L'importanza del perdono: capacità innata o da imparare?

Il perdono rappresenta una funzione psicologica complessa influenzata dall’età, dal contesto socioculturale e del livello di sviluppo psicologico della persona. Perdonare, dunque, non dipende soltanto dall’offesa subita.

L'importanza del perdono: capacità innata o da imparare?

L’importanza del perdono è nota non solo ai teologi, che per primi si sono interessati a questo argomento, ma anche agli psicologi: perdonare infatti è una capacità complessa che la mente può mettere in atto con modalità diverse a seconda del contesto socioculturale e del livello di sviluppo psicologico della persona.

Più che di una capacità innata, si fa quindi riferimento ad una funzione psicologica che si sviluppa gradualmente a livelli di complessità crescenti man mano che procede la maturazione psicologica della persona e il suo grado di giudizio morale.

 

L’importanza del perdono

L’importanza del perdono è stata riconosciuta fra gli psicologi man mano che, nell’ambito delle teorie sullo sviluppo del bambino, hanno trovato spazio studi e teorizzazioni sugli stadi di sviluppo morale, quelle tappe, cioè, grazie alle quali la persona, procedendo dall’infanzia all’età adulta, interiorizza un insieme di valori e norme di comportamento come guida per la propria condotta.

La capacità di accordare un perdono per un’offesa subita, in luogo dell’istintivo e innato desiderio di vendetta e di rivalsa, si svilupperebbe di conseguenza.

 

Lo sviluppo del giudizio morale

Una delle teorie evolutivo-cognitive più note in merito al perdono è quella di Enright e del The Human Development Study Group (1991).

Secondo tale modello infatti, la capacità di perdonare si sviluppa in base a livelli di sofisticazione morale sempre più elevati man mano che procede lo sviluppo cognitivo.

Il modello è quello dello sviluppo del giudizio morale di Kohlberg (1984) che, prendendo a riferimento gli stadi dello sviluppo cognitivo di Piaget, illustra come la condotta morale del bambino evolva da uno stadio in cui è motivata da un meccanismo elementare di premio-punizione, a uno dove è in gioco l’interesse altrui e il proprio, a stadi dove prevalgono valori e aspettative della famiglia e della comunità sociale, fino a uno stadio più maturo in cui prevalgono principi etici universali più astratti (Kohlberg, L., Essays on moral development, The psychology of moral development, New York, Harper e Row, II, 1984).

 

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Modello evolutivo-cognitivo del perdono

In parallelo con le tappe di sviluppo del giudizio morale, Enright sostiene che la capacità di perdonare si sviluppi – dall’infanzia all’età adulta - da un livello più semplice a livelli più complessi e sofisticati:

  • un perdono “vendicativo” che può essere accordato solo dopo che la persona che ha offeso abbia ricevuto una punizione;
  • un perdono “compensativo” o “restitutivo” che avviene dopo che l’offensore abbia mostrato senso di colpa e pentimento o abbia riparato al torto commesso;
  • un perdono che viene concesso per l’influenza del contesto sociale, ritenuto desiderabile in base al ruolo sociale della vittima, alle norme sociali o religiose o perché utile a ripristinare relazioni pacifiche e armoniche nella società;
  •  un perdono “incondizionato” dettato da sentimenti di amore e pacificazione intrinseci all’animo della vittima e meno dipendenti da pressioni sociali.

Nell’adulto tutti i livelli precedenti coesistono e possono di volta in volta entrare in gioco a seconda delle contingenze, dell’offesa subita, della storia e del momento di vita (Enright R.D. & The Human Development Study Group, The moral development of forgiveness. In W. Kurtines & J. Gerwirtz Handbook of moral behavior and development, I, pp. 123-152, Hillsdale, NJ: Earlbaum, 1991).

 

Perdono e capacità di mentalizzazione

Quanto prima esposto mostra come l’importanza del perdono stia nel suo essere una capacità che può estrinsecarsi a livelli di complessità psicologica crescenti.

Ai livelli più semplici sembra che l’offensore venga quasi deumanizzato e sia identificato tout court con il torto commesso; a livelli più evoluti e complessi aumenta invece la capacità di considerare l’offensore come una persona che, come tale, è fallibile e soggetta ad errori (Smedes, L., Stations on the journey from forgiveness to hope. In E. Worthington, Dimensions of forgiveness: Psychological research and theological perspectives, 193-317, Philadelphia, PA: Templeton Foundation Press, 1997).

Questo non significa che si debbano condividere e approvare le motivazioni del gesto di chi ci ha arrecato danno, ma che si sia in grado di comprenderle, di costruirsi una rappresentazione plausibile dei processi mentali e motivazionali dell’altro. Questa, che è definita capacità di mentalizzazione, rappresenta una funzione psicologica fondamentale per lo sviluppo e il benessere psicologico aiutandoci a riconoscere le altre persone come portatrici di processi mentali e motivazionali simili ma non per questo identici ai nostri.

Questa distanza ottimale fra noi e l’altro è quella che ci rende più maturi nei rapporti umani, meno bisognosi di rivalsa e vendetta e quindi meno vulnerabili a subire torti o offese come colpi irreparabili al nostro senso di identità e di autostima.

 

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