La psicologia della religione fra archetipo e modernità

La psicologia della religione studia i significati e le valenze psicologiche dei sistemi di credenze religiose sia nello sviluppo della personalità e dell’identità individuale, sia nella determinazione del più ampio contesto socio-culturale a cui la persona appartiene. In tal senso, la psicologia della religione è metodologicamente a-religiosa, nel senso che assume la religione come oggetto di studio scientifico per i risvolti che ha nella psicologia individuale e collettiva senza entrare nel merito della veridicità o meno della natura delle credenze e dei dogmi religiosi.

La psicologia della religione fra archetipo e modernità

Quello che interessa, per uno studio psicologico, psicosociale e psicoanalitico dei fenomeni religiosi, è il ruolo che la diffusione, accettazione o rifiuto (nell’ateismo e agnosticismo) di tali credenze ha nell’evoluzione dell’identità sociale e individuale in senso sia normale che patologico.

Di religione la psicologia si è occupata fin dai suoi albori là dove lo stesso Wundt, padre della moderna psicologia sperimentale, ne riconosceva l’importanza come fenomeno culturale complesso dell’umano. Nell’ambito della psicologia dinamica sia Freud che Jung si sono occupati di psicologia della religione anche se da due prospettive differenti.

 

Freud e la religione come illusione

Freud studiò la psicologia della religione dal suo punto di vista sostanzialmente ateo e influenzato dal positivismo scientifico della sua epoca.

La concezione di Freud della psicologia della religione trova coerenza nell’ambito più ampio di tutta la sua opera, là dove la psicoanalisi stessa venne sviluppata e concettualizzata dal suo padre fondatore come metodologia scientifica per lo studio e la comprensione di quelle dimensioni ignote o irrazionali della nostra vita psichica e del comportamento (perché inconsce) riconducendo tali aspetti alla modalità di funzionamento della psiche e sottraendoli, in tal modo, all’ambito della religione e del misticismo.

Freud considera la religione alla stregua di una nevrosi collettiva avente, come la cultura, la funzione di controllare e arginare la primordiale distruttività umana. Nel Futuro di un illusione (1927) Freud esplicita maggiormente la sua posizione nei confronti della religione considerandola l’ultimo baluardo dell’illusione e dell’incoscienza umana di cui la psicologia e la psicoanalisi devono occuparsi in nome della verità e della presa di consapevolezza delle motivazioni dell’agire umano.

 

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Religione e dimensione sovrapersonale della psiche umana

Sostanzialmente differente la posizione di Jung verso la psicologia della religione che, nell’ambito della Psicologia Analitica, recupera il valore che l’esperienza religiosa e spirituale ha per lo sviluppo della psiche individuale e collettiva. Da un lato Jung sottolinea quanto, l’adesione ad un sistema di credenze religiose, possa rivelarsi adattivo e protettivo per il mantenimento della salute psichica e vada, in tali casi, incoraggiato e preservato.

Dall’altro, nello sviluppo del suo pensiero, Jung sottolinea la funzione che nella storia e nello sviluppo dell’umanità hanno assunto i simboli e le immagini religiose nel connettere l’umanità ad una dimensione trascendente e sovrapersonale. L’uomo moderno invece, sottolineava Jung, con lo sviluppo della razionalità e del progresso intellettuale e materiale, non sembra più in grado di connettersi a tale dimensione collettiva.

L’uomo moderno, secondo Jung e secondo Hillman successivamente, è senza déi in quanto vive ancorato ad una dimensione profondamente individuale e individualista che lo esclude dal senso più ampio e collettivo dell’umano e della spiritualità. E’ per questo, afferma Jung, che la psicologia è nata in epoca moderna, esprimendo il bisogno dell’uomo di trovare in ambito scientifico quelle risposte sul senso del proprio esistere ed essere nel mondo che la religione moderna sembra non riuscire più a garantire.

La psicologia della religione di Jung, tenendo in conto la dimensione collettiva e archetipica della psiche umana, considera l’atteggiamento religioso (cioè la tendenza umana a credere e a volgersi a un’entità trascendente) qualcosa di connaturato trasversalmente alla psiche umana che trova poi declinazione negli specifici contenuti religiosi a seconda delle credenze confessionali dei gruppi umani e degli individui.

La religione dunque, nella psicologia Analitica, avrebbe la sostanziale funzione di integrare, nell’uomo, le due polarità della dimensione individuale e collettiva dell’esperienza.

 

Evoluzioni normali e patologiche del sentimento religioso

Un altro autore che fu tra i primi ad occuparsi di psicologia della religione è G.W. Allport, esponente della corrente della psicologia umanistica americana; per tale autore il valore psicologico più importante della religione è il suo essere un elemento unificatore dell’esperienza umana che, offrendo significato e risposta a quanto l’individuo nei limiti del suo umano sentire non riesce a comprendere, permette di integrare e unificare le molteplici esperienze dell’uomo conferendo una cornice di senso unitaria all’esistenza umana.

Quali che siano i sistemi teorici con cui la psicologia analizza i significati dell’esperienza religiosa, quello che emerge è quanto essa risponda ad un bisogno umano di trovare un senso rassicurante a quanto non si comprende, sia connaturata ad una dimensione culturale e collettiva e non solo individuale e possa essere strumento di sviluppo e crescita psicologica e spirituale o, al contrario, catalizzatore dei disagi e della psicopatologia personale e sociale, come nel fanantismo religioso, a seconda che le credenze religiose vangano usate al servizio o in sostituzione dello sviluppo dell’identità e di una personalità matura.

 

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