La consapevolezza di sé nel Paradiso dantesco della Divina Commedia

Dante completa il suo viaggio verso la salvezza e l'autoconsapevolezza nel Paradiso, dove le tenebre scompaiono per lasciare soltanto luce. Qui, la salvezza avviene con la visione del mistero della Trinità (Pd, XXXIII, vv. 115-120), l'autoconsapevolezza si ha con lo svelamento del mistero dell'Incarnazione (Pd, XXXIII, vv. 127-138), misteri cattolici che il poeta si sforza di figurare al lettore ricorrendo all'uso di figure retoriche per dare anche lui corpo all'invisibile.
Conclude la galleria di donne illustri del Trecento con il ritratto di Piccarda Donati, altra vittima di una società patriarcale.

Paradiso Botticelli Divina Commedia

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©Wikimedia Commons / Sandro Botticelli, Paradiso

Paradiso: la bellezza luminosa della beatitudine

Dal Purgatorio, che è tutto una grande liturgia dal lavacro iniziale, passando per la cerimonia del giunco, fino all'ufficiatura della confessione e alla purificazione nel fuoco che circonda il Paradiso terrestre e nell'acqua del Lete e dell'Eunoé, finalmente Dante termina il suo viaggio lontano dalla Terra, in cui secondo il poeta sprofondano Inferno e Purgatorio. Invece, colloca il Paradiso nell'alto dei cieli.  

 

Nel cammino dell’esistenza è fondamentale constatare di continuo un senso di evoluzione. Il Paradiso è il completamento del viaggio, nonché la presa di coscienza di sé.  

 

La fine della crisi di mezza età con il superamento della causa scatenante, la morte di Beatrice, che qui ritrova a fargli da guida. Nella Vita nova (cap. XXXI), nel sonetto Ne li occhi porta la mia donna Amore, dove, dopo l'incontro con Beatrice, c'è già la percezione dell'aspetto prodigioso della donna amata, che sembra, quando sorride, non si possa dire né tenere a mente così è un miracolo mai visto e gentile

 

“Quel ch’ella par quando un poco sorride,
non si pò dicer né tenere a mente,
sì è novo miracolo e gentile”
.
 
 

Ineffabilità propria e ripetuta innumerevoli volte nell'ultimo canto della Commedia, nei cui ultimi versi Dante si avvicina ancora di più alla salvezza con la visione di Dio uno e trino, secondo il mistero della Trinità:

 

“Ne la profonda e chiara sussistenza
de l'alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d'una contenenza;

e l'un da l'altro come iri da iri
parea reflesso, e 'l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri”
.

 

Il raggiungimento della consapevolezza di sé

Il cammino di Dante è una crescita spirituale con tappe precise, che arriva a una fase avanzata del percorso, alla fine del Purgatorio, dove viene incoronato da Virgilio signore di se stesso

 

Il poeta latino riconosce l’alto livello della consapevolezza raggiunto, consapevolezza di sé e degli altri, perché per un uomo del Medioevo le due cose non erano affatto separate, facevano parte di uno stesso ambito, egli afferma, dunque l’uomo deve essere assolutamente consapevole delle sue scelte, ma prima di tutto di se stesso. E nel suo viaggio oltremondano narra proprio questo, questa sua crescita, un cammino fatto in maniera esemplare per tutti. Un cammino che va verso che cosa? Verso qualcosa di preciso e di desiderato certamente da ogni uomo: verso la felicità.

 

“Quella circulazion che sì concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,

dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che 'l mio viso in lei tutto era messo”
.

 

Fino alla visione di Dio nel mistero della Trinità e dell'incarnazione. Ma non essendoci mai pervenuta l'immagine di Dio, il poeta insiste sulla sua ineffabilità e ci trasmette la sua visione ricorrendo alle similitudini. In tutta la Commedia ne usa 600. E così che anche in pochi versi dell'ultimo canto del Paradiso, il poeta di nuovo sfiora la psicologia, con la psicanalisi del sogno di Sigmund Freud che scrive nell'Interpretazione dei sogni: “Un uomo che sogna viene rimosso dal mondo della coscienza sveglia” similmente a una similitudine dell'ultimo canto della Commedia (Pd, XXXIII, vv.58-66):


“Qual è colüi che sognando vede,
che dopo 'l sogno la passione impressa
rimane, e l'altro a la mente non riede,

cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visïone, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa”.

 

Commenta Luca Serrani, storico della lingua italiana (I): “L'immagine è tratta dalla comune esperienza che tutti facciamo sognando quando, una volta che ci siamo svegliati, il sogno si dissolve nella sua materialità, e tuttavia ci resta l'idea di aver fatto un bel sogno o un brutto sogno... ma Dante non si accontenta di questa immagine soggettiva, psicologistica, e ne colloca subito altre due che fanno riferimento a due ambiti che sono dominanti nella realtà figurale della Commedia, cioè in quella realtà dominante nella Divina Commedia, dalla quale Dante attinge spunti e immagini”. La prima è tratta dalla scienza: la neve che si scioglie al sole; la seconda è tratta dalla mitologia classica, con riferimento alla sibilla. 

 

E per dipingerci l'ineffabile volto di Dio, Dante usa anche quella che Umberto Bosco definisce 'domesticità' (II): “Importante mi sembra la tendenza, che abbiamo creduto d'individuare nel Paradiso, e che abbiamo chiamato 'domesticità', ad accostare o alternare parti didascaliche e parti, diciamo così, affettive: ciò il poeta ottiene avvicendando canti in cui prevale l'una materia a tanti in cui prevale l'altra (si veda, per unico esempio, la posizione di Pd VII, interamente e arduamente dottrinale, tra l'elegia-rampogna di Romeo di Villanova e l'altra diversa elegia-rampogna di Carlo Martello); oppure accostando le une alle altre nell'interno d'uno stesso canto e persino d'uno stesso episodio. Ciò egli faceva in taluni casi per amore di variazione, in altri per il suo bisogno di saggiare la teoresi sull'esperienza umana: in interi episodi (Piccarda, ecc.) o anche in semplici aperture in sede di paragone. Insomma, egli rapporta il paradisiaco alla misura dell'uomo”.

 

Da quando si congeda Virgilio, Dante non sente che voci di donne stupende e virtuose, quella di suor Piccarda parla nel III canto. 

 

Piccarda e la violenza della società patriarcale

Per chiudere la straordinaria galleria di ritratti di donna che Dante fa nella Commedia, rileggiamo quello di Piccarda Donati, altra vittima del mondo patriarcale del Medioevo. Preme a questo punto riconoscere al Poeta del Trecento una posizione d'avanguardia all'interno di un'età e d'un paese patriarcale, come nessuno mai seppe tenere. 

 

Piccarda, sorella del celebre politico Corso Donati, si era fatta suora, ma poi era stata strappata a forza dal convento e dalla sua pace e costretta a sposarsi, per assecondare i loschi intrighi del malvagio fratello Forese: ella è dunque vittima tre volte della società del tempo in cui visse: perché donna, perché suora desiderata da un uomo crudele, e per questo sottomessa al volere di due malvagi (Dante incontra Forese all'Inferno).

 

La beata racconta a Dante la sua vicenda, ma al momento di riferire la violenza subìta, svanisce in lei ogni risentimento nei confronti di chi la usò contro di lei, che designa con una formula generica (vv. 106-108):

 

“Uomini poi, a mal più che a ben usi,
fuor mi rapiron della dolce chiostra:
Iddio si sa qual poi mia vita fusi”
.

 

Dante tratteggia questo personaggio femminile con indimenticabile la finezza psicologica per cui anima santa qual è, la suora clarissa non può provare rancore nei riguardi del fratello (che non nomina neppure) né di chiunque altro le fece violenza.

 

Il suo carattere riservato e pudico si coglie soprattutto nell’ultimo verso, quand’ella stende un velo pietoso su quella vita matrimoniale che non voleva e alla quale era stata costretta, affermando che Dio conosce bene la sua vicenda e che non v’è bisogno di esternarla ad altri. 

 

Anche qui leggiamo il perdono cristiano, proprio delle anime beate,
Vittorio Sermonti afferma (III):“La vanteria di suor Piccarda d'essersi fatta talmente bella, che capisce quanto fatichi a riconoscerla anche un vecchio amico come Dante, è vanteria giusta, pudica, santa e metaforica. Ma sarebbe venuta in bocca a un frate? No, nella psicologia dello stilnovo, la bellezza che arde e illumina, testimonia, redime e promuove è prerogativa unicamente femminile. S'è mai sentito in area di stilnovo d'una donna redenta e promossa a Dio dalla bellezza di un uomo? E come per donna, tutti, uomini e donne, siamo usciti alla vita sulla Terra, per donna stiamo entrando, femmine o maschi, nella materna eternità della beatitudine”. Insomma, conclude Vittorio Sermonti: “In tutta la Divina Commedia non c'è donna più donna di questa suora di madreperla”. 

 

Assieme a Piccarda c'è Costanza d'Altavilla, anche lei costretta ad abbandonare i voti per tornare alla vita mondana. 

 

“Si salveranno più donne che uomini,
più pesci che mammiferi,
sparirà il rock and roll, resteranno le preghiere,
scomparirà il denaro, torneranno le conchiglie.

L’umanità sarà poca, meticcia, zingara
e andrà a piedi. Avrà per bottino la vita
la più grande ricchezza da trasmettere ai figli”. (IV)

 

I ritratti realistici e surreali di Piccarda Donati

Come per Pia de'Tolomei, anche Piccarda Donati compare in diverse forme d'arte, declinata in scultura, come in pittura e persino nella settima arte. E secondo diversi stili che coprono secoli di fama del soggetto immortalato a futura memoria. 

 

Giovanni Bastianini nel 1855 scolpisce la suora nel marmo in stile realistico, attenendosi esattamente alle descrizioni dei beati del Paradiso fatta da Dante all'inizio del canto III (vv.7-12):

 

“Ma visïone apparve che ritenne
a sé me tanto stretto, per vedersi,
che di mia confession non mi sovvenne.

Quali per vetri trasparenti e tersi,
o ver per acque nitide e tranquille,
non sì profonde che i fondi sien persi”
.

 

Ma anche alla glittica rinascimentale delle donne, basta notare quanto è bello quel ricciolo di capelli che cade sulla piccola spalla destra. Lo scultore fiesolano riesce persino a rendere, pur dovendo usare il duro marmo, l'evanescenza e la debolezza dei tratti delle figure corporee, che nel Paradiso perdono la carne per essere solo diafana luce. Il candore marmoreo si presta invece ottimamente a dare la bellezza perlacea dei beati. Riesce a smaterializzare la durezza del marmo, smerigliandolo fino a ottenere superfici morbide.

 

E la perla in fronte, oltre a riferire puntualmente le acconciature delle donne – si pensino le tante opere pittoriche che la tramandano – ci introduce nel clima di gentilezza e delicatezza lirica che domina tutto il canto III. Infatti, oltre al ricorso della metafora dell'acqua, il poeta ricorre a quella di perle bianche che si distinguono appena sulla bianca fronte di una giovane donna (come era d'uso nella moda del tempo e tipico delle giovani aristocratiche, per cui l'immagine aggiunge raffinatezza alla scena). E Bastianini dà corpo a questa seconda metafora dividendo in due chiome la capigliatura della suora proprio con la perla.

 

Ma colpisce ancora di più come Salvador Dalì, l'artista del sogno, ritragga Piccarda e tutta la Commedia, dimostrando anche lui quanti legami l'opera immortale del poeta stringa legami con la psicologia. In cento xilografie a colori di Salvator Dalì racconta la Divina commedia. Un viaggio iconografico che esplora i tre regni danteschi attraverso linguaggi espressivi differenti, al quale il surrealista dedica 10 anni di lavoro. Nelle tavole brulicano forme e colori ora grotteschi, ora dissacranti, ironici, drammatici, sensuali, estatici, allegorici e inaspettatamente leggiadri e sublimi.

 

Dalì, come Dante, attinge alla propria memoria e al proprio percorso artistico per raccontare in maniera inedita quel mondo ultraterreno e ordinato concepito dalla chiesa. Come già avevano fatto altri visionari prima di lui, a partire da Sandro Botticelli – che dopo la serena dolcezza della Nascita di Venere, sprofonda anch'egli con Dante e Virgilio nella selva oscura per poi risalire, pur ormai ottenebrando il suo precedente stile, continuando con William Blake e Gustave Doré

 

Affermò Dalì sul suo viaggio dantesco: “Ho voluto che le mie illustrazioni per Dante fossero come delle lievi impronte di umidità su un formaggio divino. Di qui, il loro aspetto variopinto d’ali di farfalla”.  Di Piccarda, Dalì non fa figura atomica o mistica, come si potrebbe supporre, ma anch'egli punta sulla consistenza di mera luce, grazie all'acquerellato, e al sole che scalda e colora la figura muliebre con toni acquerellati, mentre sprofonda in basso nelle tenebre Dante che guarda questa visione,che, attraverso la prospettiva dal basso verso l'alto, ingigantisce non soltanto la figura fisica ma anche lo spessore morale della donna, in posa da crocefissione, con le spalle larghe, a differenza di quelle del Bastianini.

 

Che il pittore del sogno e della psicanalisi, lui stesso descritto da Sigmund Freud (V) come un soggetto psicologicamente turbato: “Dal punto di vista critico si potrebbe tuttavia dire che la nozione d'arte si rifiuta ad ogni estensione quando il rapporto quantitativo tra il materiale inconscio e l'elaborazione precosciente non si mantiene entro limiti determinati. Si tratta qui, in ogni caso, d'un serio problema psicologico", fosse ossessionato dalla Commedia, pare confermare la tesi che la Divina Commedia abbia già nel Trecento collegamenti con la Psicologia che nasce nel Novecento. 

 

Vittorio Gassmann, un altro appassionato della Commedia dantesca introdusse le sue letture a memoria dei canti affermando (VI): “Dante non esce mai di moda e si può riproporlo infinite volte. Anche, credo, a breve distanza di tempo, perché non cessa di stupirci e non cessa di raccontarci cose nuove su tutti i campi, perché praticamente si è occupato di tutto, ha a che fare con l'architettura, con la religione evidentemente, con l'alchimia. Molto con l'interno, cioè con la psicologia, con la psicanalisi, perfino con la parapsicologia, con i sogni: il viaggio di Dante è immenso, non solo in tutte le direzioni. Tra l'altro, ha scritto il poema viaggiando nell'esilio, ma anche all'interno. I viaggi alla ricerca della parte sommersa dell'anima umana”. 

 

Piccarda Donati si trova spesso a confronto con altre due figure femminili dantesche: Francesca da Rimini e Pia de' Tolomei, al punto che c'è persino chi le confonde. Infatti, tratta la storia di Piccarda anche il cinema, la declinazione artistica più contemporanea al nostro mondo, a dimostrare ancora una volta la portata universale della Commedia.
 

 

Raffaello Matarazzo dirige nel 1950 il film Paolo e Francesca, evidentemente narrando la cronaca dei fatti dell'amore impossibile dei due cognati romagnoli. 
Per la narrazione dei fatti della coppia infernale, il regista si affida a quanto ci tramanda Giovanni Boccaccio, ma il film si apre con un incontro assente nel novellista e, invece, memore della storia monastica di Piccarda. Infatti, il film si apre con l'incontro di Paolo e Francesca in convento, nel quale Paolo cerca asilo politico, ma Francesca-Piccarda viene strappata alla vita monastica per un matrimonio combinato e svoltosi per procura con Paolo, fratello del trivale Gianciotto, e qui Matarazzo torna a Boccaccio, pur cedendo ancora ad allusioni alla beata del III canto; per esempio, inanellando i capelli di Francesca di perle così come la ritraggono dante nel Paradiso e Bastianini nel marmo bianco.

 

Forse questa beatificazione postuma di Francesca è dettata al regista dalla stessa volontà del Sommo poeta di salvare l'anima lussuriosa dalle pene dell'inferno.

 

Fonti: 

  • (I) Luca Serrani, Lezione sul canto XXXIII del Paradiso
  • (II) Dante alighieri, La Divina Commedia. Paradiso, editore Edumond Le Monnier, con pagine critiche a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio.
  • (III) Vittorio Sermonti, commento al III canto del Paradiso, ed. B. Mondadori, 2000:
  • (IV) Erri De Luca, Dopo, tratto da “Solo andata”, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2005/2014.
  • (V) Sigmund Freud, Lettera a Stefan Zweig (del 20 luglio 1938) in Lettere sullo sfondo di una tragedia. Freud e Zweig tra Vienna e Gerusalemme, Ed. Marsilio 2000.
  • (VI) Gassman legge Dante: Divina commedia. Regia di Rubino Rubini, Mondadori 2005.

 

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