Signal for Help: il gesto che contrasta la violenza domestica

Signal for Help è il gesto d'aiuto diffuso dal Canada contro la violenza domestica sempre maggiore in convivenza forzata. Giuditta Pasotto lo ha reso virale in Italia.

Signal For Help gesto per chiedere aiuto contro la violenza domestica

Le restrizioni decise dai vari paesi per contenere la pandemia da Covid-19 hanno avuto delle gravi conseguenze sulla violenza domestica. Si sono intensificati notevolmente gli abusi fisici o psicologici subiti dalle donne.

 

L’associazione Canadian Women’s Foundation ha lanciato come arma di difesa contro la violenza nell’aprile 2020 il Signal for Help: si piega il pollice della mano, come a segnare un 4 con le quattro dita in alto e poi chiuse sul pollice in un pugno. Nell'impossibilità di poter uscire di casa con un pretesto per avere soccorso, questo gesto di richiesta d'aiuto sta diventando popolare in tutto il mondo. In Italia, ha contribuito a renderlo virale Giuditta Pasotto, madre di tre figli, responsabile della comunicazione dell'associazione Gengle, genitori single insieme. 

 

Immaginava che il video sarebbe diventato così virale anche grazie al Suo appello?

No, perché il video era già stato pubblicato a luglio e aveva ricevuto centinaia di condivisioni, però era finita lì. Poi hanno iniziato ad arrivarmi messaggi di persone che mi mandavano il mio video fino a quanfo una mattina mi sveglio e vedo notifiche sui miei social: non ho realizzato non è iniziato a squillare il telefono, con chiamate di giornalisti, continuavano gli “Inoltra” e la diffusione di questo messaggio è avvenuta anche tramite canali importanti e quindi abbiamo capito che sì, l'Hand for help è diventato virale.

 

Sono molto felice perché tengo tantissimo a questa possibilità. Secondo me, da mamma e da donna, sapere che posso ricorre a un segnale d'aiuto è molto importante a prescindere anche che si parli di violenza domestica.

 

Secondo me è una tematica molto seria e importante da affrontare. Un segnale di ricerca d'aiuto può essere d'aiuto per tutto: in caso di bullismo a scuola, una situazione emergenziale per strada. Anche la prima volta che abbiamo lanciato questo gesto in Italia ci tenevamo molto, ma credo che questa volta abbia influito molto la cronaca degli stessi giorni, in particolare il caso della ragazza a Londra uccisa dal poliziotto a marzo 2021. 

 

Come ha saputo di questo gesto ideato in Canada?

Io sono la Seo di Gengle e sono una progettista sociale, quindi mi occupo di sviluppare attività per superare situazioni di vulnerabilità e di esclusione sociale nel contesto familiare mi occupo di ricerca e assistenza sociale, quindi studio usi, costumi e le buone pratiche che vengono fatti anche negli altri Paesi, dopodiché cerco di riproiettarli per l'Italia, se hanno bisogno di un adattamento. 

 

In questo caso, il gesto era stato girato in aprile 2020, io sono entrata in contatto con quest'associazione canadese a maggio e poi a luglio abbiamo divulgato il nostro video per la prima volta.  

 

Questa diffusione significa che tutti ci sentiamo coinvolti dal tema violenza? Esiste ancora l'empatia?

Ci sono due problemi nelle campagne contro la violenza. Il primo è che generalmente all'immagine di violenza è associata l'immagine della donna con l'occhio nero ed è un messaggio troppo lontano da chi lo guarda che pensa che non può accadere proprio a lui. 

 

L'altro è che di violenza si parla quasi sempre esclusivamente legandola a fatti di cronaca. Anche questo atteggiamento rischia di fartela vedere come un problema da te distante e, quindi, non ti prepari neanche a un eventuale attacco, anche perché la violenza in genere è un imprevisto: coglie persone del tutto impreparate. Insomma, nelle campagne anti-violenza non vengono mai coinvolte le persone e se non le rendi parte della soluzione, è difficile che uno si appassioni. 

 

Bisogna comunicare che quel gesto può essere utile a tutti perché se vedi qualcuno che lo fa, tu puoi essere quella persona che aiuta un'altra in un momento di pericolo e difficoltà. Io entro a far parte di qualcosa di significativo: potrei salvare una persona, e questa è secondo me la chiave vincente di questo segnale: aver coinvolto in maniera attiva le persone e, infatti, il video è girato anche tra ragazzi.

 

Uno dei problemi più grandi della violenza, è che crediamo non ci riguardi in prima persona, ma resti distante. Può essere anche il motivo per cui spesso non riconosciamo, o lo facciamo troppo tardi, un potenziale violento.

 

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Violenza verbale e violenza fisica sono pericolose allo stesso modo?

Assolutamente sì, anche perché la più difficile da riconoscere è la violenza psicologica. Nel senso che quella fisica ti può lasciare i lividi, vai al pronto soccorso e qualcuno prende la segnalazione. La violenza  verbale, oltre ad essere poco riconoscibile, è sempre accompagnata dalla scusa di un modo di fare connaturale; e così molte vittime di violenza verbale, non ricevendo visibili i lividi, quasi non se ne rendessero conto loro per prime.

 

La violenza fisica è facile da riconoscere, anche se molte vittime mi hanno detto di averci impiegato molto prima di ammettere che c'era un problema, figurarsi gli altri tipi di violenza. Il  Signal for Help ha di positivo che, a differenza di altri, è un gesto di coraggio che richiede pochi secondi per essere fatto e, una volta che lo hai fatto a qualcuno, non sei più solo. Chi vede il gesto, poi, deve rivolgersi alle autorità, affinché mettano in atto i protocolli già definiti.

 

Perché è difficile riconoscere di essere vittime della violenza?

Perché spesso capita che il carnefice sia anche un manipolatore emotivo e ti dia giustificazioni apparentemente credibili. Poi, secondo la mia esperienza, tante donne non si separano perché non lo permettono le condizioni economiche, oppure sociali, perché abitano in piccoli paesi dove avrebbero difficoltà ad affrontare socialmente la situazione, con la quale alla fine preferisci convivere; quella situazione, dopo tanti anni, diventa la normalità. 

 

Visto da fuori, uno pensa che se uno ti picchia lo denunci subito, trascurando le tante dinamiche che possono emergere, come il ricatto del portarti via i figli. E ti abitui a subire perché la paura dell'ignoto fa sempre più paura della certezza. Sono tante le motivazioni per cui la vittima accetta di essere vittima.

 

L'inasprimento della legge con il Codice rosso non ha funzionato come strumento di dissuasione in tempi di pandemia. Cos'altro si dovrebbe o potrebbe fare a livello istituzionale?

Io sono un po' incattivita con lo Stato perché in Italia siamo bravi a intervenire con le "uova rotte". Purtroppo, in Italia non si lavora quasi mai di prevenzione, intesa non come comunicazione. Faccio un esempio: noi abbiamo attivato una linea di ascolto telefonico per i genitori con 30 volontari che coprono diverse fasce orarie e una socio-relazionale per gli adolescenti su whatsApp, quindi c'è una persona fisica che risponde al singolo messaggio. Durante il lockdown non so quanti genitori ci hanno chiamato perché volevano riempire di botte i figli. Quando chiudevano la chiamata ringraziavano per essersi ricaricati e tranquillizzati, capendo che era meglio ignorare per un po' i figli.

 

Non si può lavorare sul latte versato. Quando a noi arrivano telefonate di casi gravi, le passiamo ai professionisti. In questa emergenza pandemica si sono spesi tanto sulla questione sanitaria, mentre le famiglie andavano a rotoli, avrebbero dovuto investire un po' sull'installazione di un numero di ascolto per la prevenzione emotiva della violenza. Invece, non li ha sfiorati neanche un pensiero. 

 

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Quali consigli per affrontare meglio questi tempi di convivenza coatta?

Proprio questo, una linea di ascolto non avrebbe neanche costi impensabili. Io chiederei un numero di telefono per il supporto alla scuola. Mio figlio, che è in terza media, non è andato a scuola per almeno due mesi. Se l'è goduta, però un genitore chiama, denuncia la mancanza e chiede consigli sul da farsi. Dall'altro lato, anche i professori sono stati lasciati a se stessi con le loro competenze, quindi molti professori ultrasessantenni non erano in grado di gestire la didattica a distanza. Potevano preparare delle schede tecniche informative per risolvere piccoli problemi che potrebbero presentarsi online. 

 

Su Tik tok si possono trovare video fatti da ragazzi per i ragazzi molto educativi, ma i ragazzi si devono fare lezione da soli su questi argomenti? Dovrebbero integrarla come materia a scuola. Tra l'altro io collaboro con un istituto messicano per gli adolescenti, dove hanno fatto un'indagine molto interessante. Una domanda che mi ha colpito chiedeva se l'abbigliamento influisse o meno sulle violenze alle donne; le ragazze hanno risposto al 70% di sì, i ragazzi invece hanno risposto al 70% di no. Quindi, se quest'opinione è addirittura nella testa dei ragazzi, allora c'è già un certo grado di consapevolezza nei ragazzi. Anche nel caso di Londra, i giornali si chiedevano dove stesse andando la ragazza di notte, ma saranno fatti suoi? Stiamo dicendo che Londra di notte non è sicura. E lo chiedono soprattutto donne e allora come fa una ragazza a capire che l'abbigliamento non influisca?

 

Gli associati a Gengle si sono rivolti a voi per casi di violenza subita?

No perché non è un servizio che generalmente eroghiamo. Noi gestiamo o i casi di inerzia, quindi persone che hanno denunciato più volte e non è successo nulla, e poi donne e padri che hanno subito violenze psicologiche/ economiche del tipo "Se non mi dai i soldi, non ti faccio vedere il bambino", ricatti economici degenerati. 

 

Invece le donne soffrono più casi di convivenze forzate, o impossibilità di lasciare il tetto coniugale. Ma non trattiamo casi di violenza in corso. E poi casi a livello psicologico.  

 

Di.Re (Donne in Rete) ha lamentato che Il video presuppone che al segnale non parta un protocollo di intervento. Cosa ha risposto? 

Mi hanno anche telefonato e ho risposto che sono rimasta basita perché io nel video dico di rivolgersi ai numeri a disposizione delle vittime di violenza, e persino in fondo al primo video scorrono tutti i numeri utili da contattare. E ho proposto loro di dire qualcosa a chiusura del video, qualora volessero.  

 

Il protocollo consiste nel contattare i numeri utili da chiamare in caso di emergenza 112 e 1522, alla vista del gesto. L'importante per me è lavorare tutti per l'obiettivo comune.