parlato dello striscione di Firenze "Basta scienza": come interpreta questo "slogan esasperato"? Possiamo leggerci una qualche forma di sconforto invece che di sola anti-scienza?


Forse lo sconforto, o una qualche forma di delusione, può essere alla radice di atteggiamenti antiscientifici. Per questo chi fa comunicazione della scienza non deve mai illudere o fare previsioni avventate o magnificare troppo i risultati attesi della ricerca, perché in caso di fallimento la reazione negativa e di disillusione del pubblico può essere molto negativa. Il fenomeno è già stato osservato in passato, per esempio una ventina di anni fa quando le speranze malriposte nelle prime terapie geniche generarono un contraccolpo di sfiducia. 

 

Detto ciò, non credo che la delusione verso la scienza possa essere intesa come una giustificazione per comprendere né tantomeno per essere indulgenti nei confronti dei no-vax e di altre frange pericolose che, soprattutto sul web e spesso con una violenza verbale inaccettabile, diffondono bugie e fake news che possono avere effetti deleteri sulle scelte di salute delle persone.

 

  • Le malattie sconosciute o incurabili mettono l'uomo di fronte alla paura della sua finitezza. Nell'ultimo articolo di Pietro Greco su Scienzainrete.it in cui recensisce Finitudine si legge: “I due si chiedono persino se la coscienza sia da considerarsi un vantaggio evolutivo o piuttosto una gravosa perché impotente palla al piede. Non è forse un accumulatore di angoscia la consapevolezza dell’asimmetria tra umani e (resto della) natura: lei, la natura, può ben essere indifferente alla sorte degli umani, gli umani non possono essere indifferente alle sorti della natura. Anzi, gli umani devono assumersi in carico le sorti della natura che stanno contribuendo a degradare. Possiamo spenderla, questa nostra precaria eppure preziosa esistenza, per costruire insieme un futuro desiderabile. Non siamo forse noi esseri finiti che conoscono l’infinito?” Qual è il carico che non ci siamo ancora assunti verso quanto Covid ha messo sotto ai nostri occhi?

 

Credo che manchi ancora la più importante assunzione di responsabilità nei confronti delle ragioni profonde di questa pandemia. Il passo citato, del carissimo e compianto amico Pietro Greco, maestro di giornalismo scientifico rigoroso e pacato, si riferisce al fatto che la natura non è una persona, non ha fini né intenzioni, ed è del tutto indifferente alle nostre sorti. Quindi non ha senso interpretare Covid19 come un “castigo della natura” o invocare il perdono della natura. Noi facciamo parte della natura e la categoria corretta non è quella della colpa, bensì quella della responsabilità

 

Se agiamo in un certo modo nei confronti degli ecosistemi (distruggendoli, impoverendoli, sfruttandoli sconsideratamente) dobbiamo attenderci effetti ben precisi e già studiati. Responsabilità significa infatti rispondere degli effetti delle proprie azioni. Le pandemie ci sono sempre state, ma da qualche tempo stanno diventando più frequenti e più pericolose, per causa nostra. Questo è il nesso ecologico ed evolutivo che fatichiamo a comprendere e ad accettare. 

 

Il vaccino è la soluzione per questa emergenza, benissimo, ma non basta e non deve diventare un alibi, il deus ex machina. Bisogna agire sulle cause remote del problema, che però puntano all’attuale modello di sviluppo e di consumo di gran parte dell’umanità. La coscienza, che forse non serve a nulla sul piano evolutivo ma è la nostra prerogativa, ci permette di essere consapevoli di quanto sta accadendo e di coglierne le ragioni. Non possiamo dire di non sapere. 

 

Quindi, ecco la asimmetria di fondo: la natura è indifferente a noi, ma noi non possiamo essere indifferenti a lei, se vogliamo sopravvivere e dare un futuro ai nostri figli.

 

Telmo Pievani

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  • Riguardo Finitudine, ancora, leggo: Come trovare un senso all’esistenza accettando la nostra finitezza? Camus e Monod passano in rassegna le possibilità laiche di sfidare la morte. Quali sono queste possibilità laiche?

 

Se non c’è la speranza di un dopo e se non facciamo riferimento ad alcuna entità sovrannaturale per dare fondamento alla nostra etica, non per questo ci consegniamo al nichilismo o alla rassegnazione. Questo è il punto. Se la vita è unica, allora ha un valore straordinario, assoluto, e nessuno ce la può togliere, nemmeno uno Stato. Se non c’è un grande disegno che sovraintende alle nostre esistenze, allora siamo liberi di agire, di fare la differenza con le nostre scelte, di conoscere. 

 

Se la finitudine è la nostra condizione come individui, lo è anche per tutti i nostri simili, quindi siamo solidali perché accomunati dalla stessa fragilità e vulnerabilità, come abbiamo visto anche nel 2020 dinanzi all’attacco di un agente patogeno. Ecco alcune delle possibilità laiche che provo a esplorare in Finitudine, attraverso gli occhi di due grandi intellettuali come Albert Camus e Jacques Monod.

 

  • Il vaccino disponibile per più o meno ampie fasce di popolazione può essere visto come un elemento anche di Consolazione oltre che di prevenzione e cura in termini sanitari?

 

Certamente è un elemento di consolazione, lungamente atteso, ma dobbiamo fare attenzione. Il pubblico tende ad avere nei confronti della scienza un atteggiamento utilitaristico: adesso siamo tutti interessati a ciò che accade nei laboratori perché vogliamo il vaccino, desideriamo tornare alla nostra vita sociale e superare lo “stress da Covid19” che soprattutto con il secondo lockdown è diventato davvero pesante. Ed ecco che i vaccini sono già in distribuzione, prima del previsto, grazie a uno sforzo di ricerca biotecnologica senza precedenti. 

 

Il mio timore è che quando saremo usciti dalla pandemia i riflettori si spegneranno e nessuno baderà più alla vita di migliaia di ricercatrici e ricercatori precari e sottopagati, che nelle università e nei centri di ricerca fanno un lavoro splendido per la collettività in condizioni difficili, di scarso riconoscimento anche sociale. 

 

La scienza non è importante solo quando ti serve, è importante sempre, quindi va promossa e finanziata sempre, anche prima e dopo le emergenze sanitarie. Altrimenti diventa una consolazione opportunistica: continuiamo a fare quello che ci pare (a devastare l’ambiente, a comprare i prodotti più insani, a tenere quei mercati orrendi di animali, e così via), tanto poi se siamo nei guai arriva la scienza e ci tira fuori. Non funziona così. 

 

La scienza è il motore del progresso economico, sociale e culturale di un paese avanzato e in questo momento ci sta dicendo con forza (sta scritto in tutte le riviste più importanti) che dobbiamo cambiare al più presto il nostro rapporto con la natura se non vogliamo pagare costi ambientali sempre più alti.

 

  • Aver fede nella cura (e non nella guarigione). Che cos'è il medico / il ricercatore che trova la cura agli occhi di un paziente da un punto di vista "filosofico"?

 

Sul piano emotivo, è un salvatore, un benefattore, ed è bene così. Sul piano filosofico, è l’epifania della coscienza di specie: siamo tutti vulnerabili, siamo esposti all’imprevedibile (nessuno sa quando e come sarà la prossima pandemia), siamo ignoranti su molti fenomeni naturali (gli scienziati dovrebbero imparare a dire più spesso “non lo so”), insomma siamo deboli, ma quando si trova una nuova cura per una malattia ci accorgiamo che in quanto umani abbiamo una grande forza.

 

Quando trattiamo ogni singolo essere umano malato come se fosse l’intera umanità malata, lì acquisiamo una coscienza di specie. La consapevolezza della nostra fragilità diventa spinta al cambiamento, rivolta contro il male del mondo, solidarietà.

 

  • Le risposte della scienza possono assumere valore taumaturgico per chi non conosce il metodo sperimentale?

 

Certamente sì, come accade per le tecnologie: non sappiamo cosa c’è dentro la scatola nera, ma funziona, e tanto basta. Questo approccio magico ai prodotti tecnologici vale anche per i vaccini. In pochi sanno davvero come agiscono nei meccanismi biologici del sistema immunitario, ma ciò che conta è l’efficacia. Soprattutto, quasi nessuno è interessato a sapere attraverso quali complicati passaggi di ricerca e di validazione statistica si è arrivati a quel risultato. 

 

Se in parte questo atteggiamento fideistico è inevitabile, è nostro dovere limitarlo il più possibile, perché chi accetta magicamente qualcosa è poi portato anche a rifiutarlo con la stessa acritica facilità. Bastano un sospetto, una diceria, una fake news virale che gira su web, la conferma di un proprio preconcetto, ed ecco che il giudizio si ribalta. 

 

Quindi la scienza non dovrebbe avere alcun valore taumaturgico: la cittadinanza scientifica, su cui tanto ha scritto Pietro Greco, significa anche assumersi il dovere di capire i meccanismi di base della scienza, per cui quando riceviamo un vaccino nel braccio sappiamo di che si tratta, quali sforzi ci sono dietro, quali rischi corriamo e non corriamo; insomma, siamo cittadini più maturi e consapevoli. E se critichiamo la scienza, come è sempre bene fare per vigilare su di essa, lo facciamo razionalmente e a ragion veduta, non sulla base di sciocchezze propagandate sui social.