La psicologia ingenua o del senso comune

Le persone tendono naturalmente ad assegnare significati ai comportamenti altrui sulla base di teorie ingenue e socialmente condivise che aiutano a percepire un senso di prevedibilità e stabilità degli eventi. Questa psicologia del senso comune non è tuttavia esente da grossolani errori

La psicologia ingenua o del senso comune

“Siamo tutti un po’ psicologi”? Certo che no, ma la falsa credenza che basti avere teorie empiriche dotate di buon senso per interpretare correttamente i comportamenti propri e altrui corrisponde a quella che è comunque una naturale tendenza dell’essere umano: assegnare significati agli eventi per ricondurli a modelli e stereotipi sociali che li rendano comprensibili, stabili e prevedibili (Fritz Heider Psicologia delle relazioni interpersonali,1958).

Certo, la psicologia del senso comune porta a commettere errori piuttosto grossolani, ma vediamo meglio come funziona questa psicologia ingenua.

 

La psicologia del senso comune

Attribuire un senso agli eventi sulla base di dimensioni di significato condivise che sostengano la percezione che il mondo in cui viviamo sia prevedibile e controllabile perché riconducibile a meccanismi stabili che lo governano è uno dei presupposti fondanti di qualunque psicologia del senso comune.

E, si badi bene, nonostante gli errori di attribuzione in cui questi modelli di buon senso incorrono, il formarsi teorie ingenue sul senso dei comportamenti degli altri esseri umani e del contesto in cui si vive corrisponde ad un bisogno sano e imprescindibile per la salute psicologica.

Le psicopatologie più gravi, in cui si incorre in un doloroso distacco dal senso di realtà, sono proprio quelle in cui si allentano queste connessioni con le dimensioni collettive e condivise di significato.

Queste infatti ci aiutano a sentirci presenti in un mondo sufficientemente stabile e coerente tale per cui anche noi, come persone, possiamo ricavarne la percezione di mantenere un senso sufficientemente coeso della nostra identità e dei ruoli sociali che ricopriamo.

La psicologia del senso comune non è cosa da poco dunque; prima di illustrarne i meccanismi e gli inevitabili errori, è bene precisare che, di per sé, esprime qualcosa di assolutamente vitale per gli esseri umani.

Non siamo affatto tutti un po’ psicologi, ma certamente tutti noi abbiamo bisogno di vivere in un mondo dotato di senso e continuità di significati, che poi questo possa esser fatto a vari livelli di introspezione e complessità psicologica è un altro discorso.

 

Le scorciatoie cognitive

Uno dei principi potremmo dire portanti della psicologia del senso comune e quello delle euristiche ovvero di quelle “scorciatoie cognitive” che inconsapevolmente e automaticamente adoperiamo per dare un significato e un senso agli eventi o al comportamento altrui quando abbiamo a disposizione informazioni lacunose o incomplete.

Un esempio è quello della “prima impressione”: ci facciamo un’idea della persona che abbiamo davanti sulla base delle prime e più evidenti informazioni che osserviamo inferendo di conseguenza tutte le altre e ponendo un giudizio sula base di pregiudizi e rappresentazioni stereotipate.

Basti pensare a tutti quegli stereotipi sociali relativi alle differenze di genere, alle minoranze etniche o religiose e via dicendo che spesso orientano implicitamente l’idea che ci facciamo di una persona che non conosciamo o di un ambiente nuovo.

 

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Azioni o caratteristiche di personalità?

Jones e Davis con la Teoria dell’inferenza corrispondente (1965) hanno studiato in che modo le persone inferiscono caratteristiche o tratti stabili di personalità sulla base degli effetti delle azioni altrui.

In altre parole: le conseguenze del comportamento di una persona vengono spesso usate – operando un grossolano errore di attribuzione – per operare una valutazione globale della personalità dell’autore piuttosto che del suo specifico comportamento.

Questi giudizi sociali approssimativi sono tanto più frequenti, quanto più il comportamento altrui risulta fuori dagli schemi, indesiderabile e frutto di una libera scelta.

 

La covariazione

Kelley col “modello della covariazione” (1967) mise in luce un altro elemento che concorre negli errori di attribuzione causale della psicologia del senso comune: quando osserviamo due eventi accadere contemporaneamente siamo ingenuamente portati a credere che l’uno sia la causa dell’altro, specie se questa associazione di ripete nel tempo.

Un esempio banale per chiarire il concetto: incontrate una persona due volte a distanza di parecchi mesi, in entrambe le occasioni appare visibilmente spossata e provata da un terribile raffreddore e forse anche poco partecipativa nell’interazione con voi. Sulla base del modello della covariazione potreste implicitamente concluderne che ogni volta che questa persona deve incontrarvi si ammala e non ha voglia di parlare con voi, che forse ha delle “resistenze” nei vostri confronti o che magari – riprendendo la teoria dell’inferenza corrispondente – è cagionevole di salute. Può darsi che, se la frequentaste con più continuità scoprireste di lei caratteristiche ben diverse.

Ma si sa, lo abbiamo detto, quel poco che osserviamo nell’altro, specie se ci confonde o contravviene alle nostre aspettative, a volte basta per farci un’idea apparentemente chiara ed esauriente sulla sua personalità e sul suo comportamento.

L’alternativa? Tollerare che non tutto è come ci appare e che, anzi, non tutto può essere compreso così chiaramente come vorremmo.

 

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