Principi e strategie per l'Empowerment femminile

Acquisire piena consapevolezza delle proprie capacità, esercitare i propri diritti di azione e autodeterminazione, acquisire piena partecipazione alla vita politica, lavorativa, economica e sociale. Lo sviluppo dell’empowerment femminile è riconosciuto una priorità sia a livello individuale che collettivo.

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UN Women è l’agenzia delle Nazioni Unite dedicata a studiare la condizione femminile e nel suo rapporto 2018 afferma come il raggiungimento della parità di genere rappresenti a oggi un obiettivo imprescindibile non solo a livello individuale, ma collettivo per il progresso verso un futuro dell’umanità realmente più equo e sostenibile, aspetto questo che rientra a pieno titolo fra gli obiettivi che si intendono perseguire per il 2030. 

 

È un processo che non può più essere affidato solo alle donne femministe che si fanno portatrici di tali istanze, ma che deve entrare a pieno titolo nell’agenda dei governi e delle politiche per la parità di genere e lo sviluppo economico e sociale. Cos’è dunque l’empowerment femminile e come possiamo svilupparlo?

 

 

L’empowerment femminile: cos’è?

Per provare a dare una definizione di empowerment femminile occorre anzitutto comprendere il significato di questo termine nell’ambito delle scienze psicologiche. Il self empowerment, o semplicemente empowerment, è un costrutto teorico molto utilizzato in psicologia di comunità per riferirsi alle capacità di autodeterminazione, scelta consapevole e miglioramento individuale e sociale che tutte le persone possono e dovrebbero sviluppare, sia per il proprio benessere individuale che per lo sviluppo e il miglioramento delle comunità in cui vivono. 

 

Una comunità sana e vitale, capace di generare benessere, operare inclusività e rispondere con resilienza alle avversità è una comunità che promuove al suo interno l’empowerment degli individui che la compongono e da questo trae la sua linfa vitale.

 

 

Empowerment femminile e promozione della salute

Tale concetto è negli ultimi anni al centro dei modelli di Salute in sanità, specie del concetto di prevenzione e promozione della salute alla base dei servizi psicologici di primo livello, si pensi ad esempio ai Consultori familiari

 

La prevenzione e promozione della salute nella visione attuale si fondano proprio su questo presupposto: non più dunque una concezione paternalistica dei servizi sanitari che “prescriva” determinate azioni ai cittadini visti come passivi e incompetenti. Ma, al contrario, una concezione fondata sull’empowerment dove l’intervento mira a rendere il cittadino informato e capace di scegliere, decidere e operare con consapevolezza e autodeterminazione per la propria salute e il proprio benessere. Non è un caso che tale concezione della fruizione dei servizi sia particolarmente forte e sentita proprio in quasi servizi rivolti alle donne e con esse alla tutela della famiglia, della maternità e delle problematiche di genere (Gandolfo, 2002). 

 

Anche fuori dai servizi sanitari infatti, sviluppare l’empowerment femminile implica ribaltare definitivamente la concezione autoritaria e paternalistica dei rapporti fra i generi e rifondarli sulla base di un dialogo e di uno scambio reciproco dove le donne possano dimostrare e far rispettare la propria capacità di scelta e autodeterminazione in tutti gli ambiti della società civile contribuendo proficuamente allo sviluppo della stessa.

 

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Empowerment femminile e sessismo "benevolo"

È innegabile quanto l’emancipazione femminile abbia fatto enormi passi avanti dagli anni ’70 ad oggi, sia per il riconoscimento dei diritti civili e politici delle donne, sia contribuendo a modificare in maniera sicuramente consistente alcune concezioni culturali e sociali.
Gli stereotipi sulle donne non sono tuttavia scomparsi dalla nostra cultura (e con essi gli stereotipi sul maschile, altrettanto riduttivi e tossici). 

 

 

Quella che spesso viene propagandata come onnipresenza femminile nei settori professionali e produttivi non corrisponde quantitativamente e qualitativamente a verità. “Ormai siete dappertutto” è uno dei cliché che, ci ricorda Michela Murgia (2021), affonda nei tanti luoghi comuni del sessismo benevolo della società attuale: 
“Contare le donne rende immediatamente palese il dislivello di presenza (e dunque di rappresentazione) di metà della popolazione del Paese e spazza via con la forza dei numeri la diffusa presunzione che la parità di opportunità sia ormai un traguardo raggiunto. Smettere di contare o non cominciare affatto certifica come irrilevante l’assenza delle donne dai luoghi in cui si progetta e si governa ogni ambito del Paese” (Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più, p.18, Einaudi).

 

Esiste ed è palpabile un gender gap relativo ai salari, alle posizioni apicali, alle categorie di attività e impiego ricoperte tutt’oggi dalle donne. Basti pensare che secondo l’Ocse, soltanto il 5% delle adolescenti in Italia aspira a professioni tecniche o scientifiche. Rete Arminda ci metteva in guardia già nel 2014 rilevando come su un totale di 360 dirigenti generali del settore pubblico, le donne fossero ancora il 38% contro il 62% rappresentato dagli uomini, nei Ministeri poi queste percentuali risultavano ancor più sbilanciate (30% vs 70%). Dati del 2020 evidenziano d’altra parte come anche nel settore privato solo il 18% delle donne raggiunga posizioni dirigenziali (Osservatorio mercato del lavoro e competenze manageriali di 4.Manager). Le donne importanti, quelle da prendere a modello dunque ci sono, ma sono ancora troppo poche
È necessario sviluppare a pieno l’empowerment femminile dunque affinché le donne possano incidere non solo sulle proprie scelte individuali ma anche, attraverso di esse, sulla società di cui sono parte.

 

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Diversi livelli per raggiungere l'empowerment femminile

Per sviluppare un processo di empowerment è necessario prestare attenzione a diversi livelli interconnessi fra loro.

  1. Accesso alle risorse materiali:“Se ha intenzione di scrivere romanzi, una donna deve possedere denaro e una stanza tutta per sé.” scriveva Virginia Woolf (Una Stanza tutta per sé, 1929; trad. it. Feltrinelli, 2013). L’accesso alle risorse economiche, tecnologiche e educative è il primo passo. Può sembrare che questo aspetto possa essere dato per scontato in molti paesi occidentali, ma non è così. Non è purtroppo infrequente che una donna si trovi ancora in una relativa o sostanziale dipendenza economica da altri, che rinunci prematuramente a studiare o formarsi a livello specialistico per anteporre esigenze familiari o affettive, che non rivendichi o rivendichi meno il diritto ad essere pagata di più per il lavoro che svolge. In questo video tratto dalla serie tv Grey’s Anatomy trovate un ottimo esempio.
  2. L’accesso alle conoscenze: per poter esercitare la propria capacità di decisione e autodeterminazione occorre avere accesso in prima persona alle informazioni, padroneggiare le conoscenze necessarie, non accontentarsi di rimanere passive accettando cha siano altri a fornirci “quello che serve sapere”. Se in un posto di lavoro non venite invitate a una riunione che ritenete vi riguardi, se vi viene chiesto di svolgere una certa mansione professionale senza spiegarvi i motivi, se vi rendete conto di essere più marginali e meno informate rispetto ad altri vostri colleghi fate attenzione: forse è arrivato il momento di legittimarvi a saperne di più. Anche la Regina Elisabetta, all’inizio del suo regno dovette affrontare questo problema e decise di assumere un tutore perché le ampliasse l’esigua istruzione ricevuta (in quanto donna), il settimo episodio della prima stagione di The Crown racconta questo particolare con un titolo che non lascia spazio a equivoci: Sapere è potere
  3. L’intelligenza emotiva e l'assertività: uno degli stereotipi più diffusi e fuorvianti sul genere femminile è che le donne sarebbero “troppo emotive”, non è raro che se una donna afferma le proprie posizioni con assertività e convinzione sia accusata di essere “isterica”, troppo “agitata” o che sia genericamente invitata a calmarsi… In altre parole: si critica il “come” sta esponendo le sue posizioni e si ignora il contenuto del messaggio. In un uomo invece lo stesso atteggiamento di protesta ha più probabilità di venire ascoltato e di essere considerato espressione di forza e autorevolezza. Accanto a questo viaggia l’equivoco secondo il quale per farsi strada nel mondo del lavoro andrebbero messe da parte le emozioni… Nulla di più sbagliato: non potrete fare le vostre battaglie per qualcosa che non vi appassiona, il desiderio deve essere il motore di ciò che fate, anche in ambito lavorativo solo così potrete tenere alta la motivazione e avere il carburante necessario per farvi ascoltare. Occorre però imparare a comunicare effettivamente con assertività, consapevoli della legittimità a rivendicare le vostre posizioni senza rispondere alle provocazioni di chi vorrebbe solo farvi “perdere le staffe” per accusarvi subito dopo di essere “isteriche”: non state al gioco, andate dritte al punto!
  4. Empowerment vuol dire anche Potere: parte del problema per il quale ci sono meno donne in posizioni apicali, dentro e fuori la politica, al netto delle discriminazioni di cui abbiamo già accennato, è anche dato dal fatto che meno donne si propongono per ruoli di leadership, meno donne percepiscono come “naturale” e desiderabile assumere ruoli e posizioni di potere. E questo è decisamente un peccato perché troppo spesso quelle poche che ce la fanno sono coloro che sono riuscite a farsi strada mimando un modello sostanzialmente maschile snaturando il peculiare contributo che secondo diversi studi potrebbe apportare un esercizio femminile della leadership. Eppure è proprio dal contributo delle donne che potrebbero diffondersi e consolidarsi modelli di leadership più attenti al dialogo, alla motivazione e alla capacità di fare squadra e con esse di adattarsi ai continui mutamenti ambientali che il mondo del lavoro attuale propone. 

 

Se volete saperne di più qui trovate alcuni titoli di libri sull’empowerment femminile a cui potete ispirarvi, buona lettura!