10 luoghi nel mondo in cui assaporare l'infinito

Il senso di infinito in 10 destinazioni del nostro Pianeta, un desiderio ricercato ma soltanto percepito perché l'infinito è irraggiungibile per definizione.

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Sconfinare nell'infinito percepito in 10 luoghi

Nel mondo contemporaneo, delimitare gli spazi è una delle principali necessità dell’uomo, ma troppo spesso abbiamo abusato delle mura, costruendo intorno a noi sempre più confini e recinzioni per delimitare la proprietà privata. Allora proviamo a vedere "di là da" essi a scorgere l'infinito. 

 

Il senso di infinito è inafferrabile per definizione. Come si legge nell'Enciclopedia della matematica, infatti, “Infinito è astrazione matematica (espressa dal simbolo ∞) che indica una grandezza illimitatamente grande o che può essere fatta crescere in modo illimitato”. È un infinito detto «potenziale», ossia in divenire. “È questo – continua l'Enciclopedia – il concetto di infinito prevalentemente accettato nell’antichità e fino all’epoca moderna: seguendo Aristotele, non si potevano pensare, e non si dava loro possibilità di realtà effettiva, oggetti o enti matematici con un numero di elementi davvero senza fine”(I).

 

Malgrado l'infinito sia inafferrabile, è possibile percepirlo in luoghi meravigliosi realizzati dalla Natura o dall'Uomo. E non la logica matematica, ma tutte le arti hanno cercato di trasmetterci l'imago dell'infinito. Hanno raddrizzato quel segno matematico di infinito trasformandolo così in un 8 e lo hanno eletto a simbolo della rinascita numero emblematico delle piante dei battisteri, costruiti secondo piante ottagonali.

 

Lo ha cercato la poesia, inutile a dirsi la più bella di Giacomo Leopardi si intitola proprio L'infinito, ma anche la musica – la più astratta tra le arti – lo fa persuasivamente con la musica classica. Provare ad ascoltare lo Stabat mater di Giovanni Pergolesi è un'esperienza unica in tal senso, ma anche l'ascolto dei Dies irae è uno dei pochi conforti a un lutto, perché vi si avverte effettivamente la presenza di qualcuno di immenso aldilà.

 

Chi meglio di Giacomo Leopardi sempre chiuso a scrivere i suoi versi poteva sconfinare e noi con lui e scorgere l'inifinito? Succede soprattutto dentro o innanzi a capolavori dell'Uomo o naturali che ci lasciano estraniati per la loro bellezza e sembrano trascinarci nell'ultraterreno.
 

 

L'infinito di Giacomo Leopardi descrive esattamente la sensazione che si prova “sedendo e mirando, interminati/spazi di là da quella, e sovrumani/silenzi, e profondissima quïete” con l'ultimo verso dell'idillio L'infinito: “E il naufragar m'è dolce in questo mare”.

 

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1. Il Sublime Duomo di Monreale

Non appena si varca la loggia trilobata del Duomo di Monreale ci si sente piccoli piccoli a cospetto di Cristo benedicente che ci segue onnisciente con i suoi occhi bovini in un viso smunto abbagliato dall'oro, perché dentro la cattedrale è tutto oro quello che luccica.

 

È il Cristo pantocratore che giganteggia nel catino absidale fuori misura, dal momento che l'arte medievale rifiuta l'uso della prospettiva e l'aderenza alla realtà, per costruirne una. Sotto il figlio di Dio ci si sente goffi, come re Guglielmo II, detto il Buono, nervosamente inginocchiato davanti alla Madonna per donarle il modellino del Duomo, tra schiere di arcangeli e angeli in ordine di grandezza. 

 

Le maestranze arabe e veneziane ricoprirono a mosaici pure le pareti del capocroce e della navata centrale con storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, dalla genesi alla fondazione della Chiesa da parte di Pietro. Tutte su sfondo d’oro. Anche le pareti delle navate laterali sono scandite e decorate a mosaico con lesene con trame e pattern musivi in cui ci si perde.

 

Le tessere musive sotto piastrine di vetro che favoriscono il riverbero della luce creata dalla foglia d’oro, sono disposte – caso unico in Italia – in modo circolare attorno alla testa del Pantocratore che così sembra irradiare immensità, alla faccia dei secoli bui del Medioevo! Semplicemente gli uomini dell’epoca usavano strumenti diversi più materialisti per rendere la sublime immaterialità ultraterrena.

 

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2. Il naufragar nella Basilica di San Lorenzo a Milano 

Opposto non soltanto per latitudine, ma anche per stile architettonico è la Basilica di San Lorenzo a Milano. Stavolta, varcato l'ingresso pervade un senso di smarrimento, provocato dalla pianta centrale come fossimo all'interno di un cerchio che ha perso il suo centro. Colpa della pianta circolare, cui non siamo più abituati, dopo l'introduzione della longitudinale a navate. 

 

Inoltre, a differenza dell'arte bizantina, quella paleocristiana predilige la pietra nuda e il mattone, i quali suggestionano un senso di povertà al quale pure siamo disabituati, si accentua dunque in noi il senso di disagio.

 

Battistero San Giovanni in Laterano

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3. La resurrezione in San Giovanni in Fonte al Laterano

San Giovanni in Fonte al Laterano è il battistero lateranense anch'esso di età paleocristiana, che divenne  modello e archetipo dei battisteri edificati nella cristianità per tutto il medioevo. 

 

Le fonti battesimali hanno spesso forma ottagonale alla base o si innalzano su una struttura rotonda con otto pilastri. La forma ottagonale è il simbolo della resurrezione. Il numero 8, infatti, si rincorre così da non delimitarsi mai, cioè non finire, per questo nel suo segno è identico a quello dell'infinito verticalizzato. L’ottagono evoca la vita eterna, che si raggiunge immergendo il neofita nelle fonti battesimali. 

 

Il numero 8 è universalmente il numero dell’equilibrio cosmico ed è il numero delle direzioni cardinali unite alle direzioni intermedie. La pianta ottagonale da qui caratterizzerà tutti i battisteri delle più importanti cattedrali, come i battisteri dei duomi di Firenze, Parma e Modena.

 

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4. L'intimismo e il silenzio rotti da visioni mistiche nel Convento di San Marco a Firenze

Il convento di San Marco a Firenze, oggi convertito in museo, ospitava le celle dei frati domenicani. Stanzette minuscole, buie, silenziose e oggi vuote incutono un malinconico senso di isolamento e solitudine.

 

Ma Beato Angelico non ci sta e dirimpetto al letto di ciascun confratello e al fianco di ogni minuscola finestrella che lascia passare poca luce, ne apre un'altra dipingendo sopra ogni parete visioni mistiche che ci fanno uscire dalle cellette e fanno entrare bagliori più intensi. Ed è subito cielo.

 

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5. L'eternità paradisiaca degli oratori di Giacomo Serpotta

Il senso di infinito è sempre stato collegato a quello di eternità. Un'eternità che certo uno non vorrebbe mai trascorrere negli antri del crudele Inferno, ma beato in paradiso. E Giacomo Serpotta ha anticipato questa eternità in terra sicula, stuccando e scolpendo schiere di angeli e santi nei principali oratori della sua Palermo.

 

Entrare in ciascuno di essi spalanca la bocca per lo stupore e gli occhi per cogliere tutti i particolari, soprattutto i più estrosi: firmava alcune sue opere con serpi, lucertole o gechi, a richiamare il suo nome; per non fare un paradiso troppo severo, gli angioletti più piccoli giocano tra di loro e alcuni per non far volare via gli amici li trattengono per il membro e spesso in pose funamboliche, immortalati nello stucco fanno capriole e smorfie, e così via, basta alzare gli occhi in alto per una fruttuosa caccia al dettaglio. 

 

Luca Scarlini, autore di “Bianco tenebra Giacomo Serpotta, il giorno e la notte”, spiega così l'ossimoro del titolo al Corriere del Mezzogiorno: “Perché la bianchezza abbagliante delle statue serve a celare l’onnipresenza della morte; le confraternite per cui Serpotta lavorava erano tutte dedite a opere mortuarie, centrali in un’epoca in cui la sanità pubblica e il welfare non esistevano” (II). E così l'eternità sarà un po' più lieve.

 

6. Stabat mater di Giovan Battista Pergolesi

 

Se le arti visive hanno cercato la percezione dell'infinito attraverso gli stili più antichi dell'arte paleocristiana e quella medievale specie bizantina, la musica – la più astratta tra le arti – lo fa persuasivamente con la musica classica. Provare ad ascoltare lo Stabat mater di Giovanni Pergolesi è un'esperienza unica in tal senso

 

Pergolesi fa cantare i versi scritti da Jacopone da Todi nel XIII secolo da una donna soprano e da un contraltista, pertanto sembrano rincorrersi le voci di due donne, tradotte in maniera sovra-umana

 

Secondo la tradizione, alimentata dal primo biografo del musicista di Iesi, il marchese Tommaso di Villarosa, Pergolesi compose la musica sul letto di morte all'età di soli 26 anni. E avvicinarsi alla fine può aprire all'ultraterreno e all'eternità. Forse per questo motivo, anche i più intensi Dies irae costituiscono uno dei pochi conforti a un lutto, perché permettono di avvertire effettivamente la presenza di qualcuno di immenso aldilà, permettendoci almeno di sfiorare l'ultraterreno.

 

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7. Tra terra e cielo nell'altopiano dell'Argimusco

Dopo le opere dell'uomo, cerchiamo il senso di infinito in luoghi naturali. A partire dall'Argimusco. Argimusco è un altopiano sito a circa 7 km dal centro abitato di Montalbano Elicona, in provincia di Messina.

 

Guardando ad altezza d'uomo ci sono gigantesche pietre le cui forme richiamano immagini ora antropomorfiche ora zoomorfe. Tutta colpa della pareidolia, quell’associazione di idee che tende a ricondurre a forme note oggetti o profili dalla forma casuale, come accade, per esempio con le nuvole, mentre nel caso dell'Argimusco le rocce suggestionano immagini precise nell’immaginazione di chi le guarda.

 

Alcune sono così somiglianti che insinuano il dubbio che siano state scolpite, ma gli studi hanno rilevato che non c'è traccia di scalpelli o di altri strumenti per scolpire: l’uomo non ha messo mano nei profili dell’altopiano: alcuno scalpello ha sfaccettato le rocce, se non pioggia, ghiaccio e vento, non è stato il trapano a mano a forare con cavità alveolari, dette tafoni, il cosiddetto Siculo o Teschio, ma l'erosione eolica. Il divin Michelangelo dell'altopiano è la Natura.

 

Ma è guardando il cielo che comprendiamo quanto è smisurato questo luogo, che si rivela un vero e proprio osservatorio astronomico coperto dalla volta celeste. Al calar della sera, si assiste all'alba della luna e si può ammirare una delle migliori visioni della Via Lattea, cui sembra rivolgersi l'Orante, la statua più antropomorfa tra tutte quelle dell'altipiano impressionantemente ieratica. 

 

L’Orante chiude un maestoso massiccio con la testa china e le mani giunte in preghiera sul seno. Questa donna in preghiera è alta 25 metri, accarezzati dalla luce degli astri, sembra un nuovo tributo all’Angelus di Millet da parte di Salvador Dalì, che, tuttavia qui non ha messo piede. E non è questa una Natura ultraterrena? 

 

Come dice Totò, nei panni di Iago, guardando le nuvole nel film di Pier Paolo Pasolini Che cosa sono le nuvole?: “Straziante meravigliosa bellezza del creato”.

 

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8.Così lontana così vicina: la luna, musa ispiratrice di tutte le arti

Il nostro satellite ha ispirato poeti e cantautori. Ludovico Ariosto ne fa ricettacolo dei senni perduti,  In poesia, ancora Giacomo Leopardi le dedica il Canto Alla luna e nella prima strofe del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, il poeta di Recanati fa rivolgere il pastore, suo alter-ego, direttamente alla luna interrogata sul senso del suo ciclo perpetuo constatando l’analogia che corre fra la monotonia del corso lunare e quella della vita quotidiana del conduttore di greggi.  

 

La luna è qui l’emblema della Natura e della ciclicità della vita, la stessa che scorgiamo nel segno matematico dell'infinito ciclicità che è inscindibile dal senso di infinito. La luna è protagonista persino della storia del Cinema, che inizia a esistere con Il viaggio sulla luna di Georges Méliès.  

 

Seppure lontana anni luce, ci illumina tutte le notti secondo le sue fasi lunari. Ma è con l'allunaggio che l'infinita distanza che separa il nostro pianeta dal suo satellite si è annullata. 

 

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9. La barca solare di Cheope e il ciclo eterno della natura

Il ciclo eterno della Natura – tanto se ne lamenta Leopardi – riguarda tutte gli astri, anche il Sole che garantisce la nostra esistenza sulla Terra. Questo ciclo eterno ha sempre impressionato le civiltà, sin dalle più antiche, come gli Egizi.

 

La barca solare di Cheope è una delle più vecchie e meglio conservate imbarcazioni dell'antichità. Oggi ne possiamo ammirare la ricostruzione, ma è stata ritrovata frantumata in migliaia di pezzi, il cui legno si è conservato intatto per più di 4600 anni, in una fossa vicina alla piramide di Cheope, che la utilizzò durante tutta la sua vita.

 

Dopo la sua morte, la barca è stata fatta a pezzi sulla piana di Giza e qui sepolta insieme con il faraone. Per gli antichi Egizi simili onoranze funebri rivestivano un ruolo cruciale. Credevano, infatti, che, quando il faraone sarebbe morto, avesse avuto bisogno di una imbarcazione che lo traghettasse nell'aldilà, inoltre la barca garantiva l'esistenza ininterrotta dell'Egitto. Gli Egizi credevano che, nel corso della giornata, il sole si muovesse in cielo e il faraone con l'astro. Di notte si avventurava in una sorta di spazio oscuro che avrebbe dovuto illuminare contro demoni e bestie che se ne volevano cibare e, dunque, il sole sorgeva di nuovo in questo continuo ed eterno ciclo. Questa barca assumeva un valore fondamentale perché il faraone garantiva il sorgere del sole e il suo tramonto, la continuità del cosmo e la sopravvivenza dell'Egitto.

 

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10. L'infinito in un Pale blu dot 

L'astrofisico e scrittore Carl Sagan quando, nel 1990 ormai in viaggio da 13 anni, sulla Voyager si trovava nei pressi di Nettuno, chiese di fare una fotografia non prevista inizialmente che entrò nella storia: chiese di fotografare la Terra da Nettuno, a 4 miliardi di chilometri di distanza

 

La foto, ormai storica, è nota come Pale blu dot, il Pallido puntino blu, perché questo è tutto ciò che resta di noi a quella distanza. E in merito alla fotografia scrisse:

 

“Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L'insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni «superstar», ogni «comandante supremo», ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica.
Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l'illusione che noi abbiamo una qualche posizione privilegiata nell'Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c'è alcuna indicazione
che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.
La Terra è l'unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c'è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora.
Che ci piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l'astronomia è un'esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c'è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l'uno dell'altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l'unica casa che abbiamo mai conosciuto”
.

 

Il senso di infinito è anche questo: l'Uomo infinitamente piccolo in un Universo infinitamente gigantesco.

 

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10+1. La fine e l'inizio a Faro in Portogallo 

Faro in Portogallo è una città dell'Algarve che occupa una lingua di terra terminante in un faro, segnando il punto più occidentale dell'Europa continentale. Ci si arriva a piedi e dal faro si scorgono soltanto acqua e cielo. Tuttavia, laddove il mondo sembra finire, guardando oltre mare verso l’infinito, inizia il nuovo mondo, che è sempre il Pale blu dot.

 


Note:
(I) Enciclopedia della matematica di Treccani, 2013.
(II) “Scarlini narra Serpotta, il re Mida che trasformò lo stucco in marmo”, di Natascia Festa sul «Corriere del Mezzogiorno».