Sesso e disabilità

La sessualità è caratterizzata da un complesso sistema di attività e piaceri che costituiscono il nucleo fondante dell'identità. Quanto il contesto culturale influenza il vissuto della sessualità? Come la nostra cultura vede il sesso e la disabilità?

Sesso e disabilità

L’Organizzazione Mondiale dell Sanità definisce la salute sessuale come "risultante dall'integrazione degli aspetti somatici affettivi, intellettivi e sociali dell'essere sessuato che consentono la valorizzazione della personalità, della comunicazione e dell'amore. La salute si compone
di tre elementi principali: essere capace di gioire, avendone la piena padronanza, di un comportamento sessuale e riproduttivo in armonia con un'etica sociale e personale; essere esenti da sentimenti di odio, di vergogna, di colpevolezza, di false credenze e altri fattori psicologici che inibiscono la risposta sessuale e turbano la relazione sessuale; essere esenti da turbe, malattie e deficienze organiche che interferiscono con le funzioni sessuali e riproduttive."

 

Sesso e disabilità: condizionamenti culturali

Da questa definizione si evidenzia che con il termine sessualità non facciamo riferimento solamente alla genitalità, alle sue funzioni, ai suoi bisogni, ma ad un complesso sistema di attività e di piaceri, presenti fin dai primi momenti della vita di un bambino e non riconducibili ad un unico significato. La sessualità, così concepita, costituisce una dimensione centrale dell’essere umano in quanto nucleo fondante dell’identità che investe il corpo, l’immagine di sé e i rapporti con gli altri. È proprio dall’insieme di tutti questi fattori che si crea un’espressione di sessualità unica per ogni individuo e che, di conseguenza, non è mai migliore o peggiore ma semplicemente diversa per ogni singola persona.

 

Il contesto culturale ha un’influenza sul vissuto della sessualità dettando le “norme” sociali su come deve esprimersi la sessualità e condizionandoci sulla percezione di cosa è normale e cosa non lo è. La nostra cultura ha sempre demonizzato il sesso e la disabilità associando la dimensione sessuale del diversamente abile a rappresentazioni mentali inadeguate, deficitarie, negative e a situazioni di forte impatto emotivo. Per facilitare la comprensione dobbiamo fare una prima grande distinzione tra disabilità mentale, dove viene meno la responsabilità di fare, e disabilità fisica, dove viene meno la capacità di fare. Questi due grandi contenitori rappresentano due situazioni molto diverse tra loro: laddove c’è disabilità fisica la persona è in grado di fare tutte le scelte secondo il proprio volere e quindi, il lavoro da compiere è nei confronti del pregiudizio sociale. Viceversa, nel caso di disabilità psichica, il deficit non rende l’individuo capace di assumere le regole di comportamento e quindi, l’intervento necessario è di tipo educativo.

Secondo il modello sociale l’incapacità a funzionare è in larga parte dovuta a quella disabilità che scaturisce da un ambiente ostile che impedisce il perseguimento degli obiettivi personali, quali atteggiamenti sociali negativi, barriere architettoniche, limitazioni all’accesso alle comunicazioni e alle risorse. Questo modello prevede che la disabilità sia una costruzione sociale e non (soltanto) l’esito di una menomazione psichica o fisica. In tal senso l’intervento da fare è a tutta la società, istituzioni, famiglia, operatori ecc che debbono iniziare a contemplare la sessualità del disabile come un espressione che va educata e non soppressa. È auspicabile un percorso di educazione sessuale per le persone disabili che faciliti il raggiungimento dell’autonomia possibile e l’espressione del contatto sessuale ma probabilmente per far si che ciò si verifichi il primo lavoro da fare è sui cosidetti “abili”.

 

Immagine | Moyan_Brenn