Introversione e ansia sociale, le differenze

L’introversione viene spesso accomunata a timidezza e ansia sociale. Eppure non sono affatto la stessa cosa: stare bene da soli è diverso dal non riuscire a relazionarsi agli altri...

Introversione e ansia sociale, le differenze

Introversione e ansia sociale sono molto diverse, vediamo perché.

Immaginate di trovarvi ad una festa: c’è un sacco di gente, tutti ballano, bevono, scambiano chiacchiere e sorrisi, ma non proprio tutti… Ad un lato della stanza notate due persone in disparte: non parlano con nessuno, non ballano, rimangono appoggiate alla parete col bicchiere in mano, insomma non si buttano nella mischia!

 

Introversione e ansia sociale: oltre le apparenze

A prima vista potreste essere indotti a considerare quelle due persone appoggiate alla parete molto simili, ma potrebbe non essere affatto così.

Potrebbe darsi che uno sia sostanzialmente facendo ciò che gli è più congeniale: mettere una certa distanza fra sé e un mondo caotico e socialmente iper-stimolante. Preferisce osservare da “spettatore” tutto quel frastuono rimanendo protetto nella solitudine dei propri pensieri.

Ancora un paio d’ore e potrà finalmente tornare a casa e “ricaricarsi” in una delle sue attività “solitarie” (magari dipinge, scrive, suona o si occupa di computer): proprio non comprende come la gente possa sentirsi bene ed eccitata in tutta quella confusione.

L’altro invece potrebbe avvertire un forte senso di malessere perché l’ansia gli causa magari nausea, tachicardia, sudorazione e potrebbe anche farlo arrossire violentemente, che è ciò che più teme. Per questo motivo rimane in disparte: se gli altri si accorgessero del suo malessere potrebbe sentirsi sopraffatto dall’umiliazione e dalla vergogna e forse rischierebbe di avere addirittura un attacco di panico.

Evita pertanto di partecipare alla festa pur sentendosi frustrato e arrabbiato per questo: la sua ragazza è lì che balla e si diverte e lui non sta passando un solo minuto insieme a lei!

 

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L’ansia sociale: vorrei ma non posso

L’ansia sociale è un disturbo psicologico nel quale la persona convive con una paura fobica di fare figuracce, essere mal giudicato o messo in ridicolo nelle situazioni sociali, anche quando non ne avrebbe motivo o non gli viene apparentemente richiesta alcuna “performance”.

Una persona che vive questo estremo disagio desidererebbe potersi divertire ed esprimere come tutti gli altri, ma la componente ansiosa del suo disturbo glielo impedisce. E in questo modo egli paga dei costi emotivi molto alti perché risulta limitato e penalizzato in molte relazioni a cui tiene, non emerge nel lavoro e coltiva segretamente un penoso senso di svilimento e vergogna di sé.

Da un lato evita le situazioni sociali perché è molto sensibile alle critiche e una figuraccia (reale o presunta) potrebbe esporlo a provare un senso di vergogna potenzialmente disorganizzante. Dall’altro anche da questo comportamento evitante trae disistima e svilimento di sé: si sente da meno, non all’altezza degli altri, in sostanza “diverso” e la sfiducia in se stesso aumenta sempre di più.

La sua solitudine “forzata” è la sua prigione e questo non solo lo esclude dalla vita di relazione, ma anche da molta parte della sua vita emotiva: per lui c’è spazio solo per una forte ansia, una vergogna disorganizzante o un’intensa rabbia quando qualcosa “va storto”. Ha invece molta difficoltà a esperire, riconoscere e comunicare altre sfumature emotive. Non è solo la sua vita “esteriore” ma anche quella “interiore” ad essere fortemente ristretta.

 

L’introversione: assecondare la propria natura

L’introversione invece non è un disturbo psicologico, ma un tratto di personalità, cioè una disposizione più o meno innata e più o meno stabile del modo in cui una persona di rapporta con l’esterno. È un termine diventato di uso comune e per questo il suo significato è spesso frainteso e confuso con una generica “timidezza” (o con forme patologiche di essa come appunto l’ansia sociale).

In realtà il temine deve la sua paternità a Carl Justav Jung che nella sua teoria dei tipi psicologici ipotizzò due possibili atteggiamenti di fondo mediante i quali l’essere umano può rapportarsi col mondo esterno.

Per gli estroversi è nella loro natura ricercare la compagnia delle altre persone, sono portati in modo istintivo a dirigere la loro attenzione su ciò che accade all’esterno; partecipare alla vita mondana è qualcosa che li fa sentire bene e in equilibrio con loro stessi.

Gli introversi, al contrario, sono naturalmente portati a dirigere la propria attenzione soprattutto sul loro mondo interno (sensazioni, emozioni, intuizioni o pensieri). Sta di fatto che tutto ciò che arriva dall’esterno deve avere modo di essere “assimilato” e rielaborato alloro interno.

Gli introversi fondano il proprio equilibrio psicologico su questa area di solitudine che consente loro di mettere una “giusta distanza” fra sé stessi e il mondo. Per questo possono eccellere in lavori solitari, rivelarsi persone dotate di una grande capacità di ascolto e di profonda empatia e avere pochi amici a cui tuttavia sono profondamente legati. Sono quindi solitamente dotati di una ricca vita interiore.

 

Introversione e ansia sociale: sentirsi liberi di essere se stessi

Sebbene non si escluda che possano esistere anche persone fondamentalmente introverse e inibite socialmente è utile distinguere introversione e ansia sociale. Nella nostra società “estroversa” si è troppo spesso portati a ritenere che se una persona preferisce la solitudine debba necessariamente avere un “problema”. In realtà non è così.

L’introversione è una disposizione innata della personalità che può esprimersi in modi molto variegati a seconda delle persone e rivelarsi una dote adattiva e a volte anche creativa.

Chi è fondamentalmente introverso sta bene nella propria solitudine e questo a prescindere che gli altri lo capiscano o lo approvino. L’introverso antepone al giudizio dell’altro la propria dimensione interiore.

Chi vive invece il dramma dell’ansia sociale si trova a evitare contatti sociali a cui nel profondo vorrebbe poter prendere parte se il suo senso di inadeguatezza e la paura fobica del giudizio altrui non glielo impedissero. Egli, a differenza dell’introverso, non vive assecondando la sua vera natura ma anzi è oppresso dal problema contrario: non riesce mai a sentirsi libero di essere sé stesso, di essere autentico e questo gli causa mortificazione e insicurezza.

È proprio per questo che per queste persone può rivelarsi essenziale un percorso di psicoterapia: non perché “debbano” imparare a stare con gli altri così come la società richiede, ma perché “possano” comprendere le loro ansie e costruire la libertà di essere finalmente se stessi.

Foto: sifotography / 123RF Archivio Fotografico

 

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