Incertezza economica e felicità perduta

In questo momento storico-sociale di grande incertezza economica, parlare di felicità può sembrare un’impresa piuttosto ardua. Ma se è vero che i soldi non sono tutto, cos'altro può aiutarci ad essere “diversamente” felici?

Incertezza economica e felicità perduta

Non solo oggetti materiali, ma soprattutto relazioni interpersonali e gratificazioni… “immateriali”. Questi sembrano gli ingredienti per la felicità e una vita soddisfacente, nonostante la crisi economica. A sostenerlo sarebbero sia gli studi in materia che, indirettamente, le opinioni degli Italiani.

 

Il crollo della felicità dichiarata

Gli Italiani sono felici? Se lo è domandato Enrico Finzi, sociologo, giornalista e autore di alcuni libri tra cui “Felici Malgrado” (E-Comunicare, 2012), un e-book che riporta, tra le altre cose, i dati di ricerca relativi a una serie di sondaggi svolti sugli Italiani riguardo alla felicità e al benessere percepito a cavallo degli anni della recente crisi economica.

Se fino al 2010 la percentuale degli Italiani che si dichiaravano “felici” era più o meno stabile intorno al 39%, dal 2011/2012 tale percentuale è scesa al 29% registrando in un triennio un calo di più di un quarto del suo valore originario. Questo dato si accompagna, come era prevedibile, a un parallelo calo dei consumi, causato dalla forte contrazione dei redditi dovuta alla crisi economica. Ma non solo.

 

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Meno, ma “diversamente” felici

L’incertezza economica sembra aver prodotto anche importanti conseguenze non materiali.

Di fronte alla crisi, infatti, il 71% degli intervistati riferisce emozioni negative quali rabbia, ansia, tristezza, depressione. Questi dati sembrerebbero denunciare un sottostante senso di impotenza, di molti Italiani, relativo alla possibilità di comprendere e controllare i fenomeni attuali. Un’incertezza economico-finanziaria, dunque, che si accompagnerebbe a: previsioni pessimiste e incerte, calo di autostima, aumento del senso di abbandono collettivo e sfiducia verso i politici (anche quando questi propongono previsioni ottimistiche).

Tuttavia, se è vero che rispetto a epoche pre-crisi (2007)  arretra l’importanza di fattori materiali e finanziari (investimenti, consumi, tenore di vita); risultano in crescita fattori “immateriali”, relativi allo stile di vita o alle relazioni interpersonali: città o Paese di residenza, persone frequentate, la propria autonomia/indipendenza, il sesso, l’amore, i rapporti con gli altri, la famiglia, i propri valori e ideali.

In sostanza: sembra che, in quest’epoca di crisi economica, ci si aspetti sempre meno che la felicità possa venire dall’esterno o dal caso, ma vada costruita da ciascuno entro aree di gratificazioni più relazionali e immateriali.

 

Il paradosso di Easterlin e il FIL

I soldi dunque fanno o non fanno la felicità? Forse aiutano, ma solo fino ad un certo punto

Se ne rese conto, fra i primi, Jigme Singye Wangchuck, dal re del Bhutan, che dall’inizio degli anni ‘70 iniziò a riflettere sui limiti del PIL come indicatore accurato dello stato di benessere e prosperità di uno Stato. Fu così che venne introdotto per la prima volta, proprio in questo Paese, il cosiddetto FIL, la felicità interna lorda, un indicatore creato nel 1934 dal premio Nobel Simon Kuznets. Il FIL si propone di misurare il benessere complessivo di una popolazione considerando, oltre il reddito procapite, anche parametri come: lo sviluppo economico sostenibile, l’accesso all’istruzione, ai servizi e alle infrastrutture; la conservazione del suolo e delle risorse naturali, la cultura e il buon governo.

Negli stessi anni, Richard Easterlin, professore di economia dell’Università della California, giunse a conclusioni analoghe dopo aver studiato l’andamento del benessere materiale e della qualità della vita nei Paesi industrializzati nell’arco di alcuni decenni. Quando aumentano reddito e benessere economico, infatti, la felicità umana aumenta solo fino a un certo punto; per poi iniziare a diminuire seguendo una curva ad U rovesciata.

Le persone dei Paesi industrializzati sembravano, quindi, meno felici di quanto ci si aspettasse dalle condizioni economiche determinate dal PIL poiché il benessere di una popolazione non dipende soltanto dal denaro a disposizione ma anche da altri parametri quali i rapporti sociali, condizioni ambientali, salute, istruzione, partecipazione alla vita politica, ecc...

 

Condizioni “oggettive” e felicità

Perché avviene questo? In primo luogo a causa dell’elevato livello di aspirazione al consumo dettato dalle società capitalistiche: molti dei beni materiali che riteniamo di dover avere sono in realtà superflui, ci sentiamo continuamente spinti a comprare sempre nuovi oggetti che, tuttavia, ci procurano solo un benessere temporaneo e illusorio.

Inoltre, nessun parametro “oggettivo” è di per sé totalmente necessario o sufficiente  a garantirci la felicità. È possibile ad esempio godere di ottima salute, ma sentirsi infelici; così come, al contrario, il fatto di avere una qualche disabilità non incide necessariamente sul benessere soggettivo (Disability Paradox, Albrecht e Devlieger, 1999). O, ancora, la cosiddetta Sindrome da ricchezza improvvisa: un forte stato di stress e di malessere interpersonale e sociale che caratterizza alcune persone che si trovano a vincere grosse somme di denaro al gioco: neanche questi inaspettati colpi di fortuna a quanto pare sono esenti da rischi!

 

Qualità delle relazioni e qualità della vita

Un elemento che sembra invece risultare sempre significativo per la felicità e il benessere percepito è la qualità della relazioni interpersonali. Lo sostengono ad esempio i risultati di uno degli studi longitudinali più lunghi mai esistiti. Lo Study of adult development (Waldinger R. 2015), dura ininterrottamente dal 1938, ha preso in esame le vite di 724 ragazzi americani di ogni ceto e classe sociale (e, negli anni, anche delle loro mogli e figli), 60 di costoro sono tutt’oggi ancora in vita e partecipano allo studio. Le conclusioni a cui i ricercatori sono giunti fino ad ora sono le seguenti.

  • Non è la quantità, ma la qualità delle relazioni intime che conta, sentire cioè di poter contare sulle altre persone (questo, specie nel caso dei coniugi, non esclude affatto i litigi, ciò che conta è che avvengano costruttivamente).
  • L’isolamento sociale è connesso ad un più rapido declino della salute  e del funzionamento del cervello nella mezza età e ad una vita più breve.
  • Coloro che sono in relazione con persone su cui sentono di poter veramente contare in caso di necessità, conservano ricordi più precisi e duraturi della propria vita.
  • Coloro che invece non sentono di poter contare su relazioni intime significative, assistono ad un più rapido declino dei propri ricordi.

 

Le relazioni: un investimento che non è mai a fondo perduto

In conclusione: che ci si trovi in un periodo di crisi economica o in un momento di grande prosperità finanziaria, ciò che, più di ogni altra cosa, sembra sia in grado di garantire una vita felice è la qualità delle relazioni interpersonali. Sentire di appartenere ad una cerchia di rapporti interpersonali in cui condividiamo legami affettivi significativi (noi siamo importanti per quelle persone e loro lo sono per noi) rappresenterebbe il principale fattore alla base di una vita felice.

Dunque, avvertono i ricercatori, non è la quantità ma la qualità delle relazioni a fare la differenza: occorrerebbe investire nelle relazioni intime lo stesso tempo e le stesse energie che normalmente vengono dedicate a procurarsi successo e ricchezza.

 

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Foto: Daniel Jędzura