5 cose da sapere sulla salute mentale

Intorno alla salute mentale esistono molti pregiudizi e false credenze. A tutti può capitare di vivere un momento di disagio che va osservato senza scetticismi.

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©Luis Molinero Martínez / 123rf.com

Andare dallo psicologo è per i matti”… Questo è uno dei pregiudizi più diffusi, più o meno esplicitamente, fra le persone. Spesso si cade nell’errore di pensare ai disagi psicologici solo come sintomi di estrema gravità che accadono ad “altri”. In realtà tutti noi possiamo andare  incontro nell’arco della vita a disagi o disturbi psicologici in maniera più o meno transitoria. 

 

La salute mentale non è una semplice assenza di “malattia”, ma la capacità della mente di trovare nuovi e funzionali adattamenti al mutare delle circostanze. 

 

E a volte anche un “sintomo” può rivelarsi una preziosa opportunità per individuare nuove strade, più funzionali al nostro benessere. Ecco quindi 5 cose sulla salute mentale che potrebbe essere utile sapere prima di pensare che solo gli “altri” possano beneficiare della consulenza di uno psicologo

 

1. Salute mentale non significa assenza di “malattia”

Per gli antichi greci le malattie del corpo e della mente erano una cosa sola, Asclepio figlio di Apollo e dio della Medicina era colui che si occupava tanto dei malanni del corpo quanto di quelli della psiche. 

 

Egli presiedeva alla salute degli uomini grazie all’intervento delle sue due figlie: Panacea e Igea, responsabili rispettivamente della cura e della prevenzione di tutti i mali. Per gli antichi quindi salute e malattia rappresentavano due dimensioni complementari.

 

Nella medicina moderna si è lungamente perduto questo equilibrio, la scoperta delle malattie, delle loro cause e degli strumenti per sconfiggerle ha avuto meriti indiscussi, ma ha anche portato a una concezione di salute come semplice assenza di malattia, compresa la salute mentale.

 

Solo di recente la salute è stata riconosciuta come stato di benessere multideterminato - fisico, psichico e sociale - (WHO, 1948; Engel, 1977) e come dimensione “positiva” in integrazione, piuttosto che in opposizione, alla malattia (Bertini, 2012).

 

La salute mentale rappresenta dunque una componente essenziale del nostro benessere che non è definita dall’assenza di disagi, ma dalla presenza di risorse mentali che mettano la persona di affrontarli.

 

Concetti come resilienza, capacità di coping e resistenza allo stress alludono proprio a questo: non all’assenza di difficoltà, ma alle capacità di fronteggiarle. 

 

2. Chiunque può soffrire di un disagio psicologico (e non è per forza un male)

Stati come ansia, disturbi psicosomatici, fasi più depressive dell’umore, senso di vuoto di si sfiducia in sé stessi non identificano soltanto disturbi psicologici tout court, ma anche fasi di difficoltà che tutti possono temporaneamente attraversare in determinati momenti critici della propria vita, quando cioè le richieste/pressioni provenienti dall’esterno vengono percepite come soggettivamente troppo gravose, sproporzionate rispetto alle capacità che ci si riconosce di avere per fronteggiare la situazione. 

 

La salute mentale può risentirne certo, ma spesso questi “sintomi” di malessere sono tutt’altro che negativi: possono rappresentare dei “segnali” che ci costringono a fermarci, riconsiderare diversamente gli equilibri della nostra vita: forse è arrivato il momento di cambiare qualcosa, può darsi che ci siano bisogni che non stiamo ascoltando o esigenze esterne che ci richiedono un diverso adattamento, potremmo scoprire di avere più risorse di quelle che credevamo. 

 

3. La salute mentale non è forza di volontà

Nella cultura occidentale, così individualista e improntata la mito della liberta/responsabilità personale, si cade spesso nella falsa credenza che “volere è potere” rappresenti un diktat assoluto e valido sempre. 

 

Non è così, esistono nella vita di ognuno di noi aspetti di quello che ci capita che non possiamo del tutto prevedere o controllare con la forza di volontà

 

E non mi riferisco solo agli eventi “esterni”, quelli che capitano e che ci sconvolgono piani e progetti. Ma anche agli eventi “interni”, a come la nostra mente può reagire di fronte a un cambiamento, anche questo può rivelarsi qualcosa che non sempre possiamo sapere a priori. 

 

Un esempio piuttosto comune è rappresentato dalla nascita di un figlio: si tratta di un evento che va ad incidere così profondamente sulle identità di entrambi i genitori, e della coppia nel suo insieme, da non essere prevedibile a priori. La maggioranza dei neogenitori racconteranno di aver dovuto fare i conti, nel bene e nel male, con lati di loro stessi, modi di reagire assolutamente sconosciuti e inaspettati fino a quel momento.

 

Quando la vita ci pone davanti a questi imprevisti non possiamo con la forza di volontà obbligare le cose a rientrare nei ranghi del conosciuto, dobbiamo mollare il controllo e confrontarci col flusso degli eventi. Per
poter cambiare qualcosa dobbiamo prima di tutto accettarla. 

 

4. Una o molte possibili “normalità”?

Il concetto di “normalità” è spesso associato a stereotipi e pregiudizi sulla salute mentale. In senso statistico, e anche nel senso comune, viene infatti considerato normale ciò che rientra dentro una “media”, assimilandosi a quelle che sono le caratteristiche della maggior parte degli individui. 

 

Questo concetto di normalità, va bene per statistici ed epidemiologi, ma può essere pericoloso e fuorviante per le persone singole e la salute mentale. Il rischio infatti è quello di considerare, a livello culturale e sociale, come “normale” e desiderabile colui o colei che si assimila a quello che la maggioranza pensa o fa in ottemperanza a un certo conformismo sociale che è tutt’altro che garanzia di salute mentale e maturazione psicologica. 

 

Basti pensare, per fare un esempio dibattuto ai giorni nostri, al problema della diffusione di fake news sui social network, al dilagare di credenze errate e pregiudizievoli su problemi o emergenze politiche o umanitarie, al sempre crescente fenomeno degli “haters” online… 

 

E, non per ultimo, a paradossali fenomeni di massa che si osservano in momenti di allerta epidemiologica (come correre nei supermercati facendo incetta di prodotti di cui non ci sarà mai alcuna carenza come la banale carta igienica).

 

Sono tutti esempi di comportamenti sociali che le persone seguono, imitano e fanno propri senza un pensiero dietro ma solo perché così fan tutti, solo perché rappresentano – nel senso spietatamente statistico cui prima si accennava – la “normalità”! Georges Canguilhem (1966), filosofo ed epistemologo francese, proponeva una concezione alquanto diversa di normalità, ben distinta da quella statistica e più adatta a descrivere la salute mentale. 

 

In quello che è uno dei suoi libri più noti, Il normale e il patologico, sostiene una posizione apparentemente paradossale. Egli dice infatti che anche un organismo che presenta delle anomalie può essere considerato sano se esso riesce a conviverci: “La malattia entra ed esce dall’uomo come da una porta (…) non è soltanto squilibrio o disarmonia: è anche e soprattutto sforzo della natura nell’uomo per ottenere un nuovo equilibrio. La malattia è una reazione generalizzata il cui scopo è la guarigione”. 

 

Il patologico non è a-normale perché non è affatto privo di norma, tanto che facciamo manuali diagnostici sui quadri psicopatologici che accomunano i disturbi mentali che, evidentemente, sono dotati di “norme” molto precise.

 

La differenza fra normale e patologico è che il normale e iper-normale perché ha molte norme possibili, mentre il patologico ha norme più rigide e ristrette.

 

La salute mentale (e la salute in generale) è per definizione varietà. Le persone sane sono dotate di molte possibili norme di vita, cioè di una più ampia possibilità di scelta, di maggiori gradi di libertà.

 

Ogni volta che invece ci creiamo limitazioni, costrizioni, modi rigidi e immodificabili di pensare e reagire creiamo potenzialmente patologia perché ci priviamo della libertà di scegliere. 

 

Ne sono un esempio alcuni disordini alimentari come l’ortoressia o il binge eating ad esempio dove la persona utilizza il cibo in modo compulsivo per reagire agli stress emozionali; o alcune dipendenze come la sport addiction o lo dipendenza da lavoro.

 

Sigmund Freud identificava, a torto e a ragione, la salute mentale con la capacità di “amare e lavorare”. Presa alla lettera, questa affermazione può apparire oggi riduttiva. Ma intesa in un senso più ampio racchiude ancora un fondo di verità: essere in condizione di investire negli affetti, essere in grado di stabilire relazioni intime e soddisfacenti e al tempo stesso di essere produttivi in qualcosa che dia un senso di autorealizzazione (il lavoro in senso lato) rappresentano senza dubbio delle dimensioni importanti della salute psicologica, da intendersi non come assenza si sintomi, ma come presenza di un senso di padronanza, autorealizzazione e significato nella vita. 

 

5. Chiedere aiuto significa che si è già sulla buona strada

Se quindi non tutto il male vien per nuocere, perché in ogni crisi può esserci l’opportunità per una crescita, il fatto che nell’arco dell’esistenza si possano incontrare difficoltà impreviste e disagi psichici fino ad allora sconosciuti a sé stessi non indica tout court che la propria salute mentale sia compromessa, ma che si è chiamati a darsi “nuove norme” a modificare, in meglio, qualcosa degli adattamenti fino ad allora conosciuti e familiari.

 

Chiedere aiuto e rivolgersi ad uno psicologo non è una sconfitta, come alcuni pensano, ma una prima vittoria. Chi pensa di interpellare un professionista ha implicitamente già verificato che le solite soluzioni
non stanno funzionando
, che i modi con cui solitamente reagisce alle difficoltà non stanno dando i risultati attesi. 

 

Sta, in altre parole, già mettendo in discussione il proprio modo di pensare e si sta aprendo al cambiamento