"Ragazzi, la politica è emozionante": intervista a Lia Quartapelle

In "La politica raccontata ai ragazzi" (De Agostini editore) Lia Quartapelle e Giuliano Pisapia raccontano ai più piccoli l'importanza di dedicarsi sin dalla tenera età al bene comune.

Lia Quartapelle

Fare politica è tante cose: è chiedersi perché nel proprio quartiere manchi un'area per il tempo libero dei ragazzi; è esprimere senza paura la propria opinione e - perché no - trovare il tempo e la voglia di radunarsi con chi condivide le tue stesse esigenze e realizzare insieme qualcosa di grande, qualcosa che migliori la vita di tutti. A guardarla così, non è mai troppo presto per occuparsi di politica

 

Lia Quartapelle e Giuliano Pisapia sono due cosiddetti "politici" perché hanno fatto dell'impegno per il bene comune la propria esperienza e vocazione. Ma cosa fa la politica? Perché riguarda tutti, ancora prima di essere eletti a qualche carica? Pisapia e Quartapelle lo raccontano in un libro per le giovani generazioni edito da De Agostini, "La politica raccontata ai ragazzi. Perché può essere bella, perché puoi farla anche tu". 

Giuliano Pisapia è un avvocato e negli anni ha ricoperto le cariche di sindaco di Milano, di deputato nel parlamento italiano e oggi è europarlamentare. 

Lia Quartapelle è ricercatrice all'Istituto per gli Studi di politca internazionale ed è attualmente deputata della Repubblica. Abbiamo chiesto a lei di raccontarci come nasce questo libro.

 

Perché è necessario raccontare la politica ai ragazzi?

Non bisogna aspettare di compiere i 18 anni per interessarsi di politica
Tante azioni del nostro quotidiano sono politiche, perché sono legate a come gli esseri umani decidono di vivere insieme.

 

La politica raccontata ai ragazzi

La politica può far crescere i ragazzi?

La politica non è una cosa esterna che li può educare. C'è una politica che riguarda i ragazzi, una gli adulti, un'altra i bambini. L'aspetto positivo dell'incontro tra i ragazzi e la politica ha a che fare con la responsabilità, cioè che l'azione di ciascuno ha riflesso anche sugli altri. 

 

Poi c'è il tema dell'impegno; cioè di rendersi conto che non esiste soltanto il tuo, ma che c'è un sistema, un'organizzazione per cui puoi impegnarti e rendere le cose migliori di come sono.

 

Si cresce frequentando e/o capendo la politica? 

Entrambe le cose. Io penso che la politica non debba essere capita, ma debba essere vissuta. Però ci sono delle regole per la partecipazione politica che vanno conosciute

 

Anche soltanto la differenza tra la politica che c'è in Italia e quella di un paese autoritario, come, per esempio la Cina o La Russia, sono meccanismi che vanno capiti, altrimenti non ti rendi conto bene di quello che stai facendo. Poi devi vivere la partecipazione

 

La politica può emozionare?

La politica può emozionare tutti. È molto bello quando i ragazzi si rendono conto che le loro azioni possono cambiare il mondo in cui vivono e proprio così possono provare una grande emozione. È molto bello identificarsi in una causa grande e giusta. 

 

Ma non riguarda soltanto i giovani: io ricordo persone di più di 90 anni che vengono a votare alle primarie di partito perché ci tengono. Persone di cent'anni che vanno alle urne, ricordandosi che in passato non potevano farlo.  

 

Lei scrive che “I problemi e i desideri delle persone dovrebbero essere il primo pensiero di chi fa politica”. In base alla sua esperienza cosa desiderano le persone?

Dipende dai momenti. In questo momento che è molto strano, in cui c'è grande preoccupazione per il Covid, penso che ci sia desiderio di normalità, di serenità e di poter vivere la vita quotidiana in sicurezza. In altri momenti, possono esserci desideri più grandi e più irrealizzabili. 

 

Per esempio, i ragazzi scesi in piazza con Greta Thunberg desiderano un mondo meno inquinato e meno a rischio; tanti desiderano poter lavorare senza preoccupazioni per la famiglia. Chi fa politica deve tenerli in considerazione entrambi: non basta risolvere soltanto i problemi sotto casa, ma occorre anche pensare a come rendere il mondo più giusto e più equo. 

 

“I social sono un modo per fare associazione”: parliamo di comunicazione o anche di azione?

Non è detto che una iperpresenza comunicativa di chi fa politica voglia dire un linguaggio più semplice o più mediatico. C'è un abuso degli strumenti social, in alcuni casi anche per narcisismo, la cui comunicazione è vuota. Invece, amo molto quelle forme di partecipazione che usano i social per cambiare le cose. 

 

Nel libro riportiamo alcuni esempi: c'è un'attivista italiana, Diletta Bellotti, che con le sue stories su Instagram e il suo impegno ha coinvolto e fatto conoscere a moltissimi ragazzi il tema del caporalato. Oppure penso a quello che è successo con le primavere arabe che hanno fatto scendere la gente in piazza per far crollare dei regimi decennali. Quest'uso appassionato, finalizzato e intelligente dei social mi piace molto.  

 

Cos'è cambiato rispetto alla politica di ieri?

Non faccio politica da così tanti anni, però Giuliano dice sempre che i ragazzi di oggi sono molto più maturi di quando lui era ragazzo, anche politicamente e socialmente. 

 

Rispetto a quando ho iniziato a fare io politica vent'anni fa, mi sembra sia cambiato molto il contesto: vent'anni fa noi pensavamo che i problemi fossero di altri, riguardavano paesi in via di sviluppo, tutti problemi lontani da noi. Oggi abbiamo la crisi climatica che ci riguarda direttamente, il tema della povertà si trova anche nelle periferie delle grandi città, che noi abitiamo e frequentiamo. 

 

È cambiata la prospettiva dei problemi. E c'è molta più sfiducia nella politica, per questo è stato importante scrivere il libro: perché noi raccontiamo alle giovani generazioni che la politica può cambiare le cose.

 

Come si è generata questa sfiducia?

Perché noi viviamo in una società molto più immediata, in cui schiacci un pulsante e uno viene eliminato dalla casa del Grande fratello. E non si capisce come, invece, tu vai a votare, ci impiegano due giorni a darti i risultati e dopo una settimana non è cambiato ancora nulla.

 

In questi giorni sto seguendo la vicenda dei tamponi per i bambini che vanno a scuola. Il problema è chiaro e occorre un sistema che garantisca immediato riscontro alle famiglie e sicurezza per tutti, ma le soluzioni non ci sono in alcuni casi e c'è sfiducia nei cittadini, perché non si capisce come mai alla denuncia non segue immediatamente un cambiamento.

 

Da un certo punto di vista, di fronte a siuazioni così complesse non si può rispondere con soluzioni affrettate purché tempestive. Ma d'altra parte è anche vero che la politica si è scollata dall'ascolto e dai cittadini. Questo mix genera molta sfiducia. 

 

Sia lei che Pisapia individuate nella comunità e nei gruppi il cuore stesso della politica. Questa visione come si scontra con l'individualismo sempre più caratterizzante la società attuale?

Una delle nostre sfide è proprio questa: restituire un senso di comunità. Se hai un problema, te ne puoi lamentare oppure puoi mobilitarti e cercare di risolvere ciò che non va.  Da soli però si arriva fino a un certo punto, per questo è importantissimo dare una dimensione comunitaria alla politica. 

 

Tu da solo cerchi di risolvere il tuo problema, mentre la politica pensa a livello collettivo. La buona politica non può esaurirsi con l'esperienza individuale. 

 

Lei a quale causa ha deciso di dedicarsi per il bene comune?

In  questo momento mi sto spendendo tantissimo per la fatica della donne, che in Italia è una fatica micidiale. In Italia, le donne fanno molta più fatica a fare qualsiasi cosa e, nonostante si impegnino. Per esempio, nei risultati scolastici, non vedono poi riscontro reale, pratico nella loro vita da adulte. 

 

Nei risultati scolastici, le ragazze studiano di più hanno dei risultati migliori, eppure le prime offerte di lavoro che ricevono sono di una qualità inferiore rispetto ai coetanei maschi. A questa causa mi sto dedicando tanto ora, perché la ritengo una grandissima ingiustizia per le donne e uno spreco per l'Italia. Non puoi far fare più fatica a metà della popolazione a raggiungere gli stessi obiettivi e gli stessi riconoscimenti ed è sbagliato dal punto di vista collettivo.  

 

Nel libro parliamo spesso di questa sperequazione nell'ambito politico e voglio citare l'impegno di Giuliano Pisapia, nel suo ruolo di amministratore locale: come sindaco ha fatto in modo che la presenza di uomini e donne nella Giunta comunale a Milano fosse ugualmente composta: ammiro il suo aver saputo ascoltare le colleghe e le assessore, sapendo anche migliorare la vita delle donne a Milano.