Le emozioni umane in 10 meravigliose opere d'arte

L'arte per essere tale deve suscitare emozioni. Un elenco di 10 opere che più di altre hanno saputo esprimere universali moti dell'anima.

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La sindrome di Stendhal e la meraviglia di fronte all'arte

Ero già in una sorta di estasi, per l’idea di essere a Firenze, e la vicinanza dei grandi uomini di cui avevo visto le tombe. Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere”. 

 

Con questo turbinio di emozioni Stendhal, scrittore vissuto a cavallo tra Settecento e ottocento, tramanda la sua visita a Santa Croce a Firenze, con Roma e Napoli, mete del Grand Tour che l'autore francese toccò per perfezionare la sua conoscenza dell'Italia. È da qui che si scrisse per la prima volta della Sindrome di Stendhal, una esplosione di emozioni generante malessere diffuso, stato confusionale, nausea, vomito, difficoltà respiratorie, allucinazioni, sensazione di svenimento e perdita di coscienza.

 

I due Michelangelo dell'arte – il Buonarroti e il Merisi, detto Caravaggio – pare siano i due artisti che più suscitano questa effusione di emozioni. D'altronde cosa distingue un'opera d'arte da un manufatto se non l'emozione che l'opera d'arte suscita. L'arte in tutte le sue declinazioni è tale quando suscita emozioni sonda la complessità dell'animo umano e del suo vissuto emotivo.

 

Galleria d'arte ed emozioni

Vi proponiamo 10 capolavori dell'arte, in grado di suscitare emozioni diverse in ciascuno di noi, tuttavia alcune sono strettamente connesse a una reazione passionale precisa. La selezione è in ordine cronologico di esecuzione dell'opera fino a La fiducia in Dio di Lorenzo Bartolini, e - dopo un salto temporale alle avanguardie artistiche dell'espressionismo e dell'astrattismo di Kandinskij - è chiusa dalle opere ed emozioni con due capolavori degli autori che pare più degli altri inducano la Sindrome di Stendhal: Caravaggio e Michelangelo, rompendo l'ordine cronologico dell'esposizione delle opere per non perdere il climax in crescendo di passioni ed emozioni e poter chiudere la galleria d'arte ed emozioni con l'opera più toccante mai creata.

 

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1. Il dolore ne La crocifissione di Masaccio

La crocifissione di Masaccio fu ideata per il Polittico di Pisa, oggi smembrato e in parte disperso. Attualmente la pala con la crocifissione è conservata al Museo di Capodimonte di Napoli, dove attira l'attenzione la grandezza della tavola e soprattutto la Maddalena, macchia rossa di dolore su fondo a foglia d'oro

 

Il suo dolore scomposto è contrapposto a quello pacato e intimistico della Vergine di blu ammantata e di San Giovanni tristissimo. Cristo crocifisso mostra già il livore della morte e il dolore fisico è anche marcato dalla inarcatura dello sterno in avanti. Tutto questo dolore urlato dai 4 protagonisti della tavola scuote l'animo mosso a compartecipazione.

 

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2. La disperazione nel Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell'Arca

Il tema è ancora la morte di Cristo e le reazioni dei cari alla perdita del figlio di Dio. Niccolò dell'Arca plasma nella terracotta il Cristo deposto a terra con la testa appoggiata sul cuscino. 

 

L’opera scultorea, conservata nella chiesa di Santa Maria della Vita a Bologna, è certo lontana dalle rappresentazioni del Rinascimento, incipiente in quegli anni e tutto ragione e pacatezza dei sentimenti, come appaiono le statue della Madonna orante con le mani giunte, Maria di Giuseppe (madre di Giacomo il Maggiore e Giovanni l'Evangelista), che stringe le cosce in un gesto di rammarico, mentre san Giovanni è rappresentato in un silenzioso pianto, con un palmo che regge il mento.

 

Staccata dagli altri è una figura inginocchiata in abiti rinascimentali, generalmente collocata a sinistra, che rappresenta Giuseppe D'Arimatea e che guarda verso l'osservatore. Ma l'attenzione è tutta attratta dalle altre due donne che proprio statiche non sono, ma si ribellano alle regole non solo rinascimentali ma proprio della statuaria che – ce lo dice l'etimo dev'essere statica – mentre Maria di Cleofa e Maria Maddalena, straziate dal dolore con le vesti gonfiate dal vento si mettono a correre urlanti, anticipando da un lato il futurismo con il movimento delle statue, dall'altro l'espressionismo, con l'esplosione delle passioni rappresentate e complice anche il tempo che ha fatto cadere la policromia che rende i personaggi a grandezza naturale come scorticati vivi. 

 

D'altronde, l’espressionismo in epoca nazista venne bruciato o beffeggiato come “entartete kunst”, ossia “arte degenerata”, ma ancora oggi è del tutto negletto dal circuito mostre, perché è disturbante l’animo. Perché l’umanità non era e non è pronta ad accogliere tanta espressione, ad accettare le deformazioni e storture dell’uomo non nascoste.

 

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3. Il pianto nel Cristo morto di Andrea Mantegna

Conservato nella Pinacoteca di Brera di Milano, affronta lo stesso soggetto del capolavoro precedente, la morte del Cristo, ma in epoca rinascimentale. L'opera è diventata iconica per la figura del Cristo morto fortemente scorciato, che quasi rende invisibili le due donne di profilo con i lacrimoni agli occhi, che fa scoppiare a piangere anche lo spettatore.

 

 

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4. Stupore e sconsolazione ne L'ultima cena di Leonardo da Vinci

È un compendio delle emozioni umane il Cenacolo nella basilica di Santa Maria delle Grazie a Milano, dipinto dal genio di Vinci fissato con la fisiognomica sino alla caricatura. 

 

Ognuno degli spettatori può condividere e assumere su di sé le emozioni espresse dai discepoli del Cristo. “Uno di voi mi tradirà” dice il Cristo al centro della tavola, in posizione piramidale con le braccia allargate a mostrare sconsolazione e sommesso rammarico, con il busto e la testa lievemente piegate verso destra, come a seguire il moto dei suoi discepoli. Bartolomeo si rizza sul tavolo, Giacomo protende le braccia, per offrire vicinanza e supporto a chi ha proferito queste parole, Andrea invece mette le mani avanti.

 

Accanto c’è Tommaso con il dito sollevato in un gesto simbolico, seduto vicino a Giacomo Maggiore e Filippo, il più commosso e commovente di tutti. L’ultimo gruppo sciolto e gesticolante conta Matteo insolitamente barbuto, Giuda Taddeo e Simone. 

 

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5. Il terrore ne La strage degli innocenti di Guido Reni

Basta leggere il soggetto del quadro del pittore bolognese per tremare di terrore davanti a una delle tragedie più spietate del Vangelo secondo Matteo. Talmente odiosa che anche Pablo Picasso ne citò un gruppo nel suo Guernica. 

 

Da un cielo burrascoso, sopra le nuvole stanno angioletti che osservano importenti la strage di donne e dei loro bambini da parte di due violenti soldati nerboruti: uno colto nell'atto di pugnalare un bambino rintanato nel grembo materno, l'altro a prendere per i capelli una mamma che cerca invano la fuga, in cui sembra invece riuscire un'altra madre che scappa dalla quinta di destra. L'altra mostra in primo piano due piccoli già uccisi.

 

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6. L'elaborazione del lutto ne La fiducia in Dio di Lorenzo Bartolini

Lavorare la dura pietra o il marmo è sicuramente più difficile ed estenuante che dipingere e un lavoro così duro potrebbe far pensare che difficilmente possa scaldare l'uomo con una commozione fino alle lacrime. 

 

È pettinata nel gesso la marchesa Rosina Trivulzio, moglie di Giuseppe Poldi Pezzoli d'Albertone, che commissiona alla morte del marito l'opera allo scultore, che realizza La fiducia in Dio, forse la scultura più delicata e commovente di sempre. Perché – lo dimostrano anche le opere con la morte di Cristo – l'elaborazione del lutto è difficile se non impossibile. Rosina è distrutta dalla sua perdita, proprio come le Marie dolenti innanzi alla morte del Figlio.

 

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7. L'ansia in Anxiety di Edvard Munch 

L'ansia, creato da Edvard Munch, è un dipinto ad olio su tela. Gli ansiosi attraversano lo stesso ponte dell'Urlo, e proprio come il protagonista del quadro che gli ha dato fama, i personaggi in cammino soffrono d'ansia

 

Il pittore espressionista usa una vasta gamma di colori in questo dipinto. Munch creò un tramonto con arancioni e gialli intensi. Mentre per gli ansiosi sceglie il verde, colore complementare al giallo e per questo la storia dell'arte ne vieta l'accostamento perché troppo stridente e urtante l'animo. Munch lo usa appositamente per la donna che è di fronte, e per le persone dietro di lei, che sembrerebbero maschi. 

 

Molte delle facce nella parte posteriore sono sfocate fuori e tutti stanno indossando un cappello nero. Forse anche noi stiamo seguendo un corteo funebre, tema molto indagato dagli espressionisti, per mostrare dolore e strazio, emozioni comuni a tutte le persone. Insomma, un compianto contemporaneo.

 

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8. L'inquietudine nel Destino di Vasilij Kandinskij 

Vasilij Kandinskij scrisse del colore del muro di questa sua opera del 1909: “Il colore rosso potrebbe causare una vibrazione psichica simile a una fiamma poiché il rosso è appunto il colore della fiamma, il rosso caldo ha un effetto eccitante che può intensificarsi fino a diventare doloroso forse anche attraverso la sua somiglianza con il sangue che scorre”.
 

Al di là del muro rosso si apre un mondo interiore della donna china con le ginocchia strette al petto come a non volersi aprire all'esterno, opponendosi all'uomo vicino che allarga le braccia quasi a spronarla ad aprirsi con lui e con il mondo. 

 

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9. Il livore nel Martirio di sant’Orsola di Caravaggio

Il Martirio di Sant’Orsola è l’ultima opera che Michelangelo Merisi dipinse in fretta e furia nel 1610, poco prima di morire. L’esecuzione fu così rapida che i suoi servitori commisero l’errore di far asciugare i colori al sole. È proprio quest’ultimo Caravaggio ci fa capire la portata dirompente della poetica del grande maestro. Nel cupo livore della morte, Orsola non è affatto contenta di quella punta che le ha bucato il ventre, mostrando un’umanità che niente ha a che spartire con la raffigurazione che tradizionalmente si era soliti dare al martirio. 
 

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10. L'amore nella Pietà Rondanini di Michelangelo Buonarroti 

Oggi il Castello Sforzesco di Milano, per meravigliarci con la bellezza che l'arte sa raggiungere, dedica la sala espositiva che chiude il percorso museale all'ultima Pietà realizzata dal Divino in un blocco marmoreo non finito che fonde insieme i corpi del Cristo con quello della madre e le loro anime, anche della materia scultorea, perché Michelangelo per l’ultima e inarrivabile sua Pietà scolpì di nuovo un blocco di marmo che aveva già lavorato, come dimostrano gli arti preesistenti prestati ai nuovi.

 

Questo requiem mostra nelle parti non finite come lo scultore lavorava cioè “a levare”. L’artista scrisse:

 

“Io intendo scultura, quella che si fa per forza di levare: quella che si fa per via di porre, è simile alla pittura: basta, che venendo l’una e l’altra da una medesima intelligenza, cioè scultura e pittura, si può far fare loro una buona pace insieme, e lasciar tante dispute”.

 

Il non finito trasmette anche questa volta un'espressione che stringe madre e figlio così come i nostri cuori.