Pedagogista, chi è e quando interviene

Bisogni educativi speciali, dinamiche comportamentali disfunzionali, disturbi dello sviluppo, esigenze e fatiche genitoriali e richieste degli insegnati. Questo e tanto altro è compreso nel raggio di azione del pedagogista, figura dinamica e complessa, ma molto importante per ridurre le situazioni problematiche e migliorare la qualità della vita.

Pedagogista, chi è e quando interviene

Difficoltà e le carenze educative vengono sempre più allo scoperto. Gli effetti sono tangibili nel sorgere e aumentare dei bisogni educativi speciali e delle richieste di intervento da parte di professionisti.

Sempre più si è in grado di osservare disagi nel comportamento, difficoltà emotive e relazionali, disturbi nell’apprendimento e nell’attenzione, autismo, difficoltà organizzative e di gestione degli innumerevoli impegni che fin da piccoli riempiono le giornate.

Di fronte a una complessità che cambia rapidamente, i genitori non sempre hanno gli strumenti per rispondere e il rischio è che l’azione diventi disfunzionale e intacchi la qualità della vita del singolo e dell’intera famiglia.

Anche a scuola le difficoltà aumentano: le certificazioni diagnostiche aumentano e con esse la necessità di adattare la didattica al singolo senza dimenticare il gruppo classe.

A tutto questo può rispondere il pedagogista, una figura professionale dinamica e flessibile in grado di offrire formazione, sostegno e progetti di intervento adeguati alle singole necessità con la finalità di migliorare la qualità della vita di chi gravita nei diversi contesti. Per far luce su questa figura così complessa abbiamo intervistato Elisa Bracale, Pedagogista al Centro Elpis di Ispra (Va).

 

Chi è il pedagogista e qual è la sua formazione?

Il pedagogista è un professionista che ha una laurea triennale in scienze dell’educazione e una laurea specialistica in scienze pedagogiche, diversa in base all’ambito di intervento in cui uno si vuole specializzare. Nel mio caso è la consulenza pedagogica per la disabilità e il disagio.

Il vecchio ordinamento prevedeva i cinque anni di pedagogia, oggi è in vigore la formula tre più due. Il pedagogista è docente, formatore e ha competenze in ambito educativo che spende in diversi contesti e con diversi tipi di utenti.

 

Di cosa ti occupi nello specifico?

Le aree di intervento sono differenti. All’inizio la difficoltà sta proprio nella scelta dell’ambito di specializzazione per cui io ho cercato di costruirmi un metodo di lavoro.

L’area di maggiore attività è quella con i minori. Si attuano interventi individuali o di gruppo in caso di difficoltà scolastiche o famigliari, disabilità, autismo, disturbi comportamentali e dell’apprendimento, disagi emotivi e in generale bisogni educativi speciali nelle diverse forme.

L’azione diretta ai genitori prevede ad esempio supporto alla genitorialità, parent training, aiuto nella gestione dei figli e delle eventuali problematiche comportamentali a casa e a scuola.

In ambito scolastico si agisce con interventi mirati in caso di difficoltà, aiutando le insegnanti a trovare le strategie di azione migliori o le soluzioni a situazioni che possono generare disturbo o lo hanno già generato, con lo scopo di migliorare la qualità della vita dell’intero gruppo classe.

Un altro ambito di intervento molto interessante è la formazione. Formare da un punto di vita educativo le insegnanti o essere spunto di riflessione per un genitore è fondamentale soprattutto oggi perché assistiamo ad un incremento esponenziale dei Bisogni Educativi Speciali (BES) alla base dei quali potrebbe esserci una carenza da un punto di vista educativo.

Nello specifico, con gli insegnanti il lavoro di formazione verte sul ruolo della didattica nella crescita e sviluppo del bambino, poiché deve essere stimolante, tenere conto di tantissime variabili, considerare l’ambiente e i propri comportamenti e la funzione dell’adulto anche in ottica autocritica.

Tra queste aree di intervento, dove ho consolidato maggiore esperienza, è l’autismo. Questo è un campo che mi appassiona e su cui ho studiato tanto, creando con il tempo un mio metodo di intervento derivato dalla fusione delle conoscenze apprese e dell’esperienza. Con il bambino riesco ad entrare in relazione e intervenire. Probabilmente l’avere bene chiari gli aspetti che fanno sorgere la stereotipia, la chiusura e gli altri elementi caratteristici, mi permette di ampliare il raggio di azione e contrastare il meccanismo, stando con il bambino che riesce a stare con me e recepire i miei stimoli. 

La presenza in studio di un‘equipe per l’autismo che vede la partecipazione di neuropsichiatra, psicomotricista, logopedista, psicoterapeuta e neuropsicomotricista mi permette di spendere le mie competenze e coordinare gli interventi integrando le figure e accogliendo la famiglia e il bambino prima, durante e dopo il processo di valutazione diagnostica.

 

A chi sono rivolti gli interventi?

A livello generale: bambini, adulti e insegnanti. Rispetto all’età, la fascia di intervento non ha un limite, può accogliere bisogni di bambini molto piccoli fino all’età adulta e anziana.

A livello educativo l’intervento va dagli 0 ai 18 anni, dopo la maggiore età la finalità si modifica andando ad agire maggiormente sulla genitorialità con supporto e sostegno alle figure che gravitano attorno ai minori.

 

In quali contesti si interviene?

La professionalità del pedagogista può essere spesa a scuola, nei contesti casalinghi, nelle comunità, nei centri educativi di diverso tipo e in uno studio professionale.

La scuola è uno dei contesti di intervento maggiore. In essa possono essere fatti progetti pensati appositamente per situazioni particolari, con lavoro sul grande gruppo e sui pari e sull’ambiente invece che sul singolo. In casi eccezionali e di seria preoccupazione si può eseguire un’osservazione del comportamento del singolo nel contesto famigliare, dove si analizza anche l’ambiente e si offre un supporto ai genitori più specifico. Sempre nei contesti educativi, ma non solo, si possono inserire percorsi di formazione ad insegnanti e genitori.

Nei contesti famigliari si attuano interventi sul minore in relazione alla problematica rilevata e si lavora per migliorare la qualità della vita famigliare con il coinvolgimento dei genitori e supporto al loro agire.  

Nello specifico accolgo la domanda e il bisogno della famiglia, cercando di raccogliere informazioni sul modo di agire del figlio a casa e negli altri contesti, ascoltando le loro difficoltà e dando già alcune risposte in relazione a quanto raccolto e all’età del minore. Aiuto a definire meglio la situazione e il livello di gravità o normalità indirizzando i genitori verso la linea di intervento più adeguata per il figlio e se necessario per loro stessi, avvalendomi anche degli altri collaboratori.

In studio è possibile offrire uno spazio di lavoro individuale al ragazzo ma anche aiuto e confronto alla famiglia.
Inoltre può essere coordinatore di interventi educativi, equipe educative, comunità e strutture educative (asili nidi, scuole dell’infanzia, ecc).

 

Come si struttura in generale un intervento pedagogico?

Vorrei premettere l'importanza del ruolo dell’ambiente: prima dell’inserimento di esso come variabile nell’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) nel 2001, non era neppure preso in considerazione però è sicuramente una variabile che incide fortemente sul funzionamento di un bambino.

Può essere motivante o generatore di disturbi. Pertanto come primo passo dell’intervento è necessario fare un’analisi delle condizioni ambientali. Nello specifico si indaga sul contesto di vita del minore con supporto dei genitori a cui si richiedono informazioni generali, quali sono le buone abitudini a casa e a scuola. Lo stesso viene fatto nel caso in cui l’intervento avvenga all’interno dell’istituto scolastico.

In seconda battuta si osservano i comportamenti e, in caso di elementi disfunzionali, si fa un’analisi comportamentale accurata rilevando gli antecedenti e le conseguenze. Da qui si cerca di lavorare sugli antecedenti per ridurre il comportamento problema e per migliorare la qualità della vita del bambino sia a scuola che a casa.

In questo è richiesto un grosso lavoro da parte di genitori o insegnanti perché anche loro devono osservare il proprio agire e capire se può influenzare o meno il comportamento messo in atto dal bambino.

Il terzo step è quello della creazione di una buona relazione. Essa è fondamentale per generare un clima di fiducia in cui la famiglia e il bambino possono aprirsi, accogliere maggiormente le disponibilità e opportunità di un intervento che viene tarato in relazione alle esigenze.

 

Di quali strumenti si serve il pedagogista?

Gli strumenti dipendono dal tipo di intervento e dalla progettualità. Si possono usare test, questionari, inventari comportamentali, attività più o meno strutturate e altri scelti di volta in volta. Lo strumento che sicuramente caratterizza la nostra professione ed è fondamentale è l’osservazione. Essa deve essere oggettiva e analizzare comportamento, antecedenti e conseguenze, l’ambiente e le differenze nei diversi contesti.

 

Quali sono i campanelli di allarme che possono indurre genitori, insegnanti o altre figure professionali a richiedere l’intervento del pedagogista?

Sicuramente se ci sono difficoltà a scuola, ad esempio a livello degli apprendimenti, soprattutto nella fascia dalla primaria in su.

Nel caso specifico degli apprendimenti si può eseguire un percorso di potenziamento prima di procedere con la valutazione diagnostica per comprendere se le lacune derivino da carenze di metodo, strategie e organizzazione.

Per i più piccolini se si rilevano segnali legati all’autismo o allo sviluppo che richiedono una raccolta di informazioni accurata per definire la problematica (ad esempio difficoltà nelle relazioni, nel contatto visivo, nel linguaggio, nella gestione delle emozioni…).

Altri segnali sono le problematiche educative e comportamentali, ad esempio a scuola, dove si può richiedere la supervisione di un pedagogista che, in quanto esperto della didattica educativa, dona supporto immediato alle insegnanti. In equipe, inoltre, può avvalersi anche di altre figure professionali e quindi progettare un intervento più articolato e integrato.

Infine tutte quelle difficoltà e fatiche vissute dai genitori ai quali è possibile offrire strategie educative maggiormente funzionali ed adeguate, nonchè una visione più chiara della problematica.

 

Qual è la differenza tra pedagogista ed educatore?

Sicuramente le competenze, la formazione culturale ed etica che ti offre una specializzazione in pedagogia, una triennale non la garantisce. Dipende ovviamente da come uno si forma e non vuol dire che il pedagogista sia migliore dell’educatore, ma sicuramente è più competente per la formazione effettuata.

Ad esempio un educatore non è detto che riconosca e sappia valutare una situazione di bisogno considerando più fattori e la loro variabilità, invece una competenza più ampia permette di allargare gli orizzonti e avere una visione più completa e articolata. Gli educatori hanno un ruolo importante e ammirevole per il lavoro eseguito sul campo, però hanno spesso bisogno di una guida che può essere un pedagogista che coordina l’equipe educativa e le azioni dei singoli rispettando ruoli, professionalità ed obiettivi, media i conflitti e tiene il gruppo educativo unito. Cambiano quindi le competenze e l’ambito formativo.

 

Nella tua esperienza al Centro Elpis, quali sono le aree in cui sei maggiormente attiva e in cui puoi mettere in campo le tue competenze?

Innanzitutto credo di essere la figura più dinamica nello studio che può operare in più ambiti di intervento. Affianco e mi integro con altre figure professionali tra cui la neuropsichiatra infantile, la neuropsicomotricista ma anche la psicoterapeuta così da fondere le professionalità e fornire degli interventi molto “belli”, mirati e adeguati.

Un intervento che ci caratterizza è il lavoro in sincronia con la terapista della neuropsicomotricità sia in studio con progetti di gruppo o sul singolo, sia nelle scuole. Gli interventi sono di carattere preventivo ovvero si va a prevenire il disagio grazie allo sviluppo di abilità di base (emotive, motorie, linguistiche, relazionali e cognitive) attraverso il gioco e la sperimentazione.

Inoltre l’attività preventiva ed educativa può essere di supporto al lavoro logopedico perché stimola la comunicazione, l’eloquio e può sbloccare situazioni di disagio che possono rendere complesso il lavoro dei colleghi.

Un altro ambito di lavoro è il sostegno allo studio e agli apprendimenti, sia con ragazzi e bambini con disturbo diagnosticato degli apprendimenti o dell’attenzione, con altri che hanno una plusdotazione cognitiva o con chi ha semplicemente bisogno di acquisire un metodo di studio e delle strategie. Infine mi occupo di formazione alle insegnanti.

 

Qual è il valore aggiunto del lavorare in equipe e qual è il tuo specifico contributo nel gruppo degli operatori?

Innanzi tutti direi che il pedagogista può agire anche in modo indipendente. Io, forse anche per indole, non potrei mai lavorare da sola e ritengo l’equipe fondamentale e un valore aggiunto al mio lavoro ma non solo. Essere nel gruppo mi ha permesso di scoprire aspetti della mia professione e la possibilità di essere flessibile, dinamica, nonchè di stimolo per tutta l’equipe.

Con la mia esperienza professionale e le conoscenze mi integro con quasi tutte le figure nello studio e quando lavoro mi piace pensare che non sono sola ma posso avere le porte aperte per un confronto con tutte le altre figure professionali, chiedere aiuto e avere rimandi sul mio operato da chi ha magari maggiore esperienza e sa indicarmi la strada migliore.

Il lavoro di rete - quando si lavora con le esigenze delle persone e in particolare con i bisogni educativi speciali - credo sia fondamentale ma deve esserci un confronto aperto, nel rispetto della professionalità dell’altro al fine di integrarsi e non prevaricare.

 

Elisa Bracale, Pedagogista presso il Centro Elpis di Ispra (VA). Nella sua formazione ha scelto di specializzarsi nella sfera della Consulenza Pedagogica per la Disabilità e il Disagio. È esperta in progettazione educativa e inclusiva al fine di prevenire situazioni di disagio, promuovere il benessere in tutto l’arco della vita dall’infanzia all’età adulta. Lavora con bambini, ragazzi, genitori e insegnanti ascoltando il loro disagio ed esigenza, osservando le dinamiche comportamentali, i contesti di vita e azione e allestendo progetti di intervento personalizzati avvalendosi, se necessario, degli altri professionisti del centro.

Nel corso degli anni si è specializzata nei Disturbi dello Spettro dell’Autismo approcciando e studiando diversi metodi e andando a fondere esperienza e conoscenza nella sua azione con i bambini, nel supporto alla famiglia e nel lavoro dell’equipe.

Foto: bialasiewicz / 123RF Archivio Fotografico

 

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