Crisi economica e depressione sociale: vediamo patologie o risorse?

Da più parti si sta diffondendo la tendenza a considerare gli effetti psicologici del momento di incertezza e crisi economica che stiamo vivendo come esiti di una nuova patologia emergente: la depressione sociale, come è stata definita, derivante sostanzialmente da una sfiducia nel futuro e una mancanza di prospettive così pervasive e condivise appunto socialmente da oltrepassare i confini personali e individuali per costituire un humus nero da cui tutti, volenti e nolenti, possono essere toccati. Eppure la storia insegna …

Crisi economica e depressione sociale: vediamo patologie o risorse?

Recentemente varie analisi e iniziative anche di intervento e sostegno psicologico sul territorio si sono mobilitate intorno a quelli che appaiono come gli esiti sociali e psicologici del momento di crisi economica che stiamo vivendo e che vedono mediaticamente l’apice nei tanti casi di suicidio connessi a scenari spesso economicamente drammatici. Ma la depressione sociale può essere a buon diritto considerata una nuova patologia?

 

Depressione sociale come nuova patologia?

Depressione sociale… come se non bastassero le nuove problematiche economiche e sociali che il momento storico attuale ci impone, ci troveremmo davanti anche a nuove “patologie” della psiche? Inesattezza mediatica o epistemologica a seconda di cosa si intenda per psicopatologia o per psiche ma, al di là di sterili sofismi, quel che è senza dubbio utile osservare sono le nuove forme e le nuove vie che oggi le persone stanno utilizzando per esprimere il disagio psicologico. Forme e vie che indubbiamente hanno a che fare con l’incertezza e la precarietà del momento di crisi attuale, circostanze storiche che non sono nuove a influenzare tanto le vulnerabilità individuali, quanto le vie che la psicologia sviluppa per comprenderle.

 

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Dalle guerre mondiali alla depressione sociale

Una cosa che raramente viene fatta presente alla mente di noi, uomini e donne dell’era post moderna e digitale, è come illustri esponenti e padri fondatori della psicologia come Sigmund Freud, Carl Gustav Jung o Alfred Adler siano vissuti e abbiano sviluppato le proprie intuizioni e le proprie idee in uno dei periodi storici in assoluto più bui e tragici che l’occidente moderno abbia conosciuto: quello a cavallo delle due guerre mondiali. A meno di non incappare per intenzione o per errore in opere come “La scoperta dell’Inconscio” di Ellenberger, difficilmente emerge con chiarezza quanto, quest’hummus di morte, devastazione e precarietà di vita, abbia accomunato e attraversato la vita e l’opera dei padri fondatori di una delle correnti più importanti della storia della psicologia.

 

I mass media e la depressione sociale

Ora, come allora, il macrocontesto economico e sociale in cui ci troviamo invade impudentemente le nostre vite influenzando inevitabilmente la percezione che abbiamo di noi stessi e del mondo, facendo leva sulle aree di vulnerabilità di ciascuno andando a sollecitare equilibri personali e psicologici che in passato non sarebbero necessariamente stati messi in discussione. E’ anche vero che l’agenda mediatica, come sempre, strumentalizza e orienta contenuti e modi dell’informazione contribuendo ad alimentare quell’assenza di prospettive e di speranza del futuro che pure, in un passato ben più drammatico, non hanno impedito lo sviluppo di alcune fra le idee più rivoluzionarie del pensiero occidentale.

 

Come può orientarsi la psicologia?

Come può la psicologia riorganizzarsi intorno a questo e cogliere, nel disagio psicologico attuale, più che nuove “patologie” da curare, che la si chiami depressione sociale o altro, risorse sociali da sviluppare per promuovere quel cambiamento di prospettiva che comprensibilmente molti, viste in discussione le certezze di una vita, faticano individualmente a realizzare? Staremo a vedere, qualcuno diceva che una buona domanda contiene già in sé le premesse per una buona risposta

 

Immagine | 3dnatureguy