Il Coming out: “vuoi ancora giocare a nascondino?”

Il termine “coming out”, abbreviazione dell’espressione anglossasone “coming out of the closet”, è comunemente adoperato anche nella lingua italiana per indicare il gesto volontario di rivelarsi ad altri da parte di una persona che sente di avere un orientamento omosessuale o bisessuale piuttosto che eterosessuale. Analizziamolo insieme

Il Coming out: “vuoi ancora giocare a nascondino?”

Coming out: percorsi e trascorsi

Il processo di coming out ha inizio nel momento in cui la persona percepisce e sente vero per se stessa che l’oggetto del proprio desiderio affettivo e sessuale non è “l’altro sesso” ma le persone del suo stesso sesso.

La possibilità di condividere questo desiderio con altre persone (amici, familiari, colleghi ecc.) è frutto di una sempre maggiore integrazione tra le attrazioni omoerotiche e i sentimenti che questo provoca in lui/lei.

L’intera espressione “coming out of the closet” significa letteralmente “fuori dal rispostiglio”. La metafora ben esprime la condizione della persona fino a quel momento, è cioè closeted, cioè velata, vive perciò in una condizione di mascheramento e nascondimento.

Il processo di coming put è un processo che con tempi diversi e in modi diversi per ognuno porta ad un sempre più progressivo s-velamento di se stessi.

Quanto mai propri i termini quali svelare e rivelare, finalmente il velo cade e la persona riesce serenamente ad accettarsi e mostrarsi per ciò che sente di essere, ovvero finalmente se stessa.


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Closetedness: il nascondino e le maschere

Per chi non ha attraversato mai una situazione esperienziale e psicologica di questa portata, lo psicoanalista Mark Blechner ha suggerito un interessante esperimento alle persone eterosessuali per far comprendere loro il peso, la fatica, il disagio e l’inadeguatezza di una vita nascosta, come quella che molti bi/omo-sessuali si trovano a vivere.

Mark Blechner ha proposto alle persone eterosessuali di provare a non menzionare mai per un intero mese il/la marito/moglie o i loro figli in tutte le loro conversazioni. Ciò implica che nel descrivere un’esperienza vissuta in due o la si descrive come vissuta da soli, o ci si riferisce all’altro come un amico/a, oppure come una generica “persona” della quale non definiamo esplicitamente nessuna caratteristica che faccia intendere il suo genere.

L’esperimento proposto dallo psicanalista, suggerisce alle persone partecipanti di non fare altro che quello che molti gay, lesbiche o bisessuali, fanno generalmente per non rivelare la loro sessualità. Le persone che hanno partecipato, hanno descritto l’esperienza come molto destabilizzante.

Lo psicanalista invita la comunità eterosessuale a pensare quanto lo sia per persone gay, lesbiche e bisessuali che non sopportano questa situazione per un solo mese, ma alle volte per anni o per una vita intera.

 

L’etero-normatività e il coming out

In una cultura etero-normativa quale la nostra, l’orientamento sessuale è tendenzialmente dato per scontato. Ciò vuol dire che la persona è considerata da sempre eterosessuale. Questo fa si che la persona omo/bi-sessuale si trovi sempre di fronte alla scelta se rivelare o meno il proprio orientamento

Si pensi ad esempio a domande poste spesso nei confronti di giovani, quali “ce l’hai la ragazza?” oppure “ce l’hai il ragazzo?”, poste rispettivamente a maschi e femmine. Di fronte a queste domande il ragazzo/la ragazza potrebbe trovarsi davanti ad un bivio, e a decidere se rivelare o meno i propri desideri.

Per un desiderio di sincerità ed autenticità, spesso il/la ragazzo/a fanno il loro coming out. Ma spesso la paura di deludere e di essere rifiutati sono molto forti ed il giovani continua a vivere nel suo “nascondiglio”.

Scegliere di rivelare il proprio orientamento non eterosessuale è un atto comunicativo molto importante, che potrebbe favorire certamente l’autenticità della relazione ma anche alternativamente essere seguito da reazioni ostili.

A prescindere da chiunque la persona omosessuale parla di sé con autenticità, facendo il suo coming out, si assume il rischio di avere di tutta risposta reazioni negative.

 

L’outing non è il coming out

Spesso si sente dire, erroneamente, nella vita reale così come in televisione o in alcuni film, che qualcuno ha fatto outing. Bisogna prestare attenzione a questi due termini, outing e coming out, in quanto sono sostanzialmente diversi, soprattutto per i processi psicologici coinvolti.

Il termine outing fa riferimento ad una rivelazione pubblica dell’orientamento sessuale di una persona fatta da altri senza il suo consenso o contro la sua volontà. La differenza lessicale rispecchia appunto una essenziale differenza psicologica. Una persona può subire l’outing oppure una persona sceglie di fare coming out.

Nel caso del coming out la persona scegli di rivelare il proprio orientamento valutando anche se è in grado di affrontare e fronteggiare l’eventuale opposizione che potrebbe trovare dall’altra parte.

Nel caso dell’outing la persona quindi si trova a subire qualcosa che non ha scelto: potrebbe non essere disposta o non avere le risorse per fronteggiare la situazione.

 

Coming out: atto consapevole

Il processo del coming out è una tappa nel percorso evolutivo e conoscitivo di sé, come persona attratta affettivamente e sessualmente da persone dello stesso sesso. E’ un percorso per alcuni difficile, potenzialmente vissuto con sentimenti di forte ansia, angoscia e senso di colpa.

In alcuni casi può essere utile l’aiuto di uno specialista, che pratico delle dinamiche psicologiche intrapsichiche coinvolte potrebbe aiutare ad attraversare questa fase in modo consapevole e sano. Certamente ogni storia ha una sua propria evoluzione e delle caratteristiche personali, sociali, culturali, familiari diverse.

È opportuno prendere in considerazione questi diversi aspetti e la loro interazione per condurre la persona verso una maggiore integrazione degli aspetti omoerotici e dei sentimenti che prova per disvelarsi e vivere alla luce del sole la propria vita

 

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