Disturbi alimentari e consapevolezza corporea

Le persone con un disturbo alimentare vivono in un paradosso: preoccupate dell’immagine e del peso, la scarsa consapevolezza corporea rende loro difficile percepire bisogni e segnali di un corpo alla fine estraneo.

Disturbi alimentari specchio

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Le diverse modalità in cui possono manifestarsi i disturbi alimentari – anoressie, bulimie, binge eating e altri disordini affini – sebbene apparentemente molto differenti sul piano sintomatologico hanno diversi tratti in comune. 

 

Fra questi vi è una consapevolezza corporea solitamente molto bassa: sebbene queste persone siano molto preoccupate del loro peso e del cibo ingerito, hanno molta difficoltà a percepire i loro segnali interni. Il corpo è percepito/valutato soprattutto per ciò che appare all’esterno (allo specchio, in fotografia, nella taglia dei vestiti o nel peso sulla bilancia), ma rimane sostanzialmente “muto”riguardo alle percezioni interne.

 

Questo rende difficile riconoscere correttamente le sensazioni di fame e sazietà e alimenta dispercezioni più o meno gravi della forma e ai confini corporei rendendo il corpo qualcosa di alieno e indecifrabile. 

 

Valutare il corpo dall’esterno

Tanto nelle forme anoressico-restrittive, quanto nei disturbi di tipo bulimico e incontrollato, le persone con un disturbo alimentare faticano a valutare correttamente forma e dimensioni del proprio corpo.

 

L’immagine corporea – cioè il vissuto soggettivo che si ha della propria immagine allo specchio – si modifica a seconda degli stati d’animo: a molti può capitare di trovare particolarmente intollerabili i propri “difetti” fisici quando si è giù di morale e riuscire invece a osservarsi con maggiore indulgenza quando si è di buonumore. 

 

Ma le persone con un disturbo alimentare – sia che dia luogo ad un’alimentazione restrittiva che bulimica o del tutto incontrollata – possono vivere queste fisiologiche fluttuazioni in maniera piuttosto estrema. La sensazione può essere quella di sentirsi come se si fossero presi 10 o 20 chili appena si nota un leggero gonfiore, di vedersi comunque troppo grassi anche se si legge un basso numero sulla bilancia o di non riuscire a valutare un aumento o perdita di peso senza parametri “esterni” – la bilancia, la taglia dei vestiti, una fotografia – che rivelino un cambiamento ponderale (a volte questo avviene anche per aumenti di peso consistenti).

 

La scarsa consapevolezza corporea che può caratterizzare le persone con un disturbo alimentare rende piuttosto difficile percepire “dall’interno” le proprie sensazioni corporee, i propri movimenti, le sensazioni di stanchezza, affaticamento, sete, appetito.

 

Tendono quindi ad affidarsi a criteri prettamente “esterni” sia per valutare forma e dimensioni del corpo (la taglia dei vestiti, il peso sulla bilancia, entrare in un determinato indumento ecc.) sia per tentare di regolare la propria alimentazione non riuscendo a percepire e ad utilizzare i segnali interni di fame e sazietà. Saranno quindi il contenuto calorico degli alimenti, le tabelle o gli schemi nutrizionali a essere utilizzati per stabilire quanto e cosa mangiare (soprattutto nelle forme restrittive e nei periodi di dieta che ciclicamente si alternano in molte forme bulimiche o incontrollate). 

 

In modo simile, la semplice “vista” di cibi appetibili e ipercalorici (che spesso queste persone vorrebbero proibirsi) potrà fungere da “trigger” per una o più abbuffate annullando gli sforzi precedenti.
 

Anestesia corporea e anestesia emotiva

La bassa consapevolezza corporea associata ai disturbi alimentari si traduce in una sorta di “anestesia”/insensibilità alle sensazioni corporee, a questa si associa in parallelo un’anestesia di tipo emotivo

 

Anche percepire e gestire i propri stati d’animo infatti può risultare difficile: tanto il corpo fisico quanto le emozioni risultano dimensioni indecifrabili, spesso impossibili da utilizzare per autoregolare la propria alimentazione così come gli altri bisogni fisici e psicologici (che spesso non vengono correttamente distinti gli uni dagli altri). Non stupisce questo parallelismo: i disturbi alimentari sono solo apparentemente e superficialmente dei disordini che riguardano l’appetito o l’estetica.

 

Denunciano, invece, la difficoltà a riconoscere e autoregolare i propri bisogni, fisici e psicologici: spesso i questi casi le emozioni non possono essere riconosciute come tali né espresse a parole, pertanto qualunque stato di tensione si esprimerà a livello concreto mediante il cibo (abusato come calmante o rifiutato/controllato) e il corpo (oggetto di violente dispercezioni, restrizioni, allenamenti estenuanti, pratiche dietetiche estreme o riempimenti incontrollati) senza che la persona possa avere consapevolezza né delle une né dell’altro. 

 

Psicoterapia per i disturbi alimentari

I percorsi di psicoterapia per i disturbi alimentari affrontano spesso in parallelo sia il lavoro sulla consapevolezza corporea (riconoscere e rispettare i propri stati fisici come fame, sazietà, bisogno di riposo ecc.), sia quello sulla consapevolezza emotiva (dare un nome alle emozioni e imparare a gestirle invece di “ingoiarle” o illudersi di controllarle mediante l’utilizzo incontrollato o restrittivo del cibo).

 

Uno degli obiettivi di questi percorsi è di far sì che le emozioni possano essere riconosciute e utilizzate come segnali utili per orientarsi nelle relazioni e nelle decisioni. E che, parallelamente, le sensazioni corporee vengano correttamente interpretate e ascoltate lasciando che il cibo possa ridiventare (o in molti casi diventare per la prima volta) soltanto cibo…