Innamorarsi del terapeuta, perché succede?

Innamorarsi del terapeuta è uno dei cliché più diffusi nel mainstream della psicoterapia, spesso utilizzato come elemento “piccante” della trama di molti film e serie tv. Si tratta di uno degli aspetti che desta maggior curiosità ma anche i peggiori equivoci, vediamo perché.

Innamorarsi del terapeuta

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Sarà colpa del buon vecchio pensiero di Freud che, a torto e a ragione, era solito ricondurre qualsivoglia energia vitale della psiche umana alla libido sessuale. Sarà anche conseguenza delle ingenuità dei pionieri della psicanalisi talvolta noti anche per storie d’amore con loro ex pazienti (si veda la famosa storia fra Jung e Sabina Spielrein). O sarà forse che la natura stessa della psicoterapia, spesso avvolta da un alone di “mistero” per quanti non ne hanno esperienza diretta, suscita, come ogni cosa di cui non si consoce, morbose curiosità e fantasie ascrivibili in un modo o nell’altro alla sfera del “proibito”

 

Sta di fatto che innamorarsi del terapeuta a partire magari da una certa empatia nella terapia è un’eventualità possibile, ma paradossalmente più frequente nel cinema e in tv (dove sembra che l’amore fra paziente e terapeuta sia un risvolto quasi scontato) piuttosto che nella real life. Ad ogni modo, vediamo meglio di cosa si tratta. Quanto si dirà qui del rapporto terapeuta-paziente vale naturalmente qualunque sia l’orientamento sessuale della persona in terapia.

 

Cosa dice la deontologia

Due premesse sono fondamentali per poter comprendere meglio perché e come innamorarsi del terapeuta non sia affatto una “tappa obbligata” di una psicoterapia (come cinema e tv vorrebbero far credere) e assuma, nel setting clinico, significati e risvolti ben differenti da quelli comunemente noti (o fantasticati) nella vita comune.

 

La prima: forti dell’esperienza appunto pionieristica e comprensibilmente ingenua dei primi psicoterapeuti (i quali compresero le potenzialità e i rischi di questo lavoro direttamente sulla propria pelle), la comunità professionale degli psicologi italiani si è data, come molte altre professioni, un codice deontologico. In particolare, nell’articolo 28 è specificato che “…Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali (lo psicologo) ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale.

 

Ciò vuol dire che l’intrattenere relazioni sessuali o sentimentali con clienti/pazienti è eticamente contrario alla professione dello psicologo compresa la psicoterapia.

 

Questo parametro è molto importante perché mette “in sicurezza” l’agire professionale del clinico tutelando il/la paziente e la natura dell’intervento a lui/lei diretto. Si potrebbe estendere tale principio anche alle fasi successive alla conclusione del rapporto professionale: lo psicoterapeuta solitamente, in virtù del ruolo assunto nei confronti di quella persona, delle conoscenze e dell’ascendente che ha su di essa, si astiene anche successivamente dall’intrattenere rapporti di natura affettiva o personale. Considerando anche che, in caso contrario, tale persona si ritroverebbe a non avere più uno psicoterapeuta da cui eventualmente ritornare in futuro, se lo volesse.
 

Transfert e controtransfert

Il secondo elemento che aiuta a chiarire perché innamorarsi del terapeuta non ha né il significato, né gli esiti comunemente noti è quello del transfert. Elemento questo esistente in qualunque tipo di psicoterapia, anche in quegli orientamenti teorici che non lo utilizzano come strumento di lavoro. 

 

La persona che è in terapia farà un certo tipo di proiezioni sul terapeuta sia in base ad alcuni elementi di realtà (la differenza o uguaglianza di sesso, l’età, il modo di porsi nel colloquio ecc), sia in base alle sue precedenti esperienze di relazione. Queste ultime infatti guidano le aspettative che implicitamente ogni persona ha nei rapporti interpersonali e i significati che tende più facilmente ad assegnare ad essi. 

 

Nel rapporto terapeutico questo fenomeno assume caratteristiche peculiari, sia perché è assente una reciprocità (il terapeuta non racconta di sé al paziente, non instaura una reciproca confidenzialità con lui/lei e condivide i propri problemi). Sia perché il paziente si trova in psicoterapia spesso proprio per lavorare sugli aspetti più emotivamente coinvolgenti e difficili delle sue relazioni interpersonali (passate e attuali), aspetti che tenderà a rivivere nel rapporto col terapeuta.

 

Lo specifico transfert del paziente può variare e mutare da paziente a paziente o nel corso di una stessa psicoterapia: ci sono pazienti che per i loro bisogni di crescita hanno necessità di sfidare il terapeuta, di porsi in competizione con lui/lei, di mostrarsi estremamente dipendenti e accondiscendenti, di percepirlo come oggetto di amore e altro ancora.
 

Dal pensiero di Freud ai giorni nostri

Freud, che per primo aveva discusso il fenomeno del transfert psicologico, aveva osservato quanto esso potesse accompagnarsi da un analogo fenomeno nel terapeuta che egli denominò appunto controtransfert

 

Nell’ottica Freudiana – che risentiva di un approccio positivista dell’epoca dove tutte le teorie scientifiche dovevano trovare una “quadra” semplice e diretta – i fenomeni di transfert (di cui fa parte innamorarsi del terapeuta) e controtransfert erano assimilati a “distorsioni” della relazione dove o il paziente, come dire, travisava il terapeuta vivendolo come una figura del passato o il terapeuta, con il suo controtransfert, rispondeva emotivamente al transfert del paziente ripetendo suoi nodi relazionali irrisolti

 

Non ci deve stupire questa concezione, basti pensare a quanto i primi psicoanalisti fossero spesso contemporaneamente colleghi e pazienti gli uni degli altri, quanto poco ancora si conoscesse delle conseguenze e delle implicazioni della “cura delle parole” e quanto impreparati potessero essere a gestirne le conseguenze emotive e relazionali anche quando ad un paziente accadeva di innamorarsi dell’analista (Anna O., una “storica” paziente di Freud e Breuer si invaghì morbosamente di quest’ultimo che dovette rinunciare a curarla).

 

In realtà le concezioni più moderne della psicoterapia dinamica hanno rivalutato e riconcettualizzato questi termini. Se è vero che ogni paziente percepisce il terapeuta e la relazione con lui/lei in termini idiosincratici è vero anche che lo fa a partire da elementi di realtà presenti nella relazione tra loro (detto in altri termini: una paziente si innamora del suo terapeuta perché effettivamente la discordanza/concordanza di genere e magari la differenza di età fra loro favorisce questo tipo di transfert ed è questo un elemento di realtà da riconoscere come tale).

 

Al tempo stesso ogni terapeuta avrà una reazione emotiva “controtrasferale” al modo di porsi del paziente, non necessariamente espressione di suoi problemi non risolti. Si tratta invece di preziose informazioni sulla natura “implicita” della relazione che il paziente sta proponendo al di là delle parole e che può rivelarsi un elemento diagnostico fondamentale e un prezioso strumento per il ruolo dell’empatia nella terapia.
 

Ricercare nel terapeuta ciò di cui non si ha bisogno

Alla luce di quanto si è detto, innamorarsi del terapeuta è assimilabile a qualsiasi altro tipo di transfert che un paziente abbia bisogno di vivere nella relazione terapeutica e come tale va considerato nell’interesse del benessere del paziente stesso e della sua terapia. 

 

In effetti, un paziente si innamora del terapeuta per molto poco di chi egli/ella sia personalmente (conoscendolo in modo trascurabile a questo livello), molto invece per chi egli/ella immagina che sia. Ciò non vuol dire che tale vissuto vada sminuito o sottovalutato. 

 

Si tratta spesso di una fase molto delicata della psicoterapia, come lo è qualunque fase in cui un paziente si ritrovi a provare sentimenti molto intensi nei confronti del suo terapeuta come: odio, risentimento, sospettosità, rabbia, intensa invidia e ammirazione, eccessiva idealizzazione ecc.

 

Per un paziente può essere altrettanto penoso sentirsi innamorato e attratto sessualmente dal suo terapeuta, quanto ritrovarsi improvvisamente a odiarlo e a nutrire per lui intensi sentimenti aggressivi.

 

La prima eventualità può provocare emozioni come: vergogna, paura del rifiuto, frustrazione, difficoltà ad aprirsi. La seconda un comprensibile senso di pericolo, ansia, senso di colpa e disperazione per non riuscire temporaneamente a percepire in quella figura sentimenti positivi e rassicuranti.

 

Non me ne vogliano tv e rotocalchi, ma il desiderio sessuale è solo una parte, spesso neanche la più rilevante, dei vissuti che i pazienti vivono in terapia e spesso con l’attrazione sessuale vera e propria non ha nulla o poco a che fare.

 

Basti pensare ad un elemento molto semplice: l’attrazione sessuale andrebbe in direzione di una rottura di quel rapporto nella sua valenza terapeutica. Non di rado alcuni pazienti che vivono un’attrazione sentimentale o sessuale nei confronti del loro terapeuta hanno alle spalle relazioni incestuose, abusanti o semplicemente ambigue dove l’adulto non è stato in grado di proteggere il bambino e mantenere con lui/lei confini chiari e affidabili. 

 

Per quasi tutti i pazienti che si ritrovino a vivere la complessa esperienza di innamorarsi del terapeuta si tratta di una fase passeggera, che può essere oggetto di dialogo e occasione di ulteriore comprensione delle dinamiche psicologiche della persona.

 

Alcuni, soprattutto coloro che hanno alle spalle passati traumatici, possono fare esperienza di questo in modi intensi, disturbanti e dolorosi. Paradossalmente quello che questi pazienti dichiarano di volere (un coinvolgimento erotico col terapeuta) non è quello di cui hanno bisogno; spesso hanno invece inconsciamente un disperato bisogno del contrario: di fare esperienza di una relazione sicura dove l’altro non approfitti del loro comportamento seduttivo e continui a essere un riferimento sicuro, coerente e rispettoso.

 

Nei casi, purtroppo dolorosi ma possibili, in cui questo non consenta di proseguire la terapia, può essere estremamente utile che il paziente venga inviato da un nuovo terapeuta con il quale elaborare anche quanto accaduto col precedente.