Come capire se l’altro mente ed essere più felici

La direzione dello sguardo, il sorriso, la postura del corpo: quali segnali monitorare per capire se l’altro ci sta mentendo? Non tutti i bugiardi, sappiatelo, sono a disagio nel mondo fittizio che stanno inventando.

riconoscere le bugie

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Come fare a smascherare i bugiardi? Come riuscire a capire se l’altro è sincero o ci sta dicendo una bugia? Queste domande sono certamente molto importanti per gli ambiti delle testimonianze giudiziarie e delle deposizioni nelle centrali di polizia

 

Anche nelle relazioni private si vorrebbe poter procedere con altrettanta sicurezza, ma forse fuori dalle sale degli interrogatori le cose si complicano e appaiono meno nette…

 

Capire se l’altro mente: come fa l’FBI?

Diversi sono i segnali verbali e non verbali che gli esperti ritengono importanti da monitorare per capire se l’altro mente. “Come individuare bugie come l'FBI: proteggi i tuoi soldi, il tuo cuore e la tua sanità mentale usando consigli comprovati”, questa è la traduzione che potremmo dare del titolo del libro di Mark Bouton, ex agente dell’FBI

 

L’intento è quello di mostrare come percepire quando qualcuno sta cercando di ingannarci interpretando il suo linguaggio del corpo, le espressioni facciali e il suo modo di parlare. Bouton usa fotografie ed esempi specifici di come l'individuazione delle bugie lo abbia aiutato a catturare assassini, rapitori, rapinatori di banche, truffatori e attentatori. Le stesse tecniche, sostiene l’Autore, potrebbero aiutarci a capire quando familiari, amici, amanti, venditori e truffatori stanno cercando di ingannarci.

 

Quali sono allora i segnali da osservare per capire se l’altro mente? Eccone alcuni.

  • Osservare se l’altro cambia atteggiamento quando si abbandona il piano disimpegnato della conversazione e si inizia a parlare di qualcosa di importante. Se la sua mimica facciale cambia questo potrebbe essere, secondo Bouton, un segnale a cui prestare attenzione. Lo abbiamo visto in molti telefilm polizieschi in effetti: è un po’ il gioco del “poliziotto buono” e del “poliziotto cattivo”, uno mette a suo agio l’indiziato e l’altro poi interviene nel porgli le domande più stringenti.
  • Prestare attenzione ai movimenti oculari (che sono per lo più automatici e involontari): chi mente batte frequentemente le palpebre, chiude gli occhi per alcun secondi o, al contrario, tiene lo sguardo innaturalmente fisso sul suo interlocutore con l’intento di manipolarlo mediante la menzogna che sta sostenendo.
  • La direzione dello sguardo, quando è rivolta verso l’alto, può indicare che l’altro sta facendo appello alla propria immaginazione e che dunque quel che sta dicendo potrebbe essere, del tutto o in parte, inventato.
  • Attenzione ai falsi sorrisi, quelli di circostanza dove si ride con la bocca ma non si ride con gli occhi: non possiamo considerarlo un segnale certo di menzogna, ma senza dubbio ci sta dicendo che il nostro interlocutore non sta sorridendo con autenticità.
  • Segnali di ansia più evidenti come eccessiva sudorazione o rossore del viso (pertinenti, per la verità, anche ad altre situazioni che con la menzogna hanno poco a che fare).

 

Cosa cambia nelle relazioni personali?

Altri Autori hanno segnalato indizi simili a quelli illustrati da Bouton, segnali che tuttavia potrebbero avere significati diversi ed essere osservati con differente facilità anche a seconda del contesto situazionale e interpersonale. Chi è specificatamente addestrato a cogliere questi aspetti del comportamento verbale e non verbale di una persona li rileva solitamente in circostanze dove:

  • fra sé e l’altro non esiste un rapporto di conoscenza pregressa o personale;
  • l’altro è in una condizione di stress (per il fatto stesso di essere interrogato) che di per sé può amplificare e rendere più evidenti tali manifestazioni.

Molto diverso è il caso di una relazione personale, familiare o lavorativa nella quale abbiamo un rapporto di conoscenza con il nostro interlocutore, solitamente infatti le situazioni dove più ci si preoccupa che accada questo sono quelle più rilevanti dal punto di vista interpersonale. Ebbene qui le cose di complicano.

 

Anzitutto perché i segnali suggeriti da Bouton e altri sono in gran parte aspecifici, indicano un generale stato di disagio e stress dell’interlocutore senza essere sufficienti a dirimerne con certezza la causa. Le stesse forze dell’ordine potrebbero trovarsi in difficoltà.

 

Immaginiamo una situazione piuttosto banale: una persona alla guida di un veicolo che viene fermata dalla polizia stradale per un controllo. Apparentemente potrebbe essere facile capire se quel conducente ha o meno qualcosa da nascondere: se non ha commesso alcuna infrazione perché mai dovrebbe mostrare segnali di agitazione?  

 

Ma proviamo a immaginare che questa persona soffra di un’intensa ansia sociale, che al cospetto di qualsiasi forma di autorità attivi una paura fobica di essere ridicolizzato e giudicato negativamente e che questo attivi in lui fin dai primi istanti un intenso tremore nella voce, difficoltà a guardare i poliziotti negli occhi, intensa sudorazione e rossore… 

 

Oppure, immaginiamo che i due abbiano fermato, anche qui senza saperlo, una persona che è stata vittima di abusi o soprusi proprio ad opera di qualcuno appartenente alle forze dell’ordine (pensate a chi era nel 2001 al G8 di Genova per esempio). Questa persona probabilmente riattiverà sintomi da stress post traumatico a un normale controllo stradale: tanto basterà a ricordare in lui o lei la situazione subita.
Forse in casi come questi, quei segnali di disagio attesteranno sì che la persona teme di essere colta in fallo o si sente in pericolo, ma non per le motivazioni immaginate da chi crede che stia mentendo…
 

E se fossimo noi a non voler vedere?

Quanto possa essere facile o difficile capire se l’altro mente dipende anche da fattori riguardanti le caratteristiche degli interlocutori.
Ci sono persone che appaiono più facilmente “influenzabili”, disposte a credere a ciò che si dice loro e apparentemente più ingenue. Pensiamo a chi si ritrova a vivere in sequenza diverse relazioni sentimentali dove presto o tardi scopre un tradimento del partner… 

 

Spesso coloro che si ritrovano a scegliere, in maniera inconsapevole, relazioni di questo tipo si confrontano con partner inaffidabili anche su altri piani che tuttavia vengono sistematicamente ignorati nel tentativo di vedere quel rapporto solo come lo si vorrebbe. E, ancora, molte relazioni matrimoniali si protraggono per lungo tempo, a volte per tutta la vita, senza che uno dei coniugi riesca mai a voler vedere chiaramente il tradimento dell’altro.

 

In altre parole: a volte siamo noi stessi che, per non rimettere in discussione le premesse sulle quali fondiamo una relazione importante, non vogliamo/riusciamo a renderci conto dei segnali della menzogna dell’altro.
 

Quando la bugia è patologica

Una bugia può essere più facile o difficile da smascherare, fuori dalle sale interrogatorio, anche a seconda di quanto l’altro si senta a suo agio con essa.

 

In psicopatologia col termine di pseudologia fantastica si indica proprio il comportamento del mentitore patologico che, paradossalmente, potrebbe risultare molto più “credibile” di un mentitore occasionale. Sì perché molti di coloro che dicono compulsivamente delle menzogne finiscono per credere ad esse come se fossero vere. Pur sapendo, in fondo, di dire delle cose false finiscono per ritrovarsi più a loro agio con la realtà fittizia che stanno costruendo. 

 

Ernest Dupré (1862-1921), uno psicologo francese molto attento a questo tema, aveva individuato ad esempio differenti tipologie di mentitori patologici a seconda proprio della finalità del loro comportamento:

  • i “vanitosi”, coloro cioè che mentono a scopi narcisistici per mostrarsi migliori di quanto non siano e suscitare ammirazione negli altri;
  • gli “erranti”, coloro che costruiscono versioni alternative di realtà scomode che non vogliono vedere né ammettere a sé stessi;
  • i “maligni”, coloro che mentono sempre a scopi narcisistici per screditare agli altri, in particolare coloro verso i quali provano uno spiccato senso di inferiorità;
  • i “perversi”, coloro che mentono con intenti manipolatori per ottenere vantaggi pratici o economici, spesso si tratta di soggetti con personalità antisociale.

 

Questa classificazione, certamente non esaustiva, ci mostra quanto il mentire possa diventare un comportamento pervasivo con il quale una persona sostituisce una parte della realtà con un’altra di sua invenzione che risulta per quella persona più confortevole. La menzogna in questi casi diventa qualcosa di talmente egosintonico – non si provano sensi di colpa né rimorsi – da essere integrata e ritenuta verosimile anche da chi la sostiene senza necessariamente quei segnali di stress psicofisico che osserveremmo solo in un interrogatorio di polizia, ma non nelle normali circostanze in cui la persona vive e si relaziona agli altri.

 

Dunque sembra irrealistico prestare attenzione ai movimenti delle palpebre del nostro partner o migliore amico mentre siamo emotivamente implicati in una conversazione con lui/le. Così come in alcuni contesti questi e altri segnali possono risultare fuorvianti fonti di malinteso e magari i mentitori “seriali” apparire facilmente esenti da tali stranezze comportamentali. In fondo non possiamo avere alcuno strumento che ci aiuti a stabilire con certezza se l’altra persona stia mentendo: non siamo in grado di controllare né rendere totalmente trasparente l’altro a noi stessi.