Cinofobia: se un cane non è più soltanto un cane

Può riguardare un imponente rottweiler, come un minuscolo chihuahua. La cinofobia, la paura fobica di essere morsi da un cane, costringe a evitare ogni possibile contatto con questi animali. Sì perché non si tratta più “soltanto” di un cane, ma della forma che hanno assunto le angosce di quella persona e, per di più, del tutto a sua insaputa!

Cinofobia: se un cane non è più soltanto un cane

 

Gianni si sta preparando per andare con la moglie e la figlia ad un barbecue a casa di Lia e Mario, due loro cari amici. È una bella giornata di sole tutto sembra andare nel migliore dei modi. Ma a un certo punto un pensiero, come un fulmine a ciel sereno, attraversa la mente di Gianni: molto probabilmente ci sarà anche Gina, la sorella di Lia, è spesso presente in queste occasioni, specie ora che le belle giornate consentono di stare in giardino… Già il giardino… Oddio: il cane di Gina!

Gianni sa che Brody è agli occhi di tutti un anziano dalmata un po’ obeso che non farebbe male a una mosca. Ma è più forte di lui: appena lo vede sente montargli il panico, e se dovesse accadergli come l’ultima volta? Brody gli è corso incontro all’improvviso e a lui è venuto un attacco di panico in piena regola, di lì a poco era al pronto soccorso convinto di avere un infarto!

No, non può accadere anche questa volta, ecco già adesso al solo pensiero sente i battiti accelerati, le mani gli sudano, le gambe sembrano prossime a cedere… Sua moglie e sua figlia sicuramente si divertiranno anche senza di lui. Gianni finge un mal di testa e rimane a casa. Prova troppo imbarazzo per rivelare ai suoi familiari il motivo della sua assenza, in fondo lo sa che questo fatto di dover evitare i cani a ogni costo è esagerato e irrazionale, ma non riesce a controllarsi.

Vediamo perché la cinofobia (dal greco chiùon, "cane", e phobos, "fobia"), pur alludendo alla paura fobica di essere morsi da un cane, ha in realtà molto poco a che fare con il “migliore amico dell’uomo”…

 

La cinofobia: un’angoscia ben “confezionata”

La cinofobia, cioè la paura sproporzionata di essere morsi da un cane, porta la persona a condizionare parte del proprio comportamento nel tentativo di evitare tali animali. Nel DSM 5 (APA, 2013) è classificata fra i disturbi d’ansia come fobia specifica e, come altre fobie simili, raramente si estende ad altre specie animali.

Sebbene talvolta si riscontri, nella storia passata della persona, un effettivo evento traumatico relativo all’esser stati morsi da un cane – o essere stati diretti testimoni dello stesso evento accaduto ad altri – questo non rappresenta un antecedente indispensabile (Doogan & Thomas, 1992).

La cinofobia, al pari di altre fobie specifiche, può manifestarsi anche in assenza di un evento concreto. Non si tratta, dunque, di semplice apprendimento per condizionamento classico fra uno stimolo esterno e una risposta, ma qualcosa di meno lineare che ha a che fare con “stimoli” meno tangibili riguardanti angosce della psiche.

A differenza di quanto avviene nel disturbo di panico, infatti, in una fobia specifica, come è la cinofobia, la psiche della persona non rimane succube di un’ansia soverchiante e disorganizzante, ma riesce a mobilitare una serie di difese psicologiche per “dare forma” alle proprie ansie e contenere l’angoscia (Bagby & Taylor, 1997).

 

Leggi anche La fobia dei rettili >>

 

La cinofobia: l’evitamento rinforza il problema

Secondo l’esperienza clinica psicodinamica, le persone tramite il sintomo fobico tendono ad evitare angosce conflittuali relative prevalentemente alla sfera edipica (la propria competitività, i propri successi sono vissuti inconsapevolmente con la paura che possano rivelarsi indebiti o dannosi per altri) e a quella dell’autonomia (paura di perdere il controllo).  Queste angosce possono trasformarsi in paure più “concrete” verso determinate situazioni, oggetti o animali. In questo modo l’angoscia può essere controllata mediante l’evitamento fobico dell’oggetto temuto (PDM, 2008).

Tre sono i meccanismi di difesa implicati nella formazione di una fobia, come la cinofobia, e conoscerli ci aiuta a comprendere meglio in che modo la fobia, per quanto limitante per la persona, sia comunque uno dei modi che la mente ha per far fronte all’angoscia.

Tramite lo spostamento, la paura (o qualunque altra emozione) viene trasferita da un oggetto a un altro, nel nostro caso, da un’angoscia interna a un oggetto esterno (i cani nel nostro esempio). Perché questo meccanismo sia completo, la mente mobilita anche il meccanismo di difesa della proiezione, uno dei meccanismi più arcaici della mente, implicato però anche in operazioni difensive più complesse.

Tramite la proiezione rendiamo, per così dire, del tutto “realistico” il quadro fobico che andiamo a delineare: la minaccia viene percepita provenire dall’esterno (i cani o altri oggetti/situazioni, spesso infatti una persona manifesta più di una fobia) e non dall’interno di sé, la persona rimane dunque del tutto inconsapevole delle proprie angosce interne.

Infine l’evitamento: evitando lo stimolo fobico – come Gianni, nella nostra storia di fantasia, che fa di tutto per evitare il cane dei suoi amici – la persona riesce a controllare l’ansia (Gabbard, 2005). Questo però comporta dei costi molto alti perché costringe la persona a limitare i propri comportamenti e perché il contenimento dell’ansia funge da rinforzo negativo sull’evitamento stesso che si fa via via sempre più marcato.

 

La cinofobia: perché proprio i cani?

Naturalmente esistono, nella specie umana, tutta una varietà di oggetti o situazioni che possono essere “presi a prestito” dalla mente per costruire una fobia: si parla di fobie legate a specifiche situazioni (es. i luoghi chiusi), ad alcuni fenomeni naturali (come i temporali) e a tutta una gamma di animali fra cui spiccano ragni, insetti e naturalmente i cani nella cinofobia.

Non è del tutto corretto sottovalutare o minimizzare il significato simbolico di una fobia: ogni oggetto fobico non viene scelto a caso, ma ha sempre un significato rappresentando un equivalente simbolico delle angosce psichiche che sono state spostate e proiettate su tale oggetto.

Ecco perché, nella cinofobia, un cane non è più soltanto un cane e a nulla valgono rassicurazioni razionali. Naturalmente non esistono significati validi a priori per tutti, il cane ad esempio può essere utilizzato come oggetto fobico perché richiama l’istintualità, perché rimanda ad una presunta aggressività o ad altri significati ancora specifici per ogni persona.

 

La cinofobia: le terapie

Per superare una fobia, come la cinofobia, alcuni approcci lavorano più direttamente sul sintomo fobico aiutando la persona a familiarizzare con esso e a smorzare la paura ad esso associata fino alla sua scomparsa. È il principio della desensibilizzazione sistematica, propria di approcci cognitivo-comportamentali che, espone gradualmente il paziente, prima in fantasia poi nella sua vita reale, all’oggetto fobico.

Questo approccio non è affatto banale e può rappresentare una componente importante del trattamento delle fobie poiché, come abbiamo detto, il meccanismo di evitamento alimenta un circolo vizioso rinforzando nel tempo il comportamento fobico.

Un'altra linea terapeutica, prettamente di matrice psicodinamica, prevede di comprendere i motivi che sostengono la fobia, che sia la cinofobia o altra, e aiutare la persona a padroneggiare l’ansia senza bisogno di spostarla e proiettarla su un oggetto fobico. In altre parole, si tratta non solo di eliminare il sintomo ma anche di fare in modo che la persona non abbia più bisogno di esprimere le sue ansia e le sue angosce in forma sintomatica, ma possa padroneggiarle in modi più funzionali.

 

Bibliografia

American Psychiatric Association (APA) (2013). DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 2014.

Bagby M. & Taylor G. (1997). Disturbi Ansiosi e depressive e una nota sui disturbi di personalità, in G.J. Taylor, R.M. Bagby & J.D.A. Parker, I disturbi della regolazione affettiva. L’alessitimia nella malattie mediche e psichiatriche, tr. it. Giovani Fioriti editore, Roma, 2000.

Doogan S. & Thomas G. V. (1992). Origins of fear of dogs in adults and children: the role of conditioning processes and prior familiarity with dogs, Behav. Res. Ther.; 30(4):387-94.

Gabbard, G.O. (2005). Psichiatria psicodinamica, Milano, Cortina, 2007.

PDM Task Force (2006), PDM. Manuale Diagnostico Psicodinamico. Raffaello Cortina, Milano, 2008.

 

Leggi anche La fobia dei piccioni >>

 

Foto: HISAE KAWA / 123rf.com