Scuola, la ripartenza necessaria. Intervista a Chiara Saraceno

L'istruzione è un diritto costituzionale e la didattica a distanza non sopperisce ai bisogni educativi dell'infanzia e dell'adolescenza: ecco come ripartire secondo la sociologa della famiglia.

Covid infanzia ripartenza

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Rumorosi dentro casa, silenziati tra le righe dei decreti e negli annunci alla nazione. Dimenticati, ma in nome della loro salvaguardia. 

 

Ai bambini e ai ragazzi non è stato esplicitamente chiesto di compiere una rinuncia per il bene comune.  "Solo”, è stato spento il mondo che ruota intorno all’infanzia e all’adolescenza per accendere il display di una modalità bidimensionale di fruizione di tutto quanto riguarda il “fuori”.

 

Chiara Saraceno, sociologa della famiglia e portavoce della rete di associazioni Alleanza per l’infanzia, ha denunciato da subito la mancanza di un ragionamento, e dunque di intervento, tempestivo e strutturato nell’organizzazione della chiusura delle attività e della successiva ripresa pensando anche ai diritti dei minori. 

 

Il lockdown è destinato a diventare un concetto sociologico di studio per la tale portata con cui si è manifestato lasciando segni profondi nel nostro modo di vivere e intendere le relazioni. 

 

Chiara Saraceno sociologa

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©Fb - Collegio Carlo Alberto

Chi ha pagato e pagherà il prezzo sociale più alto a causa delle misure per contenere il contagio?

Varie categorie. Pensando ai lavoratori ci sono quanti avevano contratti a termine scaduti durante covid e che non verranno rinnovati. Se anche i supermercati mettono in cassaintegrazione le commesse significa che le difficoltà si sono verificate davvero in moltissimi settori e in particolare per quelle piccolissime imprese, i caffè e i ristoranti dove sarà difficile mantenere il personale.

 

Soffrono gli educatori delle cooperative, se i servizi non riprendono e qui si vede tutta la differenza tra dipendente pubblico e chi lavora nel no profit, anche se in convenzione. 

 

Molte realtà rischiano la chiusura. Le coperture come l’allargamento degli ammortizzatori sociali si sono rivelate un sostegno variabile in base alle categorie, più che al bisogno a discapito, ad esempio, dei più giovani, perché sono loro che spesso hanno contratti a termine, o stavano entrando ora nel mercato del lavoro. Ai giovani colpiti dalla crisi, non ancora risolta, del 2008 ora si aggiungono i loro fratelli minori. 

 

Ancora ci sono le donne: se è vero che molte di loro sono impiegate in settori considerati essenziali come la sanità e la distribuzione, è altrettanto vero che le donne in generale sono concentrate nel terziario dei servizi più colpito dal lockdown e con più difficoltà a riprendersi: il commercio, la ristorazione, il turismo, i servizi di cura ed educativi.

 

Inoltre, con la persistente chiusura delle scuole e dei servizi educativi molte madri di figli piccoli avranno difficoltà a riprendere il lavoro, specie se si tratta di una occupazione che non può essere eseguita a distanza.  Non basterà il bonus baby sitter o il prolungamento del congedo straordinario (che oltretutto nell’ultimo DCPM sul “rilancio” è stato rinnovato solo per le lavoratrici dipendenti). 

 

Per fortuna nel DCPM si parla finalmente della possibilità di organizzare centri estivi ed altre attività per i bambini dai 3 ai 14 anni (nulla è previsto per i più piccoli), e sono state anche formulate linee guida (dal punto di vista dei protocolli di sicurezza da adottare) che dovrebbero consentire ai comuni di organizzarsi, insieme ad altri soggetti che operano in questo campo sul territorio. 

 

E’ un po’ tardi ed è probabile che mentre i comuni più virtuosi avevano già cominciato a lavorare in questo senso, altri saranno impreparati. Sarà inoltre importante che i finanziamenti previsti dal DCPM siano indirizzati a contrastare le disuguaglianze territoriali in questo campo, per non aggravare le disuguaglianze nelle opportunità tra bambini e ragazzi già pre-esistenti e rafforzate dalle conseguenze dell’epidemia

 

Come è stato gestita, secondo Lei, la didattica a distanza?

Alleanza per l’infanzia ha ribadito come siano stati sottovalutati sia i temi dei diritti educativi dei bambini e ragazzi sia i temi della conciliazione. I bambini sono stati chiusi in casa e dimenticati. Certo, hanno avuto un po’ di didattica a distanza, ma di qualità molto disomogenea e distribuita a macchia di leopardo. 

 

Lo stesso MIUR stima che il 20% dei bambini e ragazzi sia stato di fatto escluso, una percentuale enorme in un paese in cui già era alta l’incidenza della povertà educativa e dell’abbandono ed elusione scolastica. Tanto più che dati raccolti da associazioni che lavorano con i bambini e ragazzi svantaggiati (ad esempio Save the Children o la Comunità di Sant’Egidio) segnalano come questa percentuale sia molto più alta, appunto, tra questi ultimi). E’ una questione di tecnologie, dispositivi e connessione che mancano, ma anche di disponibilità, tempo e competenze all’interno delle famiglie. 

 

Mi ha fatto arrabbiare notare che di fronte a questa situazione, l’unico punto fermo in una scuola stravolta sia stato il rigido rispetto del calendario scolastico. A Pasqua la didattica online si è fermata e l’anno scolastico terminerà a giugno per riprendere a settembre con chi ha materie da recuperare. Non sono previste attività estive per chi è stato di fatto deprivato dalla scuola. 

 

E’ stato garantito che non ci saranno bocciati ma non ci si è posti la domanda: “cosa fare per non lasciare nessuno indietro, tanto più in un contesto in cui è stato il modo di (non) operare della scuola che provoca difficoltà, ritardi, abbandoni”? 

 

Ci si è dimenticati che l’educazione è un diritto costituzionale. Quanto alla questione della conciliazione, si è pensato che per i più fosse risolta con il lavoro a distanza, come se lavorare, occuparsi della casa abitata 24 ore su 24, seguire i figli nella didattica a distanza e supplire alle carenze di questa, fosse davvero “smart”.

 

Per chi doveva lavorare fuori casa bonus baby sitter e congedo parentale straordinario sono stati un aiuto molto parziale e non sempre fruibile. 

 

Nella gestione dell'emergenza, ma anche nella proiezione alla stagione estiva, ritiene siano stati rispettati i diritti all'infanzia? 

Adolescenti e bambini per diversi mesi sono stati privati di tutte le risorse per la crescita che non fossero la famiglia ristretta. Anche la scuola sembra essersi “ridotta” all’online in cui si fa un po’ di meno rispetto a prima ma spesso con lo stesso metodo di lezioni frontali e senza problematizzae e affrontare, insieme ai ragazzi, l’assenza di una dimensione importante della scuola che sono le relazioni, l’imparare assieme

 

Certo, ci sono stati insegnanti bravissimi che hanno saputo non tanto imparare ad usare le piattaforme, ma adattare la propria relazione educativa al contesto. Ma la norma è stata la casualità e disomogeneità e la forte delega alle famiglie, senza considerazione delle possibilità e risorse di queste ultime, e senza coinvolgerle in una riflessione e azione concordata insieme.

 

Aggiungo che la fascia 0-6 anni è stata quasi completamente ignorata e stiamo correndo il rischio serissimo che nidi e materne si riducano a servizi territoriali assistenziali che, se ci sono bene, se no pazienza. 

 

Dal 2015 invece nidi e scuole dell’infanzia rientrano a pieno titolo nel sistema educativo integrato. Al nido deve aver diritto ad andare anche il figlio di una casalinga, non sono luoghi nati solo per permettere ai genitori di recarsi a lavoro, sono luoghi educativi e in Italia ne abbiamo ancora troppo pochi.

 

Come si immagina debba ripartire l'anno scolastico 2020-2021?

Spero questo periodo sia l’occasione buona per ripensare – finalmente – alla didattica. Abbiamo un problema di spazi: le classi da 25-30 bambini non dovranno più esserci, gruppi più piccoli di 10-15, magari accolti per materia (classi di latino, matematica…) a rendere più flessibile il sistema.

 

Non si può pensare di tornare a una forma massiccia di didattica on line, e neppure ad una alternanza tra momenti in presenza e momenti a distanza, soprattutto per i bambini fino al completamento della primaria e forse anche della secondaria inferiore.

 

Al di là dei problemi organizzativi che questo porrebbe alle famiglie, alle elementari e alle medie è necessaria la presenza come momento di incontro, confronto, aiuto reciproco. Una possibile alternanza è pensabile solo per la secondaria superiore (ma non per la classe prima, dove le cadute sono altissime perché è una transizione delicata da un sistema all’altro). 

 

Ciò non significa che la didattica on line, ben fatta e pensata, debba sparire. Anche quando l’emergenza sarà finita potrà essere un utile strumento in una didattica riformata, più attiva, più coinvolgente, che addestra alla ricerca, anche collaborativa. 

 

Anche il problema dello spazio necessario per consentire la presenza di piccoli gruppi può diventare uno stimolo per una scuola più innovativa, che si muove ed esplora il territorio, sfruttandone le potenzialità educative, non solo logistiche. 

 

Teatri, cinema, aule delle università, musei pensati in una rete che permetta di fare lezione, imparare anche con soggetti diversi, sviluppando collaborazioni organiche a livello locale tra scuole, enti locali, terzo settore, associazioni civiche, soggetti culturali. Mi preoccupa che quando si parla di istruzione in epoca di Covid 19, si pensi solo in termini di sicurezza. 

 

Il lockdown è un nuovo concetto sociologico?

E’ sicuramente un fenomeno sociologico di massa notevole perché ha imposto abitudini e atteggiamenti nuovi, è stato importante osservare come le persone abbiano aderito, affidandosi. 

 

Questo fenomeno ha una grandissima portata le cui conseguenze sul piano economico sono più prevedibili, sul piano sociale meno. Non sono tra
coloro che hanno detto sin dall’inizio che “andrà tutto bene” e “saremo migliori”, quella è una forma di auto rassicurazione. Ciò che eravamo non è cambiato radicalmente. Ma sarà importante andare a studiare a più livelli gli effetti di questa situazione sulle abitudini, relazioni, aspettative.