I sintomi della bulimia nervosa

I sintomi della bulimia nervosa spesso rimangono celati agli altri, la persona può mantenere un peso nella norma e non rendere visibile il suo disagio. La sofferenza psicologica collegata a questo disturbo è però molto ingombrante.

Sintomi bulimia

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Il senso comune è la cornice entro la quale tendiamo spesso a dare significato agli eventi che non comprendiamo o si cui non ci soffermiamo se non distrattamente. 

 

In questo modo tuttavia si ragiona spesso per stereotipi e basandosi sulle apparenze, su ciò che è più marcatamente evidente. E cosa c’è di più auto evidente del corpo stesso? Siamo soliti sospettare un qualche problema alimentare o nutrizionale in una persona quando la vediamo troppo magra o, al contrario, troppo in carne. E non è affatto detto che gli stereotipi in base ai quali giudichiamo il corpo di qualcuno siano realisticamente fondati, ma che lo facciamo continuamente senza neanche rendercene conto, come se la salute alimentare passasse solo e unicamente nel corrispondere a un peso “standard” a cui conformarsi. 

 

Niente di più sbagliato e lo vediamo con evidenza nella bulimia nervosa, un disturbo alimentare in cui il peso corporeo può rimanere entro il range di normalità senza che dalla condotta della persona traspaia, almeno inizialmente, alcun disagio. Uscire dalla bulimia, partendo da questo presupposto, richiede una consapevolezza ancora più salda. 

 

I sintomi “invisibili” della bulimia

La bulimia rientra nei disturbi alimentari e deve la sua denominazione allo psichiatra inglese Gerald Russel che osservò in alcune pazienti una condotta alimentare problematica tanto quanto l’anoressia ma con caratteristiche differenti.

 

Queste pazienti (ma il disturbo non è appannaggio esclusivo del sesso femminile) infatti non rifiutavano il cibo, come coloro che mantenevano una condotta anoressica, ma andavano ripetutamente incontro a episodi di fame incontrollata (quella che etimologicamente il termine bulimia definisce “fame da bue”) dopo i quali mettevano in atto condotte di eliminazione (vomito autoindotto) o compensazione (attività fisica, lassativi, digiuno) per paura di ingrassare.  

 

Mangiare e vomitare è in questo disturbo il sintomo attraverso cui si esprime un disagio emozionale al pari di quanto avviene mediante il rifiuto di cibo con l’anoressia. Le persone con condotte bulimiche però rimangono spesso con un peso nella norma: la loro sofferenza rimane invisibile sia dal punto di vista fisico che emotivo. 

 

Bulimia non è avere tanta “fame”

Non è tuttavia del tutto corretto dire che le persone con bulimia nervosa hanno molta fame. In realtà si tratta di condotte impulsive e spesso del tutto in contrasto con il fisiologico senso di fame e sazietà: queste persone sono ricorrentemente sopraffatte da attacchi di fame incontrollata che le portano a mangiare anche se non hanno una fame fisica, a riempirsi oltre il ragionevole senso di pienezza e sazietà arrivando a volte anche a consumare cibi scaduti, crudi o ancora congelati. Nulla che quindi abbia a che fare né col reale senso di fame, né con gusto, ingordigia o semplice piacere di mangiare.

 

Le persone che esprimono un disagio psicologico attraverso la bulimia nervosa sperimentano attacchi bulimici a seguito di stress emozionali di cui sono per lo più inconsapevoli: le crisi engono sperimentate come qualcosa totalmente al di fuori del proprio controllo, come un impulso incoercibile con un estremo carattere di urgenza e senza (apparente) collegamento con gli stati interni e gli avvenimenti esterni. 

 

Durante le abbuffate di solito si mangia in maniera piuttosto voracemente, masticando poco e gustando ancor meno i sapori: il bisogno maggiore in quei momenti è quello di riempirsi. Se inizialmente i cibi preferiti possono essere quelli maggiormente graditi, i cosiddetti comfort food, col prolungarsi dell’abbuffata (e della gravità del disturbo) si può arrivare a mangiare di tutto anche, come si diceva, sostanze non gradite o non palatabili. 

 

Quando sono incoraggiate a descrivere la loro esperienza, le persone con condotte bulimiche riferiscono la sensazione di perdere quasi totalmente il controllo di sé durante le abbuffate: è come se il cervello improvvisamente si mettesse in “pausa” e loro si lasciassero trasportare da un automatismo che le stordisce. 
 

Gli atteggiamenti che seguono l'abbuffata

Queste persone provano molta vergogna per i loro comportamenti, per questo vivono le loro abbuffate quando sono da sole lontano dallo sguardo di altre persone che, specie se non conviventi, potrebbero non sospettare anche per lungo tempo del loro problema. 

 

Dopo ogni abbuffata sono sopraffatte dalla vergogna e dal disgusto per sé stesse e per questo cercano sollievo in condotte che consentano loro di “annullare” l’abbuffata commessa. 

 

Questi meccanismi possono essere provocarsi il vomito, assumere diuretici o lassativi, digiunare o fare eccessiva attività fisica. Tutte condotte che in realtà, nel lungo periodo, lasciano danni ben più profondi delle abbuffate che dovrebbero eliminare. 

 

Dal punto di vista medico, infatti, le conseguenze della bulimia possono essere piuttosto importanti, lo squilibrio elettrolitico causato dal vomito, ad esempio, può portare varie forme di scompenso compresi problemi a livello cardiaco; ma possono presentarsi anche problemi dentari, infiammazioni della gola e delle ghiandole parotidee, secchezza della pelle.

 

Bulimia e autostima

Le cause della bulimia, come per tutti i disturbi dell’alimentazione, non sono univoche ma multifattoriali. Molto si è detto riguardo le responsabilità che l’attuale società dell’immagine ha nel proporre modelli di bellezza e magrezza irrealistici agli adolescenti. 

 

Certamente le modalità attraverso le quali i disagi psicologici si esprimono riflettono anche le caratteristiche della cultura di riferimento. Nei tempi antichi, ad esempio, l’anoressia o la bulimia come noi oggi le conosciamo erano per lo più assenti; nel Medioevo ad esempio il rifiuto del cibo e l’emaciazione del corpo avevano significati diversissimi come dimostra la storia, non per questo meno sconcertante, di diverse “sante anoressiche” (Bell, 1985).

 

Ma al di là di fattori culturali, sicuramente rilevanti soprattutto in un’ottica di prevenzione e individuazione precoce del disagio, c’è un elemento che caratterizza con forza le persone che hanno un disturbo alimentare di tipo anoressico o bulimico. In entrambi i casi, infatti, la persona sente che tutta la propria autostima, il proprio valore e autoefficacia, deriva dal raggiungimento/mantenimento di un corpo magro, spesso è presente una tendenza al perfezionismo e un’elevata sensibilità alla critica che sembra accompagnarsi ad un cronico e pervasivo senso di inadeguatezza

 

Il comportamento alimentare è associato a una sofferenza emozionale – spesso connessa a fasi di passaggio della crescita verso l’adolescenza o la prima età adulta – che la persona non ha la capacità di riconoscere e gestire. Il cibo e il peso corporeo si rivelano allora, per la mente, sostituti (apparentemente) molto più “facili” da controllare.
 

Guarire dalla bulimia

Spesso si riscontra una fluidità fra le diverse tipologie di disturbi alimentari e non è affatto raro che persone che mantengono per diverso tempo una condotta anoressica a un certo punto perdano il controllo di essa e transitino verso la bulimia nervosa

Questo passaggio è soggettivamente molto doloroso perché mentre l’anoressia è generalmente vissuta come egosintonica (la persona percepisce come vincente e desiderabile la sua condotta e non la riconosce come problema), la bulimia fa diventare il disturbo alimentare egodistonico: i cicli di abbuffate e condotte di eliminazione causano malessere e sofferenza per la paura connessa alla perdita di controllo e al timore di aumentare di peso. È più facile che in questa fase le persone con un disturbo alimentare possono chiedere aiuto proprio perché iniziano a riconoscerlo come un problema. 

 

Uscire dalla bulimia è possibile a patto che il percorso terapeutico intrapreso non si rivolga soltanto all’eliminazione del “sintomo” ma accompagni la persona nel riconoscimento della sofferenza psicologica sottostante. 

 

Bibliografia

Bell R. (1985). La santa anoressia. Digiuno e misticismo dal Medioevo a oggi, Laterza.