I tempi di recupero dell'esaurimento nervoso

Davvero possiamo parlare di esaurimento nervoso come fosse una malattia di cui addirittura prevedere decorso e tempi di recupero? Facciamo un po' di chiarezza.

I tempi di recupero dell'esaurimento nervoso

Dire di avere un esaurimento nervoso significa tutto e nulla.

Ne parlavo già in un precedente articolo; si tratta di una terminologia ormai desueta con la quale si continuano ad indicare, nel senso comune, una varietà di disagi psicologici: dai fenomeni psicopatologici più variegati a normali stati della mente che poco hanno a che fare con la patologia.

Eppure in rete abbondano raccomandazioni e consigli su come affrontare un esaurimento nervoso, cosa fare o non fare come se si trattasse di una malattia esantematica.

Parlare di esaurimento nervoso è un’impropria semplificazione, vediamo perché.

 

L’esaurimento nervoso e la soggettività individuale

Già ho accennato a quelle condizioni di disagio psicologico, impropriamente definite come esaurimento nervoso, che sono invece riconducibili a manifestazioni variegate del malessere psichico.

Da disagi ansiosi, a disturbi depressivi, a fenomeni di somatizzazione. Sono queste le condizioni più frequentemente ricondotte all’etichetta anonima di “esaurimento nervoso”.

In realtà si tratta di fenomeni diversi che assumono, a loro volta, configurazioni molto diversificate a seconda della persona.

Non si possono prevedere tempi di recupero a priori per i disagi psicologici perché tempi e modi in cui la persona può risolverli dipendono dal dinamismo psichico individuale.

Per questo motivo molte psicoterapie sono a durata indeterminata: non perché debbano necessariamente protrarsi per molto tempo, ma perché non è possibile definirne una durata a priori. Molto dipende, dunque, dalla soggettività individuale.

 

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L’esaurimento nervoso e gli stress della vita

Ma c’è un’altra accezione che spesso di da all’esaurimento nervoso.

Come molti altri termini di derivazione psicologica – si pensi a tristezza e depressione – esso è usato impropriamente anche per alludere a condizioni normali della mente, stati di stress o difficoltà emotiva non patologici, facenti parte della normalità della vita psicologica.

Si usa spesso con leggerezza dire di essere “esauriti” in riferimento a una situazione stressante al lavoro, a una discussione avuta con una persona o quant’altro.

In realtà la salute psicologica non implica l’assenza di contrarietà, l’assenza di problemi, momenti di tristezza o di sconforto: il benessere emotivo non sta nell’assenza di problemi, ma nella capacità di affrontarli e superarli.

Non necessariamente le contrarietà della vita debbono esaurirci, possono semmai rivelarsi costruttive e stimolanti se le affrontiamo con le giuste risorse.

 

L’esaurimento nervoso: eustress e distress

Può sembrare  controintuitivo, ma lo stress non è una condizione che necessariamente ci schiaccia, può essere uno stimolo che ci aiuta ad essere più produttivi ed efficienti.

Essere sotto pressione, dover superare ostacoli e difficoltà non rappresenta necessariamente un carico di richieste che eccedono le nostra capacità di fronteggiamento.

Questo è lo stress cronico, quello che fa ammalare, chiamato anche distress. È questo tipo di stress che più spesso viene chiamato esaurimento nervoso perché la sensazione è proprio quella di non riuscire a far fronte a tutto.

Esiste però anche lo stress “sano”, l’eustress, rappresentato da tutte quelle situazioni di tensione che accogliamo come sfide nelle quali impegnarci per superare degli ostacoli e raggiungere i nostri obiettivi risulta stimolante e benefico per la salute mentale.

Nessun esaurimento nervoso dunque semmai il contrario: ci si guadagna in energie ed efficienza. Dov’è la discriminante fra queste due tipologie di stress? Cosa differenzia lo stress “buono” da quello che fa ammalare e porta al cosiddetto esaurimento nervoso?

 

L’esaurimento nervoso: reagire agli eventi che capitano

Può sembrare sia la “gravità” degli eventi che ci accadono a differenziare il tipo di stress, eppure non è proprio così…

Dai piccoli disguidi del quotidiano alle catastrofi più grandi esiste un’indubbia variabilità di risposta individuale agli eventi che li rende soggettivamente più o meno “gravi”, più o meno “stressanti” per chi li affronta.

Dipende da come valutiamo l’evento e le risorse personali e sociali di cui sentiamo di poter disporre per affrontarlo. Immaginiamo la perdita di un lavoro: per alcuni può significare un impiego da rimpiazzare con qualunque altro, per altri una grave crisi identitaria (se molta della propria autostima derivava dal ruolo professionale), per altri ancora una sfida e un’opportunità a cambiare ed aprirsi al nuovo…

Molto dipende da quanto l’evento stressante vada ad intaccare aspetti fondamentali per l’identità e la sicurezza psicologica, da quanto la persona disponga di reti sociali di sostegno e sia più o meno in grado di adottare strategie utili per fronteggiarlo e adattarsi al cambiamento.

Ogni evento di vita, ogni difficoltà che incontriamo rappresenta un cambiamento modificando quello che già abbiamo o disattendendo le aspettative che avevamo sull’avvenire.

La difficoltà ad adattarsi al cambiamento, a pensare sé stessi in una nuova condizione si associa a un vissuto di impotenza e di esaurimento delle energie fisiche e mentali.

Poter reagire costruttivamente agli eventi implica invece la percezione di avere controllo e capacità di incidere su di essi per padroneggiarli ricordando che “non ottenere quel che si vuole può essere talvolta un meraviglioso colpo di fortuna” (Dalai Lama).

 

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