La psicologia dell'omosessualità

In psicologia l'omosessualità viene affrontata in modo diverso in base ai differenti orientamenti teorici. Qui di seguito alcune delle teorie storicamente più note che affrontano la psicologia dell'omosessualità: Freud, Adler, Jung, Reich, fino al moderno DSM e al modello affermativo

La psicologia dell'omosessualità

L'omosessualità in psicologia ha sempre avuto come sottofondo teorico il dibattito tra natura e cultura: troviamo chi la considera frutto di influenze ambientali, chi un danno genetico, chi una componente genetica e chi (pochi) una libera scelta, senza poi considerare le influenze sociali, culturali e antropologiche. Vediamo come si sviluppano le teorie relative alla psicologia dell'omosessualità, partendo da Freud per arrivare ai giorni nostri.

 

Psicologia dell'omosessualità: la teoria di Sigmund Freud

Nei Tre saggi sulla sessualità (1905) Sigmund Freud affronta il tema dell'omosessualità: in un primo momento definisce gli omosessuali degli "invertiti" e l'omosessualità una perversione. Freud, nello sviluppare la sua psicologia dell'omosessualità, riconosce una bisessualità insita nell'uomo, che poi viene sublimata in una sessualità matura e abbandonata in favore di un rapporto eterosessuale. Quando ciò non accade, significa che è avvenuto un arresto durante lo sviluppo psico-affettivo. L'omosessualità maschile viene spiegata da Freud non come una avversione per le donne, ma come un tentativo di evitare la vagina della donna, che evoca fantasie castranti riconducibili alla relazione con la madre, per cui l'incontro con l'altro uomo è vissuto come rassicurante e tranquillizzante per la presenza del pene nella zona genitale. L'omosessualità femminile viene spiegata come un tentativo di evitare per sempre il dolore nato da una delusione d'amore con il padre. A questi assunti di base Freud aggiungerà alla teoria sull'omosessualità varie componenti narcisistiche che intaccano un lineare sviluppo del sé che, associate con un mancato superamento del complesso di Edipo e con vissuti fortemente identificativi con la figura materna, possono portare la persona all'impossibilità di un rapporto affettivo eterosessuali e, quindi, ad una omosessualità stabile.

 

Psicologia dell'omosessualità: la teoria di Wilhelm Reich

Wilhelm Reich ne La rivoluzione sessuale (1930) affronta la tematica dell'omosessualità partendo dall'allora recente abrogazione nella legislazione sovietica della legge che puniva l'omosessualità con la detenzione. Reich motivava tale scelta con la convinzione che l'omosessualità dovesse venire affrontata esclusivamente sul piano scientifico e non legislativo. Reich dice: "Secondo la concezione della sessuoeconomia, (...) nella stragrande maggioranza dei casi l'omosessualità è conseguenza di un disturbo assai precoce nello sviluppo della funzione amorosa e sessuale". Secondo Reich la scelta omosessuale, così come quella eterosessuale, non sono libere da nevrosi e corazzamenti, questo perché l'uomo vive in una società in cui esiste una morale repressiva e non un senso etico della vita. Reich distingue, inoltre, una omosessualità stabile e una omosessualità situazionale, ovvero quella che può avvenire in ambienti in cui i rapporti con l'altro sesso sono ostacolati, come carceri, navi e collegi.

 

Psicologia dell'omosessualità: la psicologia dell'omosessualità di Alfred Adler

Nel 1917 Alfred Adler pubblicò Il problema dell'omosessualità e nel 1930 Psicologia dell'omosessualità: secondo lo psicologo viennese l'omosessualità era espressione di un sintomo nevrotico non dovuta a fattori organici. La sua psicologia dell'omosessualità vedeva gli omosessuali come l'espressione di una distanza esplicita tra il maschile e il femminile. Alla base dell'omosessualità vedeva un vissuto di inferiorità, di scoraggiamento e di insicurezza sperimentati durante lo sviluppo infantile: un padre tiranno o una madre forte e possessiva possono portare il bambino a scegliere la strada dell'omosessualità come tentativo di compensazione rispetto a questi vissuti. Secondo Adler l'omosessualità era un disturbo non curabile.

 

Psicologia dell'omosessualità: la teoria di Carl Gustav Jung

Jung parlava di Animus e Anima come componenti complementari nella vita dell'individuo: la donna si identifica maggiormente con l'Anima, che racchiude tutte le componenti femminili, pur mantenendo un dialogo continuo con il suo Animus; l'uomo, viceversa, si identifica maggiormente con il suo animus. Nel suo modello di psicologia dell'omosessualità, Jung giunge alla conclusione che quando avviene un'inversione in questi processi di identificazione, accade che la donna si identifichi con l'Animus e l'uomo con l'Anima, con il conseguente sviluppo dell'omosessualità. Jung riconosce all'omosessuale maschio una serie di effetti positivi sostenuti dalla sua scelta omoaffettiva: sensibilità, senso estetico, empatia e tenerezza sono solo alcuni.

 

Psicologia dell'omosessualità: il DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali)

Negli anni il DSM ha provveduto ad un graduale processo che allontanava sempre di più l'omosessualità dalla patologia. Se nel 1951 ancora era inserita tra i disturbi sociopatici di personalità e nel 1968 una deviazione sessuale pari alla pedofilia, feticismo e necrofilia, nel 1973 l'APA (Associazione Psichiatrica americana) cominciò a considerare l'omosessualità non patologica: operò una distinzione tra omosessualità egodistonica e omosessualità egosintonica; veniva considerata malattia solo nell'accezione egodistonica, perché vissuta dalla persona non in modo piacevole ma come causa di stress e di difficoltà relazionali. Nel 1987 scompare anche la differenza tra egodistonica e egosintonica, in quanto il vissuto egodistonico viene imputato non direttamente alla persona ma come il risultato di un disagio psicologico evolutivo non necessariamente legato all'omosessualità.

 

Psicologia dell'omosessualità: dal modello patologico al modello affermativo

La psicologia dell'omosessualità degli ultimi anni ha sostituito il modello patologico con il modello affermativo: non esiste un orientamento sessuale normale e uno patologico, un'identità sessuale naturale e una innaturale. La persona omosessuale non ha il rischio di sviluppare patologie diverse da una persona eterosessuale: il percorso terapeutico con un omosessuale non deve essere impostato alla riabilitazione del suo orientamento sessuale, ma ad una integrazione maggiore della propria immagine di sé e del proprio orientamento sessuale come parte integrante de proprio sé.

 

Fonte immagine: photl.com