Misoginia e media, il corpo femminile come oggetto di consumo

Negli anni ’70 si chiamava la “cultura dello stupro”, oggi assistiamo a una pericolosa ondata di ritorno, complici anche i social network e la facilità con cui è possibile attaccare, screditare e violentare mediaticamente una persona in generale e una donna in particolare, specie se scomoda o politicamente scorretta. Attenzione perché a farne le spese siamo tutti: uomini e donne.

Misoginia e media, il corpo femminile come oggetto di consumo

Il presidente Nixon si trova nella stanza ovale insieme a numerosi funzionari governativi e giornalisti; dopo la firma di un importante documento, si intrattiene a “scherzare” con Helen Thomas, un’affermata giornalista lì presente, portando la discussione sul di lei aspetto e chiedendole, non contento, di piroettare davanti a lui indirizzandole diversi complimenti...

 

L’aneddoto viene riportato da Ervin Goffman (1977) come esempio di quegli innumerevoli “mutamenti di footing” che – oggi come allora (Goffman studiava come il corpo femminile venisse veicolato dalle pubblicità nelle riviste catacee) – riconfermano ruoli e stereotipi di genere in modi impliciti, indiretti e accidentali mentre cioè i soggetti (le donne) sono impegnate a fare altro…

E non è certo solo nella stanza ovale del presidente Nixon che è avvenuto questo, nei contesti mediatici e professionali più disparati è tutt’oggi piuttosto comune – talmente comune che le donne stesse a volte lo ritengono “normale” – assistere a questi slittamenti di piano dove mediante una battuta, un apprezzamento fisico o una galanteria, un uomo fa scivolare in secondo ordine il ruolo professionale di una donna per ricondurla ad un ruolo decorativo, ancorato all’avvenenza/gradevolezza fisica di lei.

 

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La misoginia che precede i media

Il corpo femminile, spesso sessualizzato ed erotizzato, è utilizzato abitualmente dai media come oggetto di consumo. Ma il motivo di questa diffusa oggettivazione sessuale nelle pubblicità risiede nella cultura che la precede, nell’hummus socioculturale intriso di stereotipi sessisti e misogini che distorcono il rapporto fra i generi a tutto svantaggio tanto delle donne, quanto degli uomini.

Non è necessario approdare al grande schermo in prima serata per essere considerate oggetti sessuali, corpi da esibire del tutto avulsi dalla personalità e dalle competenze di chi li abita (nel suo celebre documentario Il corpo delle donne Lorella Zanardo osserva come le inquadrature utilizzate per riprendere il corpo femminile in tv siano affini a quelle usate sui set dei film porno). Succede già molto prima, succede già molto al di fuori degli schermi televisivi ogni volta che in un contesto di lavoro, ad esempio, una donna viene resa oggetto di commenti/critiche/osservazioni inerenti il suo aspetto fisico, il suo corpo sessuato; ogni volta in cui in quanto donna, non importa quanto competente, viene considerata e giudicata per la sua gradevolezza fisica, non importa quanto questo sia irrilevante ai fini della circostanza professionale in cui essa è inserita.

 

Il corpo femminile come oggetto di potere

Si è già precedentemente osservato quanto esista ancora il sessismo e quanto spesso questa forma di misoginia si esprima in forme velate, indirette, edulcorate: quel sessismo benevolo (Volpato, 2013) che non ti aspetti, a cui non fai neanche caso, che consideri quasi normale, scontato che arrivi a confondere con dei genuini apprezzamenti…

I social network sembrano aver avuto, fra le altre cose, il potere di disambiguare questo sessismo benevolo; di esplicitare ai peggiori livelli possibili, quanto una cultura misogena e sessista non solo sia ancora largamente presente nel nostro Paese, ma possa esprimersi a chiare lettere e in modi tutt’altro che velati.

Quella che una parte di femminismo degli anni ’70, definiva “cultura dello stupro” (Boswell e Spade, 1996), sembra ridefinirsi fin troppo chiaramente come parte dell’attuale orizzonte culturale (o forse dovremmo dire sub-culturale) in cui ci troviamo.

Sono purtroppo numerosissimi gli esempi di donne che recentemente sono state criticate per le proprie idee, valori o scelte politiche augurando loro lo stupro, rendendole oggetto di scherno e derisione per come si vestono, per i capelli che portano, per quanto si ritiene siano adatte a suscitare gli appetiti sessuali di queste o quelle categorie di “maschi” (si pensi ad esempio ai commenti di odio rivolti alla capitana della Sea Watch Carola Rackete, alla scrittrice Michela Murgia o all’On. Laura Boldrini). Se una donna viene attaccata, non la si critica nel merito delle idee che esprime (o almeno non solo su quello), la si svilisce, la si sminuisce rendendola oggetto sessuale, riconducendola a presunto oggetto di potere (di cui lo stupro è - secondo l’interpretazione femminista - il simbolo) nelle  mani dell’uomo.

Fra l’augurare uno stupro a una donna e farle i complimenti per come si esibisce in piacevoli pirolette c’è da un lato una incommensurabile differenza, certo. Ma da un altro punto di vista sono, potremmo dire, atteggiamenti non così tanto diversi: in un modo brutale l’uno, in un modo gentile e (appunto) “benevolo” l’altro, entrambi screditano la donna come persona, mettono da parte quello che dice, che pensa, le competenze che ha (su cui si può naturalmente essere in accordo o in disaccordo come per qualunque essere umano) per considerarla come mero oggetto di piacere, come oggetto sessuale. Ed è ciò che di riflesso avviene nelle pubblicità e sui media quando il corpo femminile viene strumentalizzato per vendere un prodotto e esibito/commercializzato come mero oggetto di consumo.

 

La misoginia offende non solo le donne, ma anche gli uomini

Da questo sessismo neanche più tanto benevolo, da questo odio seriale sdoganato dai social, da questa misoginia vecchia e nuova a un tempo escono danneggiati, profondamente, uomini e donne.

La cultura sessista non è un problema delle donne (come molti hanno osservato), ma è un problema delle persone, è un problema che riguarda i rapporti fra i generi. Se le donne ne escono svilite nella propria consistenza di persone (e ringraziamo donne che invece hanno sfruttato la propria notorietà per dare un esempio di come si possa reagire con dignità e a testa alta ad attacchi mediatici di questo tipo) anche gli uomini vengono rappresentati mediante categorie piuttosto stereotipali. Anche gli uomini forse dovrebbero indignarsi per questi lugubri cliché che li dipingono eterni predatori, obbligati dominatori, eterni insicuri (quale ogni persona che agisce un sopruso è) del proprio potere.

Tempo fa in molti sui social si sollevarono a difesa del “diritto” di poter cambiare un pannolino senza doversi sentire meno “maschi” per questo… Sarebbe bello che una certa parte del mondo maschile (che esiste senza alcun dubbio) si ritenesse offesa e indignata (e lo gridasse a gran voce) anche quando un avversario politico, un giornalista o un uomo di spettacolo augura uno stupro a una donna. Sarebbe bello rivendicare il diritto a sentirsi veri uomini (forse più uomini) nell’ascoltare e rispettare una donna anzitutto come persona, anche quando è brava, anche quando è competente, anche quando fa o dice qualcosa di criticabile o su cui non si è d’accordo, anche quando non è un oggetto del desiderio maschile

 

 

Bibliografia e sitografia

Boswell A. e Spade J.Z. (1996), Fraternities and collegiate rape culture, Lehigt University.

Goffman E. (1977) La ritualisation de la féminité, trad. it. R. Sassaroli, Studi Culturali, VII (1), 2010: pp.37-70.

Volpato C., (2013). Psicologia del maschilismo, Laterza.

Zanardo L., (2010). Il corpo delle donne, Feltrinelli, Milano.

www.ilcorpodelledonne.com

http://www.ilmaestrodellupocattivo.it

 

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