Effetto nocebo: il dolore immaginato

Credere che un farmaco possa provocare dolori o malattie spesso ci fa stare male davvero. La colpa è dell’effetto nocebo, il “gemello perfido” dell’effetto placebo. Mentre nel caso di quest’ultimo si instaurano aspettative positive che migliorano i sintomi della malattia anche in assenza di un principio attivo, nel caso di effetto nocebo l’azione è contraria: insorgono dolori e altri sintomi spiacevoli a causa delle convinzioni dell’individuo. Conosciamo meglio questo meccanismo mentale che influenza il nostro corpo.

Effetto nocebo: il dolore immaginato

L’effetto nocebo è stato ormai ripetutamente confermato nelle sue varie manifestazioni. Numerose ricerche cliniche hanno mostrato come essere informati dei possibili rischi di un farmaco possa avere effetti negativi, come è emerso per esempio per i betabloccanti che causano a volte disfunzione erettile. In questo caso, se i soggetti sperimentali del gruppo del placebo non sapevano il nome del farmaco e i suoi effetti collaterali, il disturbo concomitante si manifestava solo nel 3 per cento dei casi; se conoscevano il nome della medicina, ma non l’effetto collaterale – ossia la disfunzione erettile – la quota saliva al 16 per cento; ma se erano a conoscenza sia del farmaco che dei possibili rischi, allora un buon terzo di loro lamentava problemi di erezione. Questo e numerosi altri studi sui farmaci controllati con il placebo hanno rivelato l’esistenza evidente dell’effetto nocebo.

Nel nostro cervello sembrerebbero esserci due vie diverse di traduzione biochimica nell’effetto nocebo: la prima attraverso l’effetto di rinforzo del dolore dovuto alla colecistochinina, un neurotrasmettitore coinvolto nell’origine della paura che “tradurrebbe” appunto, all’interno del nostro cervello, l’ansia in dolore; la seconda tramite l’attivazione dell’asse dello stress.

 

Il ruolo delle aspettative e il potere della suggestione nell’effetto nocebo

Le numerose ricerche condotte in questo campo mostrano che l’effetto nocebo dipenderebbe da una “via cerebrale del dolore cognitivo-affettiva”, per la quale la paura scatenata da aspettative negative sarebbe responsabile del dolore immaginato. In altre parole, le fosche aspettative negative influenzano la nostra percezione del dolore e favoriscono l’effetto nocebo ostacolando addirittura farmaci potenti. Inoltre le variazioni dell’attività cerebrale osservate attraverso la risonanza magnetica funzionale, indicano che le percezioni hanno un fondamento organico e che quindi le persone non immaginano il dolore, lo sperimentano veramente, a dimostrare che l’effetto nocebo non è dunque un puro fenomeno psicologico. L’attività cerebrale rispecchia le aspettative.

Un influsso ancora maggiore del condizionamento sembra averlo la suggestione. Una ricerca ha confrontato l’influsso delle suggestioni negative sul prurito e sul dolore. I volontari ricevevano informazioni del tipo: “Tramite questo stimolo il 95% delle persone sane percepisce una sensazione di prurito/dolore”; nel gruppo di controllo il messaggio era invertito: “quasi nessuna persona sana percepisce una sensazione di prurito/dolore da questo stimolo. Le suggestioni negative hanno dimostrato il loro effetto.

 

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L’importanza delle parole del medico contro l’effetto nocebo

Che si tratti di prurito, dolore, stanchezza, nausea, molti di noi soffrono occasionalmente di effetti collaterali quando assumono farmaci, effetti a volte così forti da indurci a rinunciare al farmaco. Le conoscenze sull’effetto nocebo fanno ipotizzare che spesso le aspettative negative sono la causa, senza che noi ne abbiamo consapevolezza. Da qualche anno si sta facendo dunque largo l’ipotesi che i casi sempre più numerosi di intolleranza al lattosio siano attribuibili anche all’effetto nocebo. Il discorso vale anche per i tipici effetti collaterali delle pillole anticoncezionali, come le oscillazioni di umore o il mal di testa, inoltre chi soffre di dolore cronico potrebbe aver costruito attraverso il ripetersi di esperienze negative, un’aspettativa sfavorevole che ostacola la terapia.

Cruciale a questo punto è la comunicazione efficace medico-paziente. A volte semplici formule espressive fanno la differenza: così le donne in attesa di partorire e già in fase di travaglio, prima di ricevere l’iniezione antidolorifica, possono venire rassicurate con parole del tipo “le somministriamo un anestetico locale e lei si sentirà meglio”; viceversa si rivela poco utile una frase del tipo ”sentirà come la puntura di un’ape”. Come insegna la psicologia della comunicazione è importante che anche i metodi clinici siano inseriti in un contesto positivo e formulati adeguatamente per influenzare favorevolmente l’aspettativa dei pazienti.

Training di formazione medica favorirebbero trattamenti clinici accompagnati da una comunicazione empatica e incoraggiante. Uno dei capisaldi della tradizione ippocratica recita proprio: primum non nocere.

 

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