Rapportarsi con i collaboratori: la "ricetta" di Michele Ferrero

Il padre della Nutella aveva una speciale ricetta che seguiva scrupolosamente nel rapportarsi con i suoi collaboratori, fatta di ascolto, rispetto, riconoscimento. Possono essere stati questi ingredienti a fare della Ferrero un'azienda leader mondiale e modello aziendale vincente?

Rapportarsi con i collaboratori: la "ricetta" di Michele Ferrero

Mettere i collaboratori a proprio agio, coinvolgerli nelle decisioni, comunicare loro apprezzamenti e critiche solo se costruttive, diffidare degli adulatori e apprezzare anche coloro che esprimono dissensi

Questi alcuni dei “punti in agenda” per i manager a detta di Michele Ferrero, colui che ebbe il merito di espandere l’industria dolciaria più famosa di sempre anche a livello internazionale. Non solo cacao e nocciole dunque, ma - stando a quanto riportato da un documento pubblicato dalla Gazzetta di Alba – anche una gestione manageriale che 40 anni fa poteva sembrare avveniristica e oggi forse utopistica.

 

Rapportarsi con i collaboratori: il consumismo disumanizzante

In realtà le regole auree illustrate da Michele Ferrero sembrano perfettamente condivisibili, tese a mantenere “umani” i rapporti di lavoro e a migliorare la produttività delle persone mediante il riconoscimento delle loro capacità. Troppo spesso invece abbiamo prova di come nelle realtà aziendali, nazionali e multinazionali, le cose non vadano proprio in questo modo, ma la logica del profitto fine a se stesso, del potere individuale e (spesso) delle psicopatologie di pochi vadano ad aumentare il capitale a discapito della salute fisica e psichica di tutti.

Logiche aziendali che rischiano fra l’altro di rivelarsi controproducenti a lungo termine anche riguardo ai profitti stessi. Perché questa miopia organizzativa porta le aziende a snaturarsi e a rincorrere profitti effimeri a discapito della qualità sia dei prodotti/servizi offerti che dei rapporti con i collaboratoti? 

 

Leggi anche Come si coniugano leadership e pensiero creativo >>

 

Rapportarsi con i collaboratori: persone o cose?

Il consumismo è ciò che regola il mondo in cui viviamo e quello aziendale non fa eccezione, questo non riguarda soltanto i profitti tout court, ma sostiene anche una precisa visione del mondo e delle persone considerate a loro volta come merce, oggetti, strumenti di cui disporre per i propri scopi/desideri. 

Ecco che, dunque, tutto diventa urgente per ieri, email e messagi watshapp possono richiedere l’immediata riposta del collaboratore praticamente sempre, di giorno e di notte, feriali e festivi. Le comunicazioni vis a vis o mediante telefonate sono sporadiche, tutto avviene in maniera “smart”, “fast”, senza doversi impegnare in una conversazione. 

E poco importa se si tratta di posta elettronica o di chat di instant messanger: si dà per scontato che lo smartphone sia un’appendice della persona stessa e che ogni collaboratore sia tenuto a controllarlo e a rispondere all’istante. Non si contemplano tempi di latenza, di attesa; non è ammesso aspettare tempo (per pensare e far pensare); non è concepibile che la persona possa avere “altro” – nel mondo lavorativo o privato/personale – a cui dare momentaneamente la precedenza.

I tempi della vita privata e familiare si erodono sempre di più… A molti potrà sembrare un inferno disumano, per altri invece è la norma, anzi la condizione considerata necessaria per avere “successo” e la cattiva notizia è che spesso sono loro ad essere ai vertici… Sì perché saranno anche manager di dubbie capacità di leadership, ma sicuramente ben si accordano con la logica consumistica del profitto che tende a considerare le persone come “cose” di cui disporre.

 

Rapportarsi con i collaboratori: psicopatologia del management

In questo senso, è stato osservato che si può parlare addirittura di psicopatologia del management (Castiello d’Antoio, 2013) rintracciando cioè alcuni aspetti psicopatologici che spesso risultano drammaticamente “vincenti” nel portare determinate persone ai vertici delle aziende.

Uno di questi è la dipendenza da lavoro – la cosiddetta workaholic – che porta le persone a incentrare tutte le proprie energie sull’attività professionale. Sono coloro che non staccano mai, che lavorano a ritmi talmente serrati da sembrare delle macchine, che sacrificano vita privata e interessi personali e – qui sta il dramma – pretendono che gli altri facciano altrettanto! Non di rado, queste forme di dipendenza patologica da comportamenti in sé normali e desiderabili  - come il lavoro appunto – si associano ad un vero e proprio abuso di sostanze. Questo per mantenere alti i livelli di attività fisica e mentale o creare momenti artificiali di benessere che la persona non è più in grado di ricercare e di concedersi autenticamente.

Tratti patologicamente narcisistici della personalità non sono rari in questi casi là dove la continua ricerca di successo professionale tradisce una sottostante insicurezza a causa della quale si ha bisogno di continue conferme, di ottenere “di più”, di raggiungere un altro obiettivo in una corsa che non si ferma mai perché nessun successo raggiunto è in grado da solo di colmare il vuoto esistenziale e la fragile autostima che queste persone, a discapito della loro apparenza arrogante e grandiosa, hanno.

 

Rapportarsi con i collaboratori: le soft skills

L’esempio prima citato non esaurisce la psicopatologia che è possibile riscontrare nei sistemi manageriali delle organizzazioni (si pensi a quanta parte giocano anche assetti paranoici), ma fornisce un esempio di come nel mondo attuale possa accadere che tratti psicopatologici arrivino a risultare adattivi in un contesto di “selezione naturale” quale è quello della carriera lavorativa. Questo perché ancora troppo spesso si guarda solo alle variabili hard, “oggettive”, al fatto cioè che una persona abbia un buon curriculum, che lavori molto (già… molto…), che abbia molte conoscenze tecniche; o che sia, magari, “determinata” (che sappia quello che vuole o sia disposta ad ottenere quello che vuole a qualunque costo?)…

Nessuno in questi contesti organizzativi “nevrotici” (Kets de Vries e Miller, 1992) sembra essere realmente interessato a quelle che la psicologia individua come soft skills, ovvero le caratteristiche psicologiche delle persone e le loro capacità relazionali; aspetti soft ma non per questo meno importanti nei contesti lavorativi e produttivi.

Sembrano essere le premesse su cui molte organizzazioni effettuano la selezione delle proprie “risorse umane” e dover essere riviste radicalmente, un piccolo laboratorio in via Rattanzi ad Alba lo aveva già capito, in tempi non sospetti, mentre mescolava cacao e nocciole

 

Bibliografia:

Castiello d’Antonio, A. (2013). L’assessment delle qualità manageriali e della leadership. La valutazione psicologica delle competenze nei ruoli di responsabilità organizzativa. Milano: Franco.

Kets de Vries, M.F.R. e Miller, D. (1992). L’organizzazione nevrotica. Una diagnosi in profondità dei disturbi e delle patologie del comportamento organizzativo. Raffaello Cortina: Milano.

 

Leggi anche Domare le liti in ufficio >>

 

Foto: Robert Hainer / 123rf.com