Lavorare con un capo più giovane

Sebbene sia oggi una realtà di molte aziende, a molti italiani non piacerebbe lavorare con un capo più giovane. Sembrano permanere ancora troppi pregiudizi in un paese come l’Italia che appare fra i più vecchi d’Europa riguardo a cariche e gerarchie professionali.

Capo più giovane

Credit foto
©nd3000 / 123rf.com

È un cliché abbastanza diffuso: più si è in alto nella gerarchia professionale è più si devono avere anni di esperienza alle spalle e quindi una maggiore età anagrafica. Se ciò era vero nel mondo tradizionale delle professioni non lo è necessariamente oggi, dove molte realtà aziendali vengono fondate da giovani professionisti o si ricercano figure emergenti con competenze nuove estranee ai lavoratori più grandi. 

 

Un mondo dinamico, dove avere un capo più giovane può essere tutt'altro che raro, ma con cui la cultura italiana fatica ancora a stare al passo.

 

Lo scetticismo degli italiani

Secondo un’indagine di Randstad Workmonitor del 2008, la maggior parte dei lavoratori italiani preferirebbe avere un capo anagraficamente più anziano associando a una maggiore età una maggiore autorevolezza ed esperienza

 

Un mondo del lavoro, dunque, che appare poco incline ad accogliere e riconoscere le competenze dei più giovani. Se nel lavoro in team la collaborazione fra persone di età e appartenenza generazionale diversa viene apprezzata e vissuta come stimolante, sulle gerarchie aziendali non si transige in base a pregiudizi di età ancora piuttosto diffusi nel nostro paese. Quanto tale convinzione faccia parte di un retroterra culturale antico e ancora piuttosto diffuso nel tessuto sociale italiano lo dimostra il fatto che siano i giovani stessi a dichiarare di preferire tra diversi tipi di leader, quelli più attempati. E anche il lavoro in team non sembra ancora così diffuso come in altre parti d’Europa.

 

D’altra parte, più di un quarto degli intervistati ammette difficoltà di comunicazione con colleghi di età diversa, tale disagio è avvertito soprattutto dai più giovani per i quali sembra essere tutt’altro che facile integrarsi in contesti lavorativi con colleghi e superiori anagraficamente più grandi. Una comunicazione, dunque, dove c’è ancora molto da migliorare considerando anche l’importanza del clima aziendale per il buon rendimento di un contesto lavorativo.
 

Largo ai giovani… o forse no?

Ci troviamo davanti a un fenomeno paradossale: in un paese che invecchia, dove l’età media di molti lavoratori aumenta progressivamente, nuove realtà ed esigenze lavorative richiederebbero con sempre maggior forza il ricorso al lavoro in team, l’inserimento di nuove e giovani professioni e non di rado di nuovi capi, senza contare tutte quelle start up create proprio da giovani professionisti. 

 

Conferma questa tendenza un recente sondaggio lanciato da Vox Populi via twitter: il 41% dei rispondenti ha affermato di aver avuto esperienza di un capo più giovane nella propria vita lavorativa ribadendo quanto tale fenomeno sia in forte crescita.

 

Molti però affermano di sentirsi frustrati e diffidenti all’idea: la giovane età sembra ancora stereotiplamente scambiata per inesperienza, incompetenza e scarsa capacità. In altri casi, questo gap generazionale “invertito” alimenta un sentimento di insicurezza perché i dipendenti più anziani si sentono sorpassati dai più giovani nell’avanzamento di carriera e già estromessi da più elevate opportunità di avanzamento professionale.

 

Eppure molti possono essere i pro di un capo più giovane sia per le conoscenze più nuove e aggiornate che egli possiede, sia perché, arrivando “dopo”, può osservare quella realtà lavorativa con una mentalità nuova cogliendone criticità, risorse e modalità di funzionamento a cui lavoratori ormai consolidati possono non fare caso.
 

Pregiudizi familistici e distanze generazionali

Avere un capo più giovane sembra dunque ribaltare le aspettative più tradizionaliste sul rapporto fra capo e dipendente e far emergere una serie di pregiudizi tipicamente italiani e pertinenti ad entrambe le categorie.

 

Un esempio di pregiudizio è quello dei più anziani che, come si è detto, tendono a giudicare i più giovani come inesperti e non abbastanza competenti per il solo fato di essere tali.

 

Anche i giovani dal loro punto di vista sembrano guardare all’età matura di colleghi e collaboratori come un “ostacolo” a una giusta determinazione ed efficienza lavorativa giudicandoli spesso come meno produttivi, meno motivati e meno disposti ad apprendere cose nuove.

 

Ne emerge un Italia che tende ancora a replicare nel contesto lavorativo, le stesse logiche che dividono i ruoli generazionali all’interno della famiglia: ponendo ai “vertici” i più adulti e aspettandosi che i più giovai debbano in ogni caso rimanere un passo indietro.

 

Una pecca questa tipica della cultura familista italiana, e forse non solo, che rischia di non valorizzare le opportunità/necessità di cambiamento sempre più pertinenti alla realtà lavorativa attuale imprevedibile, dinamica e tutt’altro e abitudinaria. 

 

 Consigli per lavorare meglio? Iniziare dal comprendere che sul lavoro, al di là dei legami di parentela, non dovrebbero esistere genitori e figli.