Disturbi psicosomatici e psicoterapia

I disturbi psicosomatici rappresentano una modalità “concreta” mediante la quale si esprime una sofferenza emotiva. Non si tratta di false malattie né di mistificazioni. Il corpo e il sistema immunitario risuonano con lo stato della mente in una mutua influenza reciproca che dovremmo sempre tener presente.

Psico-neuro-endocrino-immunologia (PNEI): questo termine così altisonante e complesso da sembrare uno scioglilingua racchiude in realtà una grande e importante verità su un modello di interconnessione mente-corpo che sempre più spesso risulta imprescindibile, tanto per le scienze mediche, quanto per quelle psicologiche. 

 

I disturbi psicosomatici devono essere inquadrati in quest’ottica: lo stato di salute fisica, la risposta immunitaria del corpo e la vulnerabilità alla malattia o la facilità alla guarigione sono tutti fattori in reciproca influenza con la psiche e in particolare le emozioni della persona. 

 

La psicoterapia ha, fra gli altri, l’obiettivo di aiutare il paziente a costruire una migliore capacità di regolazione emotiva diminuendo  la necessità del sistema corpo-mente di ricorrere a modalità corporee concrete per esprimere disagi emotivi. 

 

Cause e sintomi
Chi soffre di disturbi psicosomatici non sta inventando una malattia inesistente né può essere ritenuto responsabile/colpevole di quanto gli sta capitando. Non dobbiamo, inoltre, confondere questi disagi con l’ipocondria – la paura di ammalarsi in assenza di segni e sintomi di malattia – o con disturbi fittizi con cui ci si finge malati per trarre da ciò un tornaconto personale.

 

Chi soffre di un disturbo psicosomatico registra effettivamente un malessere relativo al propri stato di salute e si verifica realmente l’insorgenza di una malattia e/o l’aggravarsi di una già esistente. I sintomi a componente psicosomatica possono riferirsi a un’ampia variabilità di disagi fisici: dal più comune mal di testa muscolo-tensivo, ai disturbi gastro-intestinali acuti e cronici (gastriti, coliti ecc.), al peggioramento di
patologie croniche preesistenti (il diabete ad esempio, dato che gli stress emotivi possono associarsi a scompensi dei livelli di insulina nel sangue), alla maggior vulnerabilità all’insorgenza (o al decorso infausto) di patologie come infarto, tumori (come il melanoma e il cancro della mammella) e l’HIV (Solano, 2013). Il sistema immunitario è uno dei più importanti anelli di congiunzione fra psichico e somatico.

 

Numerosissimi studi hanno da tempo evidenziato quanto uno stress emotivo, acuto o soprattutto cronico, non gestito e non elaborato dalla persona possa determinare nel tempo una depressione della risposta
immunitaria che renderebbe l’organismo meno pronto a contrastare infezioni, malattie e l’insorgenza di vari disturbi. 

 

Non si tratta dunque solo di una “risposta” corporea ad un disagio emotivo (si pensi a chi soffre di gastriti da stress che possono degenerare in ulcere), ma di una più generalizzata vulnerabilità di tipo sistemico alla malattia.

 

Sarebbe fuorviante però pensare che siano gli stress emotivi tout court a causare i disturbi psicosomatici.  Non dipende quasi mai dal “cosa”, ma quasi sempre dal “come" 

 

Alessitimia e disturbi psicosomatici

Pensiamo a una persona che non è in grado di affrontare una contrarietà o un conflitto senza perdere le staffe e agire una rabbia distruttiva e tirannica. O pensiamo a una persona che ogni volta che affronta una situazione di stress si sente in apparenza tranquilla, salvo poi manifestare una serie di disturbi piuttosto evidenti sul piano somatico come una fastidiosa colite che alla lunga rischia di trasformarsi in un problema
di salute più serio…

 

Sono tutti esempi, apparentemente diversissimi, di cosa possa accadere quando non si è in grado di riconoscere, gestire ed esprimere adeguatamente le emozioni

 

Questa condizione viene indicata dagli psicologi e gli altri operatori della Salute mentale come alessitimia che letteralmente significa “assenza di parole per le emozioni”. Questa difficoltà, che certe persone possono avere più di altre, a gestire ed esprimere le emozioni (sia quelle negative che a volte quelle positive) può assumere la forma di una disregolazione “verso l’alto” – la persona cioè esprime fin troppo sopra le righe l’emotività finendo però con l’esserne del tutto sopraffatta, si pensi al tipo “collerico” cui prima si accennava – o “verso il basso”. 

 

In quest’ultima frangia rientrano le persone che manifestano disturbi psicosomatici: si tratta di persone con un pensiero prevalentemente concreto, una vita onirica generalmente povera, una scarsa confidenza con aspetti creativi del pensiero. Queste persone non sono in grado, o lo sono molto poco, di identificare ciò che provano, spesso possono non rendersi affatto conto di essere turbate emotivamente o minimizzare i
propri problemi.

 

In questi casi il corpo parla per loro: le emozioni non possono essere vissute e utilizzate per orientarsi nelle scelte e nel comportamento, perché non si esprimono ad un livello psicologico, ma attraverso il canale corporeo senza che quindi possono diventare oggetto dell’esperienza e
dell’introspezione psichica. 

 

In base a un meccanismo simile, anche se dagli effetti apparentemente
opposti, altre persone reagiscono a uno stress emotivo agendo d’impulso e/o esprimendo un’agitazione emozionale che finisce per sovrastarle. In entrambi i casi la persona non è in grado di provare un’emozione mantenendo la capacità di pensare: la mente o il corpo vanno in tilt!


Disturbi psicosomatici e regolazione emotiva
Perché alcune persone, e in particolare coloro che soffrono di disturbi psicosomatici, hanno più difficoltà di altre? Cosa contribuisce a renderle più alessitimiche e, di conseguenza, più vulnerabili a certe manifestazioni sintomatologiche?

 

La regolazione psicobiologica prevede, fin dagli esordi della nostra vita, che corpo e mente vadano di pari passo. Noi non ce ne rendiamo conto se osserviamo le cose da una prospettiva adulta, ma lo si è osservato molto bene nei neonati: la regolazione dei loro ritmi biologici (sonno-veglia, accrescimento corporeo, termoregolazione ecc.) deriva non soltanto dal fatto che siano loro garantiti nutrimento e cure concrete.

 

Anche il contatto fisico, le carezze, la vicinanza affettiva rappresentano ingredienti altrettanto importanti. Essere accarezzati, cullati, coccolati sono tutte esperienze che il neonato fa durante l’allattamento e che
contribuiscono non solo alla sua regolazione emotiva, tranquillizzandolo, ma anche al mantenimento della sua regolazione biologica. 

 

Ne è una drammatica conferma la situazione desolante che i primi psicologi infantili osservarono negli orfanotrofi dei primi decenni del ‘900 dove i bambini vivevano in condizioni di assoluta deprivazione emotiva, senza nessuno che li coccolasse o li prendesse in braccio. Questi bambini
registravano spesso ritardi nella crescita e altri problemi fisici che potevano arrivare anche a comprometterne la sopravvivenza, nonostante ricevessero cibo e cure “concretamente” adeguate. 


Disturbi psicosomatici e accudimento infantile
Il modello di accudimento e di relazione affettiva a cui siamo stati esposti può fare al differenza nella capacità, in età adulta, a riconoscere e gestire le emozioni. Potremo farlo solo nella misura in cui qualcuno lo avrà fatto prima per noi. 

 

Una componente molto importante della relazione genitoriale è infatti proprio la capacità del caregiver di identificare adeguatamente i bisogni e le emozioni del bambino e sapervi non solo rispondere ma anche decodificarli e interpretarli al piccolo. È un comportamento che spesso le madri adottano istintivamente anche prima che i loro figli siano in grado di parlare, frasi come “hai molta fame” o “guarda come sei arrabbiato!” sono dei commenti che in maniera del tutto spontanea i genitori fanno decodificando lo stato mentale del bambino. 

 

Man mano che procederà la sua crescita questi feedback si faranno sempre più interattivi e aiuteranno il piccolo a imparare a distinguere fra bisogni fisici e bisogni emotivi e a far fronte adeguatamente a entrambi. Imparare a riconoscere la fame e la sete è importante per la sopravvivenza, ma lo è in un certo qual modo anche imparare a riconoscere un turbamento emotivo (rabbia, noia, delusione, vergogna) e a tranquillizzarsi.

 

In alcune famiglie questa decodificazione degli aspetti emotivi  dell’esperienza può essere carente, spesso perché nei genitori stessi manca un’adeguata competenza emotiva, a volte l’accudimento si esplica prevalentemente su piani concreti e il bambino implicitamente “impara” che il canale corporeo è l’unico che viene riconosciuto e che possa essere utilizzato per ricevere attenzioni e sollecitudini dai propri
genitori. 

 

Psicoterapia per i disturbi psicosomatici
La psicoterapia è spesso l’“ultima spiaggia” utilizzata da una persona che soffre di disturbi psicosomatici e che, a fronte di una storia clinica spesso complessa, arriva dallo psicologo spesso dietro consiglio del
proprio medico curante.

 

Il lavoro psicologico rappresenta in effetti una grande sfida per questi pazienti che, per la natura stessa del loro sintomo, non avvertono (o meglio, non riconoscono) un disagio emozionale di qualche tipo e possono ritenere inutile la psicoterapia o avere difficoltà a comprendere perché dovrebbe fare al caso loro.

 

Spesso sono persone poco abituate a parlare di sé e dei propri sentimenti, ma che, mediante il lavoro psicologico, possono gradualmente accedere ad un nuovo linguaggio, quello delle emozioni e della comprensione dei propri stati mentali, che possa restituire loro non solo un migliore stato di salute fisica, ma anche un più completo e integrato equilibrio di personalità. 


Bibliografia
Solano L. (2013). Tra mente e corpo. Come si costruisce la salute, Cortina, Milano.

Immagine | Sohel Parvez Haque