25 novembre: quando la casa è "Il luogo più pericoloso"

Nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne Palazzo Reale di Milano avrebbe dovuto ospitare l’installazione “Il luogo più pericoloso” delle artiste Silvia Levenson e Natalia Saurin.

Il luogo più pericoloso

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©Il luogo più pericoloso

La casa, che si è soliti associare al concetto di protezione e rifugio, risulta invece l'ambiente più pericoloso per una donna. Lo dimostrano i dati relativi all'aumento di denunce per violenze subite nei mesi del lockdown: reati commessi, prevedebilmente, proprio tra le pareti domestiche.

 

La violenza, stavolta, finisce sul piatto. Così Natalia Saurin e Silvia Levenson, madre e figlia,  hanno lavorato insieme al progetto di raccolta delle frasi estrapolate dai media per minimizzare episodi di cronaca legati alla violenza oppure esclamazioni usate dal violento per motivare il suo gesto, testimonianze amare della guerra troppo spesso consumata all’interno delle mura domestiche. Le parole della violenza sono state stampate su circa un centinaio di piatti già esposto nel 2019 a Firenze a Palazzo Vecchio. Quest'anno, causa restrizioni da Covid, l'esposizione è stata trasformata in una installazione all'aperto.  

 

Abbiamo parlato con Natalia del progetto artistico "Il luogo più pericoloso".

 

Qual è il luogo più pericoloso per una donna?

Da uno studio statunitense risulta la casa. Quindi, ci tenevamo a farlo sapere perché uno crede che all'interno della propria casa sia al sicuro e, invece, nella realtà non sempre è così.

 

Perché?

La dimensione domestica è quella dove si acutizzano tutte le relazioni. Quelle tra marito e moglie, o conviventi, specialmente se molto intense, magari iniziano a innescarsi piccole violenze, oppure misure di controllo dell'altro, o di gelosia patologica, che pian piano piano esplodono fino all'omicidio, che è un po' la punta estrema dell'iceberg delle violenze di genere.

 

Come nasce il progetto?

Il progetto è nato da uno stimolo che abbiamo avuto. Io sono un'artista visiva, uso soprattutto la fotografia visiva e l'installazione. E anche mia madre è un'artista visiva, che opera con le sculture: lei lavora principalmente con il vetro.  

 

Ci hanno proposto di realizzare una mostra insieme a Roma sul tema del femminismo. E dato che entrambe lavoriamo su tematiche di rapporti tossici, abbiamo deciso di esporre un progetto insieme

 

Prima abbiamo recuperato i piatti usati, poi abbiamo stampato sopra le scritte. E finalmente, abbiamo esposto il lavoro per la prima volta a Firenze e poi a Roma all'ambasciata argentina. Quest'anno avremmo dovuto esporre nel cortile di Palazzo Reale a Milano, ma a causa dell'emergenza Covid abbiamo pensato di fare un'azione, fotografando alcune donne con in mano questi piatti. Proprio l'emergenza ci ha insegnato a essere aperte a nuovi modi di comnicare anche in un momento così complesso. 

 

Perché avete scelto di scrivere quelle frasi tremende proprio su dei piatti? 

I piatti sono oggetti che tutti usiamo quotidianamente. Ci siamo fatti dare questi piatti da parenti, amici, li abbiamo presi ai mercatini dell'antiquariato. L'importante era che fossero usati e attraverso, una stampa sperimentale, abbiamo realizzato queste scritte su ceramica.  

 

E le scritte?

Queste scritte cercano di banalizzare la violenza. Appaiono costantemente su media e giornali. Volevamo enfatizzare questa dicotomia, sembrano scritte banali, ma riguardano storie tremende. Frasi dette leggermente che in realtà sono pesanti come pietre.

 

Piatti esposizione Il luogo più pericoloso

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©Il luogo più pericoloso

Voi usate il bianco e il nero per i vostri messaggi, mentre il progetto del comune di Milano si accende di rosso. Perché avete scelto il bianco e nero?

Il rosso è il filo conduttore del 25 novembre, come era stato usato per le scarpe, ora per le panchine. Tuttavia, il nostro intervento nasce non come installazione per il 25 novembre, ma è un progetto al di fuori della giornata contro la violenza alle donne. Noi lavoriamo molto sul nostro genere.

 

Qual è la frase che l'ha più colpita tra quelle scritte?

"Ti picchio, ma ti amo".

 

Come si può combattere nel 2020 la violenza sulle donne? E come possiamo difenderci?

Ci vorrebbero più strutture e si può fare tanto con la prevenzione.

 

Quale linguaggio merita invece la donna?

Bisogna uscire da linguaggi già scritti, nel senso che bisogna reinventarsi delle storie. La società va avanti e le donne stanno entrando in mondi nuovi per non cadere in rapporti stereotipati.

 

Come mai la convivenza coatta ha esacerbato i rapporti familiari?

La casa si vive poco, normalmente. Con il lockdown siamo stati costretti a convivere di più in una condizione di stress e davanti all'ignoto. È stato un momento davvero importante che ha fatto esplodere i problemi se ce ne erano alcuni. 

 

Un messaggio e le parole che scriverebbe lei a una donna?

Le scriverei che bisogna liberarsi dalle sovrastrutture anche che la società ci chiede, per sentire che siamo tutte connesse. Cercare uno spirito di sorellanza, l'importanza di creare rete tra donne

 

Le donne di Ameda dicono: "Vivas nos queremos" che significa “Vive ci vogliamo”.