Blue Whale: gli effetti paradossi della viralità del web

È vero ciò che è vero o è vero ciò che sul web è “virale”? Nell’epoca della post-verità accade che un flusso incontrollato di notizie venga vagliato “di pancia”, in totale assenza di pensiero critico. Ed ecco che equivoci mediatici, come il Blue Whale, diventano una paradossale quanto pericolosa fonte di emulazione nella realtà offline, quella fatta, appunto, di “carne e ossa”...

Blue Whale: gli effetti paradossi della viralità del web

Blue Whale, il “gioco” della Balena Blu, prende il nome dal modo in cui le balene, che si sono perse e non riescono a ricongiungersi al branco, si spiaggiano e muoiono.

Un triste esempio di mistificazione della verità e dell’etica dell’informazione, di quando una notizia, non importa quanto vera o falsa, diventa virale e per questo “verosimile” fonte di macabra emulazione.

 

Blue Whale e responsabilità dei media di informazione

Nel 2008 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha emanato delle Linee guida per i giornalisti, dal titolo “La prevenzione del Suicidio: Suggerimenti per i professionisti dei media“.

In questo testo si passano in rassegna alcuni principi che ogni giornalista o sito di informazione dovrebbe seguire nel divulgare la notizia di un suicidio sia per tutelare il rispetto della vittima e dei familiari della stessa, sia, al tempo stesso, per arginare possibili fenomeni di emulazione, specie fra giovani e giovanissimi.

Questo perché la diffusione di tali notizie può urtare la sofferenza già enorme di chi rimane e favorire analoghi gesti in chi già cova intenti autolesivi.

Alcuni di questi principi sono: evitare di divulgare le generalità della vittima, evitare di descrivere mezzi e dettagli del gesto, non posizionare la notizia in primo piano o in prima pagina, astenersi da speculazioni e/o illazioni riguardo possibili responsabilità dei familiari o altre persone vicine alla vittima... solo per citarne alcuni.

Beh, è triste constatare che, passando in rassegna le notizie più comunemente diffuse in rete e sui giornali, il più delle volte questi e altri principi vengono puntualmente disattesi.

Mai come adesso però la situazione sembra “sfuggire di mano” a causa della mediatica diffusione di un fenomeno conosciuto come Blue Whale.

Questo fenomeno, fra presunte verità e altrettante menzogne, sta richiamando l’attenzione di tutti, invadendo siti, testate giornalistiche e articoli di ogni sorta facendo parlare di sé con esiti paradossali e controproducenti.

 

Blue Whale: smettiamola di chiamarlo “gioco”!

Il Blue Whale a quanto si legge, sarebbe un pericoloso fenomeno, nato in Russia e dilagato sul web, impropriamente definito “gioco”.

Consisterebbe in realtà in una sorta di comunità virtuale che adescherebbe le proprie vittime fra giovani e giovanissimi “indottrinandole” in un percorso di 50 passi, una serie di prove – tanto macabre quanto assurde – che condurrebbe fino agli esiti più infausti. Il tutto, si dice, senza che nessuno, fra genitori, amici o insegnanti dell’adolescente in questione si accorga di nulla.

Una volta erano i siti pro-anoressia, oggi a quanto pare saremmo di fonte a qualcosa di ben peggiore. Saremmo… perché, mai come in questi casi, il condizionale è d’obbligo.

 

Blue Whale: realtà o menzogna?

Si apprende da alcuni articoli che il Blue Whale in realtà non esiste con certezza come fenomeno virtuale dal carattere planetario e dilagante.

Quel che si sa è che simili azioni di istigazione al suicidio ai danni di adolescenti sarebbero però da attribuirsi ad un uomo, il russo Philip Budeikin, oggi agli arresti.

Azioni perpetrate ai danni di un numero limitato di vittime e di cui non sembra sempre provata la correlazione con morti accertate. Sembra tutto un po’ confuso, forse bisognerebbe aspettare, informarsi meglio.

Eppure, anche grazie al servizio ad esso dedicato da una nota puntata della trasmissione televisiva “Le Iene”, la notizia di tale fenomeno ha visto una diffusione mediatica virale e istantanea e sembra che su internet inizino a circolare notizie di reali gruppi costituitisi in nome della “balena blu”.

Una bufala virale che sembra aver poi determinato i presupposti di un fenomeno reale o per lo meno di iniziative isolate nate proprio con l’intento di emulare una notizia resa “reale” soprattutto dalla diffusione massiccia, indiscriminata e non verificata avuta sul web.

 

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Blue Whale: se ne parla troppo e male

Che sia verità o menzogna poco importa: oggi, a determinare se una notizia sia vera o meno, è il livello di diffusione mediatica che essa assume.

Dunque tanto varrà fare chiarezza, così per amor di onestà intellettuale, a prescindere che si stia parlando di un fatto reale ma contingente o di una fake news in piena regola che ha iniziato ad ottenere emulazioni reali.

Sta di fatto che del Blue Whale se ne parla, troppo, male, con dettagli macabri e raccapriccianti che si farebbe meglio a tacere e, cosa ancor più grave, esponendo a volte anche nomi e cognomi ed età delle vittime, magari adolescenti, che hanno realmente compiuto gesti autolesionistici, magari, come è successo, per tutt’altri motivi… già ma questo non fa notizia!

 

Blue Whale: le balene possono riprendere il largo…

Un fenomeno controverso dunque quello del Blue Whale, non si può dire con certezza che sia vero così come ce lo raccontano, ma neanche che sia del tutto falso.

E, anzi, a furia di parlarne si rischia di fargli più pubblicità di quel che è necessario… A cominciare da quei siti, di informazione e non, che proprio non ce la fanno ad astenersi dal pubblicare nel dettaglio tutte le macabre istruzioni dei 50 passi in cui consisterebbe questo fenomeno che ci si ostina a definire “gioco”…

E che sembra una versione distorta e distruttiva di quegli antichi riti di iniziazione che richiedevano, sì, di compiere gesti rischiosi, di superare la paura, ma per essere alla fine accettati dal gruppi, quello degli adulti, e inseriti nella vita non definitivamente esclusi da essa.

Gli adolescenti più vulnerabili potrebbero non avere sempre tutti gli strumenti per cogliere la differenza. Prima di allarmare la polizia postale, faremmo meglio ad attenerci ai principi etici dell’informazione e a non diffondere istruzioni per l’autodistruzione.

 

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