La famiglia tra ruoli sociali e significati personali

In "La famiglia degli altri", l'autrice Elena Rui riflette sulla dicotomia fra la definizione socialmente condivisa della famiglia e quella personale, spesso sottaciuta. Lo scarto fra l’una e l’altra, secondo la scrittrice italo-francese, varia da persona a persona ed è direttamente proporzionale alla frustrazione che provoca.

La famiglia degli altri, identità frammentata

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Di quale famiglia pensiamo di parlare quando ci riferiamo all'insieme dei nostri affetti più stretti, conviventi e non, che riempono le nostre vite e ci affannano nel mantenimento talvolta insicuro dei ruoli che ricopriamo in ciascuna delle nostre relazioni familiari?  

 

Elena Rui ben racconta di una famiglia che nella sua accezione tradizionale (singolare femminile) non esiste più. Intorno alle reti sociali e di sangue di Marta, la complessa protagonista che è al contempo madre, moglie, amante, figlia e nipote, italiana in Francia e ormai straniera là dove è cresciuta. Alla costante ricerca di un equilibrio coerente tra i propri valori in un mondo più complesso delle definizioni univoche, la giovane donna si riscopre più viva che mai in una famiglia imperfetta, allo stesso tempo così ambigua e così autentica. 

 

"La famiglia degli altri" (Garzanti, 2021) è un romanzo che racconta di una storia che è la storia di ciascuno: il si autodetermina (anche) nelle relazioni che cambiano in una continua tensione tra sé reale e sé ideale. Ne parliamo con la scrittrice. 

 

Quali sono i contorni del concetto di famiglia nella Sua accezione? Esiste una definizione culturalmente e socialmente condivisa e una perfettamente personale. È così?

Il mio romanzo intende mettere in luce la difficoltà di definire in modo netto i contorni del concetto di famiglia. Intellettualmente, l’esercizio sembra semplice, ma quando si guardano da vicino le declinazioni in cui le famiglie si concretizzano, ci si accorge che sono cariche di contraddizioni, proprio come gli esseri umani che le determinano. 

 

Queste contraddizioni sono date spesso dalla dicotomia fra la definizione socialmente condivisa della famiglia e quella personale, spesso sottaciuta. Lo scarto fra l’una e l’altra varia a seconda della persona ed è direttamente proporzionale alla frustrazione che provoca

 

In quante relazioni familiari, affettive, sociali è coinvolta Marta? E in che modo questo può equivalere per ciascuna donna? Le relazioni presuppongono l'interpretazione di ruoli sempre?

Marta è mamma, compagna, amante, figlia di suo padre, e, in modo molto diverso, figlia di sua madre. È anche la nipote di Ada, mater familias idealizzata e per questo ineguagliabile. È poi una donna italiana che deve rendere conto del suo modo di essere donna e madre alle donne francesi,
una donna ormai francese che deve rendere conto del suo modo di essere donna e madre alle donne italiane. 

 

Questa è la sua situazione particolare, dovuta alla sua biografia, ma ogni donna anzi, ogni essere umano, si ritrova a essere implicato in una molteplicità di relazioni sociali e affettive che non riescono mai a rendere conto completamente della sua peculiarità e che non sono mai del tutto sovrapponibili.

 

Sì, le relazioni presuppongono sempre l'interpretazione di ruoli, perché lo sguardo degli altri ci cristallizza in un’immagine semplificata di noi stessi. È in questo senso che l’inferno sono gli altri, come diceva Sartre. Tutto ciò che possiamo fare è non metterci a interpretare con eccessiva convinzione, in modo affettato e innaturale, questi ruoli. 

 

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Elena Rui

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©Elena Rui, autrice del romanzo "La famiglia degli altri"

La famiglia degli altri

A chi/cosa dobbiamo di diventare persone migliori? Cambiamo nelle relazioni che accettiamo?

Il concetto di “persone migliori” mi mette in difficoltà, perché mi sembra fortemente connotato da un punto di vista morale e quindi più vicino alle attese sociali che allo sviluppo della persona. Essere contenti di sé, di quello che siamo, delle persone di cui ci circondiamo mi sembra un obiettivo più realistico. 

 

Per cercare di raggiungerlo, dobbiamo coincidere il più possibile con noi stessi, trovando il giusto equilibrio fra frustrazione ed egoismo. Sì, cambiamo nelle relazioni che accettiamo, e quindi meno ci snaturiamo nell’accettarle, più è possibile che durino nel tempo.

 

"Un abito esistenziale che non le dona più": come avviene che a un certo punto le nostre certezze ci stanno strette? 

Avviene perché spesso facciamo fatica ad accettare che le nostre certezze evolvano nel tempo e che, appunto, un certo abito esistenziale non ci doni più. Succede un po’ a tutti, uomini e donne. Ci sembra di dover essere sempre coerenti con le nostre scelte pregresse, quando spesso la coerenza sta proprio nel fatto di rimetterle in discussione.

 

La sfera professionale della protagonista determina molto del suo vivere. Questa influenza vale anche se non si lavora maneggiando direttamente con concetti così esistenziali?

Credo che Marta faccia fatica a definirsi rispetto a un lavoro e, siccome non è ancora del tutto consapevole di essere una scrittrice (che non è necessariamente un lavoro), è spinta a cercare altre definizioni, più esistenziali, di se stessa. 

 

Le domande che si pone sono universali, alla portata di tutti, ma è vero che l’ambiente sociale a cui appartiene, il suo livello d’istruzione, l’abitudine a maneggiare concetti o a frequentare persone che lo fanno (come suo marito) influenza la forma che assumono queste domande. È infatti attraverso i libri e nel confronto con il pensiero di filosofi e scrittori che Marta cerca di capire chi è e che cosa vuole dalla vita.