Psicologia del denaro: il problema non sono le finanze

Il pensiero dei soldi non lascia mai tranquilli: o perché ci pare di non averne mai abbastanza oppure perché le spese sembrano sempre troppe. Ma perché è così? Quali preoccupazioni nasconde?

Psicologia del denaro: il problema non sono le finanze

Diceva Freud che le questioni inerenti al denaro sono trattate con lo stesso riserbo e lo stesso imbarazzo di quelle relative alla sessualità. Ai giorni nostri potremmo dire che l'una sia fin troppo sdoganata dal pregresso pudore che la adombrava, mentre il denaro, sembra ancora rappresentare un argomento di difficile discussione, carico di ambivalenze e riserve…

Chi lo insegue ad ogni costo, chi lo rifiuta, chi non ne possiede mai abbastanza e chi ha il problema di averne fin troppo. Ma non è solo una questione di quantità.

 

Problemi e preoccupazioni di soldi

Nel suo interessantissimo libro “I soldi non sono il problema” (Guanda, 2013), John Armstrong invita il lettore a distinguere fra due elementi spesso sovrapporti tra loro: i problemi di soldi e le preoccupazioni suscitate da essi.

I primi rappresentano una questione essenzialmente pragmatica: dover far fronte ad una necessità.

Le preoccupazioni associate al denaro invece sono qualcosa di più pervasivo, traggono spunto dai problemi pratici di cui sopra ma chiamano in causa aspetti “immateriali” e, spesso, non commercializzabili relativi alla nostra identità, autostima, aspettative/obiettivi di vita e via discorrendo.

Il denaro funge quindi da “catalizzatore” di tutta una serie di questioni problematiche immateriali relative alla nostra persona, questioni su cui è utile cercare di fare chiarezza anche per rapportarsi ai soldi in maniera più oculata, serena e soddisfacente.

 

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Psicologia del denaro: i soldi fanno la felicità?

Perché i soldi hanno dei significati psicologici così complessi? Freud (1908), a proposito della personalità anale, osservò ad esempio che spesso l’avarizia era una caratteristica riscontrabile nelle persone che caratterialmente tendono a governare rabbia e paura mediante meccanismi ossessivi: cercando di tenere tutto sotto controllo senza mai lasciarsi andare né all’emozione, né appunto spendere denaro con leggerezza.

“Trattenere” il denaro, ponderare ogni spesa rivelerebbe, in questo senso, una perenne indecisione riguardo la scelta migliore, quella con meno rischi e meno imprevisti che porta a rimuginare senza trovare una soluzione.

In altri casi, tutt’altro che infrequenti, i soldi rappresentano un modo per veicolare affetto, il denaro e i beni materiali ad esso associati finiscono per diventare dei sostituti emotivi: si può spendere denaro per compensare il tempo che non si riesce a trascorrere con un figlio, per rimediare ad un problema di coppia e così via.

Ma si può spendere denaro anche per distrarsi dall’ansia o da emozioni disturbanti – il famoso shopping compulsivo,  allo stesso modo in cui altri cedono invece alla fame emotiva. Questi comportamenti a volte sfociano della conclamata psicopatologia nascondendo grandi disagi emotivi.

Altro caso piuttosto frequente è quello in cui si associa al denaro – che non si ha ma che si spera di possedere un domani – un potere miracoloso: se solo si riuscissero ad avere più soldi tutti i problemi si risolverebbero! Problemi coniugali, problemi con i figli, problemi di sicurezza in sé stessi, di autostima eccetera…

È vero, come si dice, che se i soldi non fanno la felicità piangere sui propri problemi sdraiati al sole delle Maldive può essere comunque una prospettiva allettante; tuttavia il fatto che il denaro non sia necessariamente associato alla felicità andrebbe preso piuttosto sul serio.

 

Psicologia del denaro e bisogni immateriali 

È quello che Richard Easterlin (1974) definì il “paradosso della felicità”. Se è vero infatti che, entro certi limiti, la felicità e il benessere percepito dalle persone mostra una correlazione significativa con il livello socioeconomico, superata una certa soglia di “ricchezza” questa direzione sembra invertirsi seguendo una curva che inizia ed essere discendente.

Lo stesso paradosso sarebbe vero anche su scala globale: all’aumentare del PIL di in Paese non è detto che aumenti di pari passo anche il livello di felicità percepito dai suoi abitanti. Questo sia perché il PIL non tiene conto di beni che non sono economicamente “misurabili”, sia perché non tiene conto della distribuzione della ricchezza nelle varie fasce di popolazione.

I soldi insomma correlano col nostro benessere sicuramente per quelli che sono i nostri bisogni più elementari, quei bisogni di base che Maslow (1954) individuava nel soddisfacimento delle necessità fisiologiche (fame, sete ecc) e del bisogno di sicurezza.

Proseguendo nella piramide dei bisogni incontriamo però altre necessità progressivamente sempre più sganciate del piano materiale: il bisogno di appartenenza (rapporti di amicizia, affetti familiari, intimità affettiva e sessuale), il bisogno di stima (sentire di essere persone capaci e di valore) e i bisogno di autorealizzazione (poter realizzare creativamente sé stessi, esprimere la propria personalità in ciò che si fa).

Pensare che il soddisfacimento di questi bisogni si possa “comprare”, cioè ottenere tramite il denaro (ricordate i soldi come sostituto dell’affetto?), è fuorviante, illusorio e potenzialmente dannoso tanto per le proprie finanze quanto per il proprio benessere psicologico.

 

I soldi sono uno degli ingredienti…

Che fare dei soldi, allora? Servono per vivere bene o, come sostenevano i monaci medievali, rappresentano dei “corruttori” dell’anima? In effetti si possono riscontrare fra le persone due atteggiamenti solo apparentemente opposti riguardo al denaro: da un lato coloro che lo considerano una sorta di “divinità” (una soluzione magica appunto) e che dedicano la loro vita a inseguirlo (invertendo in tal modo i mezzi con i fini).

Dall’altro coloro che considerano i soldi qualcosa di “sporco”, un “male”, un mero “apparire” e li rifiutano rivendicando proprio una maggior autenticità di vita e di valori.

In entrambi i casi si tratta di atteggiamenti difensivi che denunciano una difficoltà a ricomporre una scissione fra materialità e immaterialità, fra apparire e essere, fra mezzi e fini…

Armstrong nel suo libro invita a riconsiderare i soldi né buoni né cattivi, né un male assoluto né una soluzione magica a tutti i problemi. I soldi possono piuttosto essere considerati come “uno degli ingredienti” utili/necessari ad una vita soddisfacente. Nessuna somma di denaro e nessun bene materiale potrà davvero aumentare la nostra autostima o rendere le nostre relazioni affettive più gratificanti.

Possiamo però utilizzare o procurarci con intelligenza i soldi di cui abbiamo bisogno assegnando loro un posto entro la più ampia “cassetta degli attrezzi” nel nostro progetto di vita.

Cos’è il denaro in fondo se non una riserva energetica pronta a trasformarsi in infinite possibilità? A noi sta non solo avere un’attività che ci consenta di tradurre i nostri sforzi in denaro, ma anche trasformare quel denaro – come scrive Armstrong – in beni ed esperienze duraturi e di valore.  

 

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Foto: Ion Chiosea/ 123rf.com