Non più stranieri ma cittadini: lo ius soli secondo Tezeta Abraham

Chi vive nel Paese in cui non nasce, se non tutelato dalle leggi, è straniero due volte: la necessità dello Ius soli è la battaglia dell'attrice di origine etiope.

Tezeta Abraham

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©Fb Tezeta Abraham

Al motto Black lives matter torna assumendo proporzione globale l'attenzione sui temi del razzismo e delle discriminazioni per il colore della pelle. 

 

L'ondata d'indignazione si è accanita in particolare contro i simboli di una storia coloniale appartenenti a molte delle più sviluppate democrazie occidentali. Ma la misura di una società inclusiva o, al contrario, respingente, si calcola dalla forza o, al contrario, debolezza delle sue leggi. A che punto siamo in Italia, ad esempio, con le riforme per la cittadinanza? Ne abbiamo parlato con Tezeta Abraham, attrice e indossatrice nata in Etiopia, cittadina italiana e aperta sostenitrice dello Ius soli.

 

Tezeta Abraham è nata a Gibuti da genitori etiopi. Vive in Etiopia, fino all'età di tre anni. Gibuti è un paradiso terrestre, in cui Tezeta non ha mai vissuto, mentre l'Etiopia un inferno, retto da una dittatura da cui scappare

 

Lo fa con la madre nel 1990, all'età di cinque anni, quando prende l'aereo per Roma. Diventerà cittadina italiana soltanto dopo 19 anni. Inizia da adolescente a lavorare come indossatrice per i più grandi marchi della moda, l'ostacolo di essere straniera rischia di compromettere la sua carriera. Poi la svolta. Dal 2015, interpreta Francesca nella fiction Rai “È arrivata la felicità”, che nella vita reale arriva con la nascita del suo bambino che oggi ha quattro anni, e non dovrà patire le peripezie burocratiche, perché (lui sì) è cittadino italiano.  

 

Nel 2017 è stata inserita tra le 50 donne del "Corriere della sera" che l'ha definita “il volto dello sgombero dei rifugiati del Corno d'Africa”, per essere diventata una figura di spicco nella lotta per lo Ius Soli. Il futuro professionale e famigliare ha una destinazione precisa, l'Italia.

 

Torna spesso al suo Paese natale? E suo figlio l'ha visto?

Sì, certo, torno spesso. Mia mamma è tornata a vivere ad Addis Abeba. Anche mio figlio c'è stato già due volte. 

 

Lei si sente etiope, italiana, o romana?

Tutte e tre.

 

E si sente anche una cittadina del mondo?

Mi sarebbe piaciuto, ma per il problema dei documenti, non ho avuto questa possibilità. Se io avessi avuto il passaporto italiano, quando facevo l'indossatrice, forse avrei avuto più opportunità di sentirmi una cittadina del mondo. 

 

Il calvario burocratico, che ho sempre dovuto affrontare, mi ha fatto ben capire quali fossero i miei limiti a livello di documenti e, quindi, o mi sentivo etiope o mi sentivo italiana perché io, andando in giro per il mondo, dovevo prendere il visto.  

 

Dal punto di vista psicologico, questo ha penalizzato molto il mio lavoro. Qual è il paradosso? Essendo nata in Africa, io sapevo di essere straniera, avevo coscienza di avere un'altra nazionalità. Tant'è vero che a 15, 16 anni non andavo a ballare in discoteca ma in questura a informarmi su quale fosse la prassi per ottenere la cittadinanza. 

 

Questo ha fortemente penalizzato la mia spensieratezza di essere bambina. Seguivo tutte queste peripezie burocratiche con l'ansia per il lavoro, perché quello dell'indossatrice è un mestiere, per tradizione, breve. Quindi, più tempo occorreva per ottenere i documenti, più io soffrivo perché subivo delle forti limitazioni nel lavoro. 

 

Per i bambini che nascono da genitori stranieri e crescono in Italia sentendosi italiani è ancora peggio: a 18 anni si trovano senza documento perché, nella maggioranza dei casi, il documento non arriva

 

Quindi, scoprono di essere stranieri e di dover fare la trafila burocratica per la cittadinanza. Per loro è un trauma forte perché scoprono così di non essere italiani.
 

Tezeta Abraham

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©Fb Tezeta Abraham

Come farà a non fare subire questo trauma a suo figlio?

Mio figlio ha già la cittadinanza perché l'ho avuto quando ero già in possesso della cittadinanza italiana. Non è una lotta che io faccio per mio figlio. 

 

Poi finalmente il successo, con la fiction in Rai e nel 2017 fa parte delle 50 donne del "Corriere della Sera"

Sono una persona abbastanza popolare, ma non parlerei di successo. Io sono una persona ambiziosa, ma non credo di essere una persona di successo, che in questa società è misurato in termini economici e io sono una poveraccia. 

 

Qualche piccola gratificazione sono riuscita a togliermela, nonostante le difficoltà. Non posso dire lo stesso per altri miei coetanei con storie dolorose alle spalle: le difficoltà hanno tarpato le ali e tolto la possibilità di volare e di avere una riuscita, perché non hanno finito di combattere con i propri traumi

 

Cosa consiglia a questi ragazzi che non godono dello Ius soli?

Di portare tanta forza, coraggio, pazienza – ma neanche troppa, perché ne abbiamo avuta tanta e la nostra pazienza non è stata ricompensata in alcun modo. Quindi, a questi giovani dico: Lottate per i vostri diritti, perché questa è una battaglia molto sentita

 

In realtà non credo sia io a dover dire qualcosa alle generazioni più giovani, dovrebbe essere qualche rappresentante politico. Sono così mortificata però che non riesco a dare un messaggio di speranza in questo momento.

 

Una raccomandazione per suo figlio? Cosa si augura per il suo futuro?

Mi auguro che lui possa essere felice.

 

Cos'è per lei la felicità?

Io mi sento abbastanza serena in questo momento. Ovvero, mi sento a mio agio nell'ambiente in cui vivo

 

Poi ognuno ha le proprie forme di felicità. Io spero che mio figlio possa raggiungere quella che lui considererà la sua forma di felicità. 

 

Progetti per il futuro?

Qualcosa dopo il Covid si sta muovendo anche con le produzioni cinematografiche, tanti provini e speriamo che qualcosa di concreto succederà. In Italia, ovviamente. Perché la mia famiglia è qui.